Nuovo, ennesimo rinvio alle Sezioni unite civili sul tema della gestazione per altri (GPA). Difficile la Prima Presidente non concordi sulla necessità di affrontare la questione, sebbene queste si siano già espresse due volte: nel 2019 (sentenza n. 12913, est. Mercolino) e nel 2022 (sentenza 38162, est. Giusti). Nel mezzo anche la sentenza della Corte costituzionale n. 33/2021 su rinvio della I sezione civile.
Nuovo incidente nomofilattico quasi preconizzato nella sentenza del 30 dicembre 2022, quando le Sezioni unite non si nascosero di fronte ai limiti dell’adozione in casi particolari in certe costellazioni fattuali. Lì si riscrisse di fatto una parte della legge sull’adozione affermando che, se in contrasto con l’interesse del minore, il difetto di assenso del genitore legale esercente la responsabilità genitoriale non è ostativo. Lo scenario, amaramente noto, è quello del sopravvenuto conflitto fra figure parentali, con il “coltello dalla parte del manico” in mano all’unico genitore (es. la madre partoriente), che non di rado estromette l’ex partner dalla vita dei figli, con conseguenze cui – ad oggi – il diritto pare non capace di porre argine. Il suo “no” non è più un ostacolo.
Rimaneva privo di proposte risolutive il caso del genitore che decede prima che si perfezioni un’adozione. Ed è questo il triste caso all’attenzione della Suprema Corte, in questa occasione sotto la prospettiva della pensione indiretta a favore del figlio. Tutto muove da un decesso in giovane età del padre intenzionale, cui è seguito l’accertamento postumo di co-paternità negli USA, dove era avvenuta la nascita, con trascrizione nei registri italiani. Ad oggi quel minore ha, quindi, per lo stato civile due padri. L’INPS nega però il trattamento previdenziale. Lo nega altresì il tribunale, ma lo riconosce la Corte di appello di Milano.
Parallelamente emerge una questione ulteriore. Il decesso avviene nel 2015, quindi prima dell’avvento della legge sulle unioni civili. La coppia si era, però, coniugata negli Stati uniti. Anche quel matrimonio fu oggetto di trascrizione postuma nel registro delle unioni civili.
Diverse le questioni sul tavolo degli Ermellini. La prima compare fra le righe: l’INPS si dichiara evidentemente immune dagli effetti della trascrizione, contestandone la legittimità perché quella sentenza straniera di filiazione non può esplicare effetti in Italia, così negando la prestazione. E altrettanto contestata è la trascrizione nel registro delle unioni civili di un matrimonio che, per decesso del coniuge, avrebbe cessato di produrre effetti prima dell’avvento delle unioni civili. Può un’Amministrazione sentirsi slegata dalle risultanze dello stato civile, contestando nel merito quanto trascritto o iscritto dall’ufficiale del Comune? Ed eventualmente può farlo un giudice, come se un atto dello stato civile fosse da trattare oramai alla stregua di qualsiasi atto amministrativo, magari disapplicandolo? Se così fosse, lo stato civile di tradizione napoleonica si vedrebbe oramai privato della sua stessa essenza di atto opponibile a terzi.
Altra questione – e questione centrale – è quella delle conseguenze del muro innalzato dalle sezioni unite per la GPA contro il riconoscimento del legame filiale con il padre intenzionale non genetico. Se il legame di filiazione non fosse riconoscibile, allora non spetterebbe la reversibilità al “non” figlio per il diritto italiano. Ed è questo vulnus che viene soprattutto posto all’attenzione del massimo consesso nomofilattico. Si tratta di un diritto derivato e per tali ragioni la questione non è strettamente legata a quella più ampia della riconoscibilità dello status. Quindi questione inedita, che, tuttavia, la sezione semplice ha ritenuto di riporre nelle mani delle sezioni unite.
Sullo sfondo il problema italiano di non avere vie di mezzo: l’opzione del riconoscimento e della trascrizione è interpretata come un automatismo, cui si contrappone l’automatismo del rifiuto temperato dall’unico rimedio dell’adozione in casi particolari. Non si lavora su una terza via. Ecco allora che si allargano con fatica e non senza artifici le maglie degli articoli 44 ss. legge n. 184/1983, la Corte costituzionale e le sezioni unite plasmando oramai una forma ulteriore di adoptio pleno jure. Ma non è ancora un rimedio idoneo, come il caso odierno fa intendere. Forse, finalmente, si ragionerà nel senso che può darsi luogo al riconoscimento (con effetti ex tunc) secondo quella valutazione caso per caso che è consentita al giudice in ogni giudizio, incluso quello di exequatur. E secondo criteri che ben potrebbero essere offerti dalle Sezioni unite onde evitare automatismi in un senso o nell’altro.
Quanto alla tutela del rapporto fra i due partner dello stesso genere, qui la sezione lavoro dà atto di due arresti che l’avevano negata, sentendosi così costretta ad investire il collegio più ampio. Un precedente è della stessa sezione. Tuttavia, si noterà che quel ricorso era incentrato nei termini tradizionali dell’azione previdenziale quale domanda di accertamento del diritto al trattamento. Così confinata, fu rigettata perché la normativa italiana non consentiva il riconoscimento al partner sopravvissuto di fatto ed essa non era stata ritenuta manifestamente incostituzionale. Il secondo precedente, invece, faceva leva anche sulla dimensione discriminatoria della legislazione italiana alla luce del diritto dell’UE, secondo cui i trattamenti di reversibilità sono una forma di retribuzione lavorativa e secondo cui sussiste discriminazione diretta se benefici retributivi sono condizionati ad un istituto – il matrimonio – che non è accessibile alle coppie omosessuali. La sezione lavoro si spogliò della causa in ragione di questi argomenti in favore della prima sezione, la cui scure cadde però puntuale. Interessante notare il passaggio secondo cui spetterebbe al giudice italiano compiere il bilanciamento. Passaggio alquanto dubbio, considerato che si tratta di discriminazione diretta, quindi dai margini di giustificazione assai angusti, ma grazie al quale la Prima sezione si sentì di negare con tono tranchant il rinvio pregiudiziale.
La Sezione lavoro, nel rimettere ora alle sezioni unite la causa, dà atto che, a differenza dei due precedenti citati, la coppia era coniugata all’estero e sulla base anche di questo distinguo invita a riconsiderare la questione.
Entrambe le questioni sono innervate di questioni costituzionali, ma anche unionali, proprio in ragione degli argomenti antidiscriminatori, su cui, peraltro, si incentra il primo motivo del ricorso incidentale dei beneficiari. Questi, infatti, lamentano che la Corte di appello ha unicamente accertato il diritto al trattamento, ritenendo assorbita la domanda di accertamento della condotta discriminatoria dell’INPS, cui era associata una domanda risarcitoria. Tale assorbimento è legittimo?
Per ora la Corte di giustizia non è stata chiamata ad esprimersi da nessun giudice di merito o di legittimità, nonostante l’evidente connessione del trattamento previdenziale con la disciplina antidiscriminatoria da un lato e con la tutela dei nati da gestazione per altri dall’altro. Difficile immaginare che i giudici di Piazza Cavour possano nuovamente ritenere che il giudice unionale non abbia alcuna voce in capitolo, come pure sbrigativamente scrisse la Prima sezione. Ed è forse significativo a tal proposito che questa volta la sezione lavoro non abbia ritenuto di passare nuovamente il faldone ai colleghi della prima, tabellarmente competenti per le cause attinenti ai “diritti della personalità”.
Infine – come se non bastasse – l’ordinanza interlocutoria invita i colleghi del massimo consesso ad esprimersi anche sui rimedi antidiscriminatori – e, quindi, anche sui poteri del giudice ordinario – all’indomani della sentenza 15/2024 della Consulta. Di che scrivere in futuro ben più di un commento.
La massima e il testo della sentenza sono consultabili qui
Nota a cura della redazione