Con la sentenza in commento la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è espressa sulla conformità al diritto eurounitario della normativa della Repubblica Ceca, che impedisce ai cittadini dell’Unione Europea residenti nello Stato, ma senza cittadinanza ceca, di diventare membri di un partito o movimento politico. Tali cittadini, infatti, secondo la legislazione nazionale possono candidarsi alle elezioni locali e del Parlamento Europeo solo come indipendenti.La questione, portata all’attenzione della Corte con ricorso ai sensi dell’art. 258 TFUE, ha riguardato l’interpretazione dell’articolo 22 del TFUE, secondo cui “ogni cittadino dell’Unione residente in uno Stato membro di cui non è cittadino ha il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato. Fatte salve le disposizioni dell’articolo 223, paragrafo 1, e le disposizioni adottate in applicazione di quest’ultimo, ogni cittadino dell’Unione residente in uno Stato membro di cui non è cittadino ha il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato. Tale diritto sarà esercitato con riserva delle modalità che il Consiglio adotta, deliberando all’unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo; tali modalità possono comportare disposizioni derogatorie ove problemi specifici di uno Stato membro lo giustifichino.”
La Commissione ha contestato alla Repubblica Ceca il fatto che, ponendo come requisito per l’adesione a partiti politici la cittadinanza, lo Stato ha di fatto impedito ai cittadini dell’Unione residenti sul suo territorio, di esercitare pienamente il loro diritto di eleggibilità alle elezioni comunali e al Parlamento Europeo. Secondo la Commissione, posto che l’appartenenza a un partito o movimento politico è il mezzo principale per partecipare alle elezioni come candidati, l’impossibilità di esserne parte per i cittadini europei non cechi determina una discriminazione nei loro confronti.
Il legislatore dell’Unione Europea, in attuazione dell’art. 22 TFUE, ha adottato due direttive in materia di elezioni locali ed europarlamentari (direttive 93/109 e 94/80), ma nessuna di esse disciplina le condizioni per diventare membri di un partito o movimento politico. Secondo la Repubblica Ceca, questa “assenza di regolamentazione” esclude che l’adesione a un partito politico rientri nel vincolo di trattamento uguale (le “stesse condizioni”) imposto dall’articolo 22 TFUE. In altre parole, lo Stato membro ha ritenuto che la norma riguardasse esclusivamente il diritto di voto e di eleggibilità, senza estendersi alla partecipazione politica attraverso l’adesione a partiti.La normativa nazionale è stata difesa dal governo ceco anche perché ritenuta necessaria per garantire la protezione del sistema politico e costituzionale dello Stato, nonché per assicurare il rispetto dell’identità nazionale, in linea con l’articolo 4, paragrafo 2, del Trattato sull’Unione Europea (TUE).
Secondo il governo ceco, la restrizione alla possibilità di aderire a partiti politici per i cittadini europei non cechi è giustificata da un interesse superiore legato alla protezione della sovranità nazionale e alla difesa dell’ordine costituzionale dello Stato.Nel rispondere a tali rilievi la Corte ha esaminato il significato e la portata dell’art. 22 TFUE attraverso un’interpretazione che ha tenuto conto degli aspetti letterale, sistematico e teleologico della norma.
La Corte ha innanzitutto affermato che l’articolo 22 TFUE stabilisce un divieto specifico di discriminazione fondato sulla cittadinanza in relazione all’esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali e al Parlamento europeo, vietando di subordinare l’esercizio di tali diritti a condizioni diverse da quelle applicabili ai propri cittadini. Questo divieto specifico di trattamenti differenziati prevale, nell’interpretazione della Corte, sul generale divieto di discriminazione per nazionalità di cui all’art. 18 TFUE che trova applicazione soltanto nelle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione per le quali non esistano norme specifiche che vietino discriminazioni, come nel caso dell’articolo 22 TFUE, che regola esplicitamente i diritti di voto e di eleggibilità.
Inoltre, la Corte ha chiarito che le direttive 93/109 e 94/80, in linea con quanto stabilito dall’articolo 22 TFUE, si limitano a disciplinare le modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni e non affrontano le condizioni per l’acquisizione della qualità di membro di un partito politico da parte dei cittadini dell’Unione Europea residenti in uno Stato membro senza averne la cittadinanza. In altre parole, le direttive si occupano solo dei diritti di voto e di eleggibilità, ma non estendono la loro portata alle condizioni politiche relative all’appartenenza a partiti politici.Questa interpretazione è stata determinante nel chiarire che l’esclusione dei cittadini europei non cechi dall’adesione ai partiti politici non rientra nelle possibilità derogatorie previste dalla legislazione europea.Esclusa dunque sia la riconduzione all’art. 18 TFUE sia la possibile applicazione delle deroghe consentite dalle direttive citate e preso anche atto che la determinazione delle condizioni per diventare membri di partiti o movimenti politici rientri nelle competenze degli Stati membri (art. 4 par. 1 e art. 5 par. 2 TUE), la Corte ha fatto discendere il diritto alla iscrizione dalla stessa cittadinanza dell’Unione.
La lettura combinata degli artt. 20 e 22 TFUE permette infatti alla Corte di riconoscere il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali e del Parlamento europeo come un corollario dello status di cittadino dell’Unione. La Corte esclude, contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica Ceca, che il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali e alle elezioni europee possa essere considerato un’eccezione alla regola generale secondo cui solo i cittadini di uno Stato membro possono partecipare alla vita pubblica e politica di quello Stato. Piuttosto, tale diritto deriva direttamente dall’acquisizione della cittadinanza europea.Letto in quest’ottica più ampia il diritto di voto comprende il diritto di svolgere le attività connesse al diritto stesso, prima fra tutte l’attività politica in senso ampio. La normativa ceca, pur non impedendo in linea di principio l’eleggibilità per i cittadini dell’Unione non cechi, introduce una disparità di trattamento in grado di ostacolare l’esercizio del diritto conferito dall’art. 22 TFUE: poiché i partiti politici svolgono una funzione centrale nel sistema democratico dell’Unione Europea, l’appartenenza a un partito o movimento politico è un elemento essenziale per l’esercizio del diritto di eleggibilità.
Inoltre, tenuto conto dell’obiettivo dell’art. 22 TFUE — che mira a garantire ai cittadini dell’Unione, residenti in uno Stato membro senza esserne cittadini, la possibilità di partecipare attivamente al processo elettorale a livello locale ed europeo, e a garantire la parità di trattamento tra cittadini europei — la Corte conclude che debba essere assicurato pari accesso ai mezzi disponibili nell’ordinamento nazionale per i cittadini dello Stato membro. Solo in questo modo si potrebbe favorire la progressiva integrazione del cittadino dell’Unione nella società dello Stato ospitante.Il fatto che il diritto ceco consentisse ai cittadini europei non cechi di candidarsi nelle liste proposte dai partiti politici o dalle loro coalizioni pur non essendo iscritti ad essi, non è stato ritenuto, secondo la Corte di Giustizia, sufficiente a “sanare” la disparità di trattamento prevista dalla legislazione nazionale.
La Corte, richiamando le argomentazioni della Commissione, ha osservato che l’impossibilità di diventare membri di un partito o movimento politico potesse, di fatto, escludere il cittadino europeo dalla partecipazione alle decisioni più rilevanti dei partiti, come quelle relative all’iscrizione nelle liste dei candidati o alla posizione da occupare all’interno di esse. Pertanto, i cittadini dell’Unione residenti in Repubblica Ceca senza esserne cittadini non potevano godere di un pari accesso agli strumenti di cui disponevano i cittadini cechi, ciò impedendo loro di esercitare il diritto di eleggibilità alle stesse condizioni.Per quanto riguarda l’argomentazione della Repubblica Ceca, secondo cui la legge, in particolare gli articoli 1 e 2, par. 3 della legge sui partiti e movimenti politici, sarebbe volta a proteggere il sistema politico e costituzionale nazionale, nonché a rispettare l’identità nazionale, la Corte ha osservato che il diritto di voto e di eleggibilità, come previsto dall’art. 22 TFUE, si applicasse esclusivamente alle elezioni comunali ed europee.
Di conseguenza, uno Stato membro avrebbe potuto legittimamente introdurre trattamenti differenti per le elezioni nazionali, senza violare il diritto dell’Unione. L’art. 22 TFUE, infatti, garantisce ai cittadini dell’Unione che risiedono in uno Stato membro senza esserne cittadini il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali ed europee, alle stesse condizioni dei cittadini nazionali. Questo diritto riflette i principi fondamentali di democrazia e parità di trattamento, che sono essenziali per l’identità dell’Unione Europea. Pertanto, consentire a tali cittadini europei di divenire membri di un partito o movimento politico nello Stato di residenza, avrebbe rappresentato solo un modo per attuare concretamente questi principi e non avrebbe invece costituito una minaccia per l’identità nazionale dello Stato.La cittadinanza dell’Unione esce dunque, da questo passaggio avanti la Corte, decisamente rafforzata, a fronte della rivendicazioni di “identità nazionali”, che, creando condizioni diverse tra cittadini dei diversi Paesi finirebbero di fatto per svuotarla di significato
massima della sentenza consultabile qui
Beatrice D’Armini