Con sentenza 29.7.2024 nelle cause riunite C-112/22 e 223/22, la Corte di giustizia ha dichiarato che il requisito di 10 anni di residenza in Italia per accedere al reddito di cittadinanza (RDC) previsto dal D.L. 4/2019 è in contrasto con l’obbligo di parità di trattamento di cui all’art. 11, par. 1, lettera d) della direttiva n. 2003/109. Secondo la Corte, tale discriminazione (da considerarsi indiretta perché il requisito era previsto anche per i cittadini italiani) non è giustificata dalla finalità di riservare la prestazione solo ai lungo soggiornanti che siano residenti da più lungo periodo e pertanto, secondo l’argomentazione proposta dall’Italia in difesa del requisito del soggiorno, maggiormente integrati.
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Ordinanza del 9.12.2023 Tribunale di Catanzaro – Sez. Lavoro
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L’autore rileva che la suddivisione dei poveri in una infinità di sottocategorie – già avviata dalla legge istitutiva dell’Assegno di inclusione (DL 48/2023) e portata all’eccesso dal D.M. del Ministero del Lavoro del 13.12.2023 – contrasta con la necessaria universalità delle prestazioni di contrasto alla povertà e, per i cittadini di paesi non-UE, crea contraddizioni insanabili con i requisiti del permesso di lungo periodo e della pregressa residenza quinquennale.
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di Francesco Rizzi Leggi il decreto 1. Premessa. La decisione in commento è di estremo interesse per…
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Segnaliamo il convegno “Società civile, cittadinanza civica e diritto dell’antidiscriminazione: Dinamiche di sussidiarietà ed integrazione degli stranieri”, organizzato dall’Università di Trento per le giornate del 17 e 18 novembre 2023.
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In Groff, una unanime Corte Suprema ha stabilito che il datore di lavoro deve accomodare ragionevolmente le richieste su base religiosa avanzate dal lavoratore, a meno che questo non implichi un onere eccessivo, alla luce dell’organizzazione d’impresa. Il giudice deve applicare il suddetto standard, tenendo in considerazione tutti i pertinenti elementi fattuali, tra i quali la natura, la grandezza dell’impresa e i costi. Con tale decisione, la Corte Suprema ha di fatto accantonato, pur formalmente non dichiarandolo superato, il precedente Hardison secondo cui un datore di lavoro, laddove sia chiamato a soddisfare una pretesa a base religiosa del lavoratore, è tenuto a sopportare solo un costo minimo.