Con la decisione in commento, il Consiglio di Stato conferma la sentenza del TAR Emilia-Romagna (sez. I) avente a oggetto la legittimità della atto amministrativo adottato da un Comune in merito all’accordo di programma provinciale (come previsto dalla legge n. 104/1992) per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità: in tale atto (che nella decisione è indicato come “nota del Comune del 30.8.2022), il Comune disponeva la riduzione delle ore di assistenza scolastica in difformità a quanto disposto dal Piano Educativo Individualizzato (PEI) di tutti gli alunni con disabilità.
La vicenda giudiziaria vede protagonisti i genitori di un minore al quale erano state riconosciute nel PEI 12 ore settimanali di sostegno e 13 di assistenza scolastica: proprio quest’ultime venivano ridotte a 7 nell’anno scolastico 2022-2023, senza alcun preavviso né coinvolgimento dei genitori, con la decisione del Comune. I genitori chiedono in prima istanza l’annullamento della nota dell’Amministrazione comunale. Il TAR respinge però il ricorso, affermando che le ore di assistenza sancite dal PEI non sono vincolanti per gli enti locali, i quali devono provvedere nei limiti delle risorse economiche disponibili.
La decisione del TAR é confermata dal Consiglio di Stato, secondo cui la riduzione delle ore di assistenza é giustificata dall’assenza di risorse economiche sufficienti e tale riduzione, in ogni caso, non pregiudica il normale svolgimento della vita scolastica del minore.
Le questioni che la decisione tocca riguardano il diritto all’inclusione scolastica e l’incomprimibilità del diritto all’istruzione, il rispetto delle regole circa la disposizione delle ore di sostegno e di assistenza, la vincolatività o meno di tali disposizioni, la legittimità della riduzione a fronte di risorse economiche non disponibili.
Si vogliono qui in particolare proporre tre considerazioni critiche in merito alla decisione.
Anzitutto, la tesi della non assoluta prevalenza del diritto all’istruzione e all’inclusione scolastica su vincoli di bilancio, sostenuta dal Consiglio di Stato, é sconfessata da numerose e significative decisioni precedenti, anche della Corte costituzionale, mentre, al contrario, i richiami giurisprudenziali effettuati dal Consiglio di Stato a sostegno di tale tesi – la sentenza della Corte cost. n. 248 del 2011 e la sentenza del Consiglio di stato (sez III) n. 271 del 2021 – trattano solo incidentalmente del contenimento della spesa pubblica .
Come sottolineato dai ricorrenti, se il diritto all’istruzione e all’inclusione scolastica è per tutti e tutte un diritto fondamentale ex artt. 2, 3, 34 e 38 Cost., quando si tratta di garantire tale diritto in capo a una persona con disabilità, l’ordinamento deve assicurare la frequenza della scuola e non già meramente facilitarla (Corte cost. sent. n. 215/87). Con tale decisione, la Corte costituzionale ha segnato un passo fondamentale verso la piena inclusione delle persone con disabilità nell’ambiente scolastico, richiamando i principi costituzionali che devono governare qualsiasi provvedimento in merito. Il ragionamento della Corte infatti si staglia al centro della questione sulla portata sostanziale dell’art. 3 Cost., per cui essa afferma che: “L’inserimento nella scuola e l’acquisizione di una compiuta istruzione sono strumento fondamentale per quel “pieno sviluppo della persona umana” che tali disposizioni [gli artt. 2 e 3 Cost.] additano come meta da raggiungere”.
E ancora, la Corte costituzionale, in riferimento ad alcune disposizioni della L. 104/1992, ha inoltre affermato che sebbene il legislatore goda di una certa discrezionalità nell’individuare le misure necessarie a rendere operativo il diritto all’istruzione “detto potere discrezionale non ha carattere assoluto e trova un limite nel rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati” (sentenza n. 80/2010 che richiama sentt. n. 251 del 2008 e n. 226 del 2000).
Per questo è necessario interrogarsi su un secondo elemento, cioè sui confini entro cui si possa considerare salvo il “nucleo indefettibile” del diritto in oggetto. Più nello specifico bisogna chiedersi se il PEI abbia natura vincolante o meno. Il Consiglio di Stato ritiene che il PEI non sia vincolante poiché “si limita a formulare motivate proposte e non già determinazioni conclusive”. Il PEI viene definito come il risultato delle determinazioni conclusive del Gruppo di Lavoro Organizzato (GLO) che elabora delle “proposte” (art. 7, co. 2, lett. d) del d.lgs. 66/2017.
È quindi in ragione del dato letterale della norma che il Consiglio di Stato giunge alla conclusione che il PEI, in seguito al d.lgs. 66/2017, non abbia, in merito ai profili qui discussi, carattere di vincolatività.
Di altro avviso è però una recentissima pronuncia del Tribunale di Monza emanata in data 10/09/2024 nella quale si legge che “il piano educativo individualizzato, definito ai sensi dell’art. 12 l. 104/1992, obbliga l’amministrazione scolastica a garantire il supporto per il numero di ore programmato, senza lasciare ad essa il potere discrezionale di ridurne l’entità in ragione delle risorse disponibili”. E tale interpretazione è d’altro canto avvallata da una ricca giurisprudenza amministrativa (si veda sul punto Tar Bari sent. n. 768 del 2013; Tar Bari n. 973 del 2013; Tar Genova n. 10135 del 2010, n. 1804 del 2010, n. 1183 del 2010), in linea con alcune pronunce della Corte di Cassazione che individuano nella riduzione delle ore di sostegno e/o assistenza per motivi economici un comportamento discriminatorio dal momento che la riduzione avviene solo nei confronti degli alunni e delle alunne con disabilità e non anche di tutti gli altri e tutte le altre (Cass. SU Sent. n. 25011 del 2014).
Considerate entrambe le ricostruzioni si vuole qui evidenziare come nel caso di specie la riduzione delle ore di assistenza sia avvenuta per tutti gli studenti e le studenti residenti nel territorio del Comune, che tale riduzione è di ben 6 ore per cui il totale delle ore di assistenza risulta praticamente dimezzato, e infine che le ore di assistenza sono importanti tanto quanto quelle di sostegno e non sono per questo sacrificabili, in ragione della rilevanza di un tempo dedicato “all’autonomia e alla comunicazione”, cioè all’impartire nozioni fondamentali per lo sviluppo personale e relazione della persona coinvolta.
Da ultimo è necessario discutere dell’uso della nozione di accomodamento ragionevole a cui fa riferimento nella decisione il Consiglio di Stato.. Come noto, il concetto di accomodamento ragionevole compare inizialmente nella direttiva 2000/78/CE (recepita in Italia con il d.lgs 216 del 2003) all’art 5 intitolato “soluzioni ragionevoli”. Il campo di applicazione soggettivo della norma attiene alle persone con disabilità mentre il campo di applicazione oggettivo, in riferimento all’intera direttiva, è solo quello del lavoro.
Un ulteriore sviluppo del concetto di accomodamento ragionevole si rintraccia all’interno della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità del 2006 (ratificata in Italia con L. n. 18 del 2009, che peraltro aveva già adottato la L. 67/2006 che ampliava oltre all’ambito del lavoro la tutela contro la discriminazione per disabilità). In particolare, la Convenzione stabilisce all’art. 2 che per accomodamento ragionevole si intendono “le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali”. La Convenzione sancisce esplicitamente l’applicabilità dell’obbligo di accomodamento ragionevole all’ambito dell’istruzione (art. 24).
Nel ricorso avanti al Consiglio di Stato, la riduzione delle ore di assistenza era stata quindi lamentata come una violazione degli artt. 3 e 24 della Convenzione ONU. Tali disposizioni infatti prevedono che gli Stati parti debbano garantire il diritto all’istruzione, assicurando che non vi siano esclusioni, attraverso misure di sostegno personalizzato (art. 3). Ciò include la garanzia di un accomodamento ragionevole in funzione dei bisogni di ciascuno (art. 24 par. 2 lett c) e la garanzia di un diritto all’istruzione lungo tutto l’arco della vita della persona sempre tramite un accomodamento ragionevole (art. 24 par. 5).
Il limite previsto per gli oneri che la richiesta di accomodamento ragionevole comporta è quello del costo sproporzionato a carico della struttura e/o datore di lavoro e/o ente locale interessato (v. art. 5 Direttiva 2000/78 o art. 2 Convenzione ONU)[1].
Fatte queste premesse, sembra fuori fuoco l’argomento, proposto dal Comune – a difesa della decisione di tagliare il numero di ore – e avallato dal Consiglio di Stato, che sovrappone la scarsità di risorse economiche con “l’eccessivo onere” di cui all’art. 2 della Convenzione ONU. Si legge infatti nella sentenza che “il prudente contemperamento dell’indefettibile diritto fondamentale del disabile alle necessarie misure di inclusione scolastica con i vincoli di finanza pubblica si atteggia a paradigmatica concretizzazione di tale nozione di matrice convenzionale, non potendo mai esigersi in capo all’autorità pubblica che l’apprestamento di tali misure solidaristiche comportino oneri insopportabilmente sproporzionati o eccessivi, tali da mettere a rischio la copertura finanziaria di queste politiche nel medio-lungo periodo”.
L’argomentazione del Consiglio di Stato pare distorcere profondamente la natura dell’istituto dell’accomodamento ragionevole che, lungi dall’essere una giustificazione alla mancata allocazione di adeguate risorse economiche o organizzative dell’ente in questione, è sempre stato baluardo dei diritti delle persone marginalizzate. [2] I genitori ricorrenti non chiedono ore di assistenza ulteriori rispetto a quelle che per almeno un anno sono state in grado di soddisfare il diritto del minore all’istruzione e all’inclusione scolastica, ma chiedono che il numero di ore non venga ridotto arbitrariamente e in maniera indiscriminata senza considerare la condizione di ognuno, come invece l’accomodamento ragionevole prevede. Peraltro il Consiglio di Stato non indica quale sia il parametro cui commisurare l’eccessiva onerosità, sicché sarebbe sufficiente alla PA ridurre al minimo lo stanziamento per affermare l’impossibilità dell’accomodamento ragionevole.
La decisione del Consiglio di Stato si pone quindi in contrasto sia con le indicazioni inerenti al diritto dello studio delle persone con disabilità più volte ribadite dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza di cassazione sia con la ratio delle disposizioni normative internazionali (e recepite nel nostro ordinamento) volte a promuovere un cambio di paradigma anche delle politiche pubbliche che, proprio considerando tale nuovo paradigma, devono programmare la distribuzione delle risorse.
La massima e il testo della decisione sono reperibili qui
Ludovica Berlingieri, dottoressa in giurisprudenza
[1] Per un classico esempio dell’uso di tale argomento si vedano le sentenze Corte giust.11 aprile 2013, Cause riunite C-335/11 e C-337/11, comunemente note come sentenze HK Danmark (dal nome del sindacato che agisce in giudizio).
[2] Il fondamento teorico su cui si basa tale istituto si può rintracciare nel c.d. modello sociale della disabilità (modello che può essere esteso agli altri fattori di discriminazione protetti dalle norme internazionali, europee e nazionali) che costituisce un cambiamento di prospettiva ponendo l’accento sulla società in quanto agente disabilitante piuttosto che sulle caratteristiche intrinseche della persona disabile. Il modello sociale sottolinea come sia la società a disabilizzare le persone, dal momento in cui essa perpetua un modello di corpo sano e abile a cui vengono contrapposti tutti i corpi che non vi si conformano.