Stefania Scarponi [2]
Sommario*: 1. I recenti Report internazionali e nazionali e il contrasto alla frammentazione normativa. – 2. Il coordinamento tra sistemi di tutela e la questione definitoria delle molestie: una proposta interpretativa. – 3. La promozione della prevenzione anche mediante l’azione giudiziale contro le discriminazioni collettive: un recente caso giudiziario. – 4. Brevi osservazioni sul sistema penale.
* Il presente scritto costituisce rielaborazione della relazione svolta al Seminario “Molestie e molestie sessuali nel lavoro: quali strumenti di contrasto in ottica di genere?” , organizzato da NoiReteDonne e Comma2LavoroèDignità, Bologna 26 gennaio 2024, reperibile su YouTube nel sito di Noiretedonne.
1. I recenti Report internazionali e nazionali e il contrasto alla frammentazione normativa
Alcune importanti istituzioni internazionali e nazionali nel periodo recente hanno prodotto documenti che sollecitano la riflessione in tema di molestie nei luoghi di lavoro, in particolare quelle sessuali. Al riguardo si segnala il Report dell’ILO febbraio 2024 “Preventing and addressing violence and harassement in the word of work trought occupational safety and health (S&H)”, correlato alla Convenzione n. 190/2019; il Report ISTAT del luglio 2024 “Sulla sicurezza dei cittadini”, riferito al periodo 2022-2023, che contiene una sezione dedicata alle molestie nel lavoro, e infine il documento INAIL “Valutazione dei rischi in chiave di genere” che affronta la questione della prevenzione delle molestie fisiche, psicologiche e sessuali nell’ambito del fattore “stress – lavorocorrelato”[3].
È condivisa l’opinione che ritiene indispensabile, al fine di un efficace contrasto del fenomeno, l’assunzione di un approccio integrato tra i diversi sistemi di tutela, in particolare con riferimento sia alla strumentazione correlata alla protezione della salute e sicurezza sul lavoro sia a quella antidiscriminatoria storicamente più propria della dimensione di genere, combinando inoltre il versante giuslavoristico con quello penale. In particolare, il recente documento ILO – che ribadisce l’importanza di privilegiare l’approccio fondato sulla tutela della S&H, essendo in grado di assicurare in modo generalizzato la protezione a tutti i lavoratori – non trascura, tuttavia, la rilevanza del dato statistico per cui la violenza e le molestie sul lavoro sono più frequenti nei confronti dei soggetti protetti dai divieti di discriminazione, sottolineando, inoltre, che specifiche forme di violenza e molestie sono rivolte pressocchè esclusivamente alle donne, come il sexual harassement[4]. Il dato è confermato dal Rapporto ISTAT citato, da cui risulta che il 13,5 % delle donne tra i 15 e i 70 a. – di cui la percentuale maggiore riguarda la fascia di età dai 15 ai 24 a.- ha subito almeno una molestia nel corso della propria vita lavorativa contro il 2,4% degli uomini nella stessa fascia di età[5].
In questa logica, il documento ILO affronta le questioni che possono derivare dalla molteplicità dei ceppi normativi: oltre a quello di derivazione internazionale va considerato l’apparato antidiscriminatorio – come quello di matrice euro – unitaria, che ricomprende il contrasto alle molestie nel mondo del lavoro nei confronti di tutti i soggetti protetti dai divieti di discriminazione, secondo le direttive 2000/43 e 78 e la 06/54 – e altresì le norme internazionali volte al contrasto della violenza di genere, come la Conv. di Istanbul[6] con le conseguenti norme di recepimento.
Il criterio caldeggiato per assicurare il miglior coordinamento tra le fonti [7]consiste nello sviluppo di un approccio integrato, allo scopo di massimizzare il più possibile l’efficacia dell’azione di contrasto a livello nazionale, coniugando la tutela preventiva, tipica dell’approccio basato sulla tutela della salute e sicurezza con particolare riferimento al rischio psico-sociale, con quella rimediale e sanzionatoria tipica dell’approccio antidiscriminatorio. Tale visione appare in larga misura condivisibile, permettendo di affrontare le questioni poste nel nostro ordinamento dall’assenza del provvedimento di accompagnamento alla legge di ratifica della Conv. n. 190 /2019, entrata in vigore il 29 ottobre 2022. Va sottolineato, inoltre, che anche le tecniche di prevenzione possono ben essere valorizzate mediante il ricorso a strumenti tipici del diritto antidiscriminatorio, come risulta da una recente sentenza analizzata nel successivo par.3.
In ottica di genere, il versante giuslavoristico offre un assetto equilibrato tra i vari strumenti delineati dall’apparato complessivo del diritto del lavoro: come è noto, nell’art.26 del Codice di Pari Opportunità la configurazione delle molestie a stregua di discriminazione, con il relativo apparato rimediale e sanzionatorio, si accompagna al rinvio all’art.2087 c.c. con tutte le conseguenti applicazioni, vietando altresì gli atti di ritorsione nei confronti di chi abbia effettuato denuncia. L’adeguatezza del nostro ordinamento alla normativa internazionale sotto il profilo appena delineato è supportata altresì dal superamento di una delle principali obiezioni al ricorso allo strumento antidiscriminatorio, ovvero la difficoltà di dimostrare l’intenzionalità del comportamento, essendo prevalsa la nozione “oggettiva” della discriminazione, fermo restando che l’eventuale intenzionalità verificatasi nel caso concreto potrà essere addotta come ulteriore aggravante del comportamento molesto[8]. L’ampia portata della disciplina prevenzionistica ai sensi dell’art.28 D.lgs. n.81/2008 permette, inoltre, di ricomprendere anche il rischio riferito alle molestie come conferma il recente documento INAIL sopra richiamato[9].
2. Il coordinamento tra sistemi di tutela e la questione definitoria delle molestie: una proposta interpretativa
Rinviando al prosieguo gli ulteriori approfondimenti in tema di prevenzione, si intende qui puntualizzare che la convergenza nel ricorso agli strumenti disposti dai divieti di discriminazione e quelli di tutela della salute e sicurezza integrando così le tecniche del diritto euro-unitario con quelle di matrice internazionale, non si realizza invece pienamente quanto alla tecnica definitoria riguardante le molestie.
In merito, il recente Report ISTAT riconduce la tipologia delle molestie a tre classi – offese, proposte inappropriate, molestie fisiche – che appare coerente con la gamma esemplificativa descritta dalla Racc.206 allegata alla Convenzione ILO n.190, par.28, in cui rientrano i fenomeni di “bullying, threats, abuse, mobbing, insulting, excluding someone, sending offensive words or images, use offensive language, humiliating, make unwonted physical contact, circulating offensive word or images; abusing of position of power; inappropirate jokes or banter, making suggestive behaviour; making unwelcome sexual advance”.
Tale elenco, così come quello individuato dall’ISTAT, ha natura appunto esemplificativa/specificativa dei comportamenti da considerare illegittimi ma non ha natura definitoria, dato che la materia è regolata dalla definizione contenuta nel diritto antidiscriminatorio e da quella emergente dalla Conv. n. 190. Il pregio di entrambe è di essere fondate su categorie generali, permettendo così di adattare la tutela a fronte dei comportamenti più svariati ed estendere eventualmente l’ambito di applicazione a nuove tipologie emergenti, come avviene con le molestie attuate mediante gli strumenti connessi all’evoluzione tecnologica, quali le molestie via web. Altri elementi di convergenza fra le tecniche definitorie riguardano l’irrilevanza dell’elemento dell’intenzionalità e della ripetitività, comune alle due definizioni, che è stata già recepita dalla giurisprudenza, come risulta dall’orientamento di legittimità confermato da recenti pronunce[10].
Il coordinamento tra apparati normativi di matrice differente presenta invece qualche difficoltà a causa della difformità tra la definizione contenuta nella Conv.190 ratificata e quella vigente che risulta dalla trasposizione delle direttive europee: l’una[11], incentrata sulla “produzione, anche potenziale, di un danno fisico, psicologico, sessuale o economico” che – pur essendo inteso in modo molto ampio e non necessariamente a carattere intenzionale – pone comunque alla vittima l’onere della prova; l’altra[12], fondata sul carattere indesiderato del comportamento che offende la dignità del soggetto protetto dai divieti di discriminazione e tale da creare un clima ostile, degradante, umiliante od offensivo, con la possibilità di ottenere comunque il risarcimento del danno. Quest’ultima corrisponde ad una visione fondata sulla percezione della vittima, e dunque a carattere soggettivo, mentre il riferimento al termine “inqualificabili” usato dalla prima dovrebbe garantire una maggiore oggettività delle condotte perseguibili essendo basato su valori condivisi a livello sociale. Esso, tuttavia, si presta ad avallare anche relativismi ambientali a seconda del contesto in cui si sono verificate le molestie, consentendo visioni riduttive della gravità del comportamento con l’effetto di depotenziare la tutela della vittima. Significativa da tale punto di vista appare la sentenza che ha negato la rilevanza (penale) del comportamento del bidello che aveva infilato la mano nei pantaloni di una studentessa, sul presupposto che si trattava di uno scherzo, essendo confermato dal fatto che l’imputato era solito scherzare con tutti gli studenti senza dar luogo mai ad alcuna lamentela[13].
In assenza di un intervento legislativo tale da eliminare definitivamente ogni dubbio[14], occorre reperire sul versante interpretativo il criterio di coordinamento tra le due nozioni. Senza dover ricorrere a quello della preminenza della norma più favorevole che regola il conflitto tra norme di fonte internazionale e di fonte europea, comunque di non facile applicazione per le ragioni appena viste, sembra appropriato considerare comunque “inqualificabile” qualunque comportamento sgradito alla vittima, integrando sotto questo profilo le due definizioni,secondo l’impostazione caldeggiata anche dal documento dell’ILO sopra ricordato. A conferma della preminenza del carattere indesiderato del comportamento va ricordato che esso è previsto anche dalla definizione di molestie sessuali contenuta nella Convenzione di Istanbul[15].
In proposito, è condivisibile la recente pronuncia della Cassazione[16] relativa ad un caso di molestie verso colleghe, con cui un dipendente con mansioni di “team leader” voleva intrattenere rapporti extralavorativi, tradottosi nel licenziamento dell’autore. Di rilievo nella pronuncia appare in primo luogo l’estensione del campo di applicazione della tutela anche alla sfera extralavorativa ma pur sempre connessa al rapporto di lavoro, nonchè l’irrilevanza della intenzionalità del comportamento contestato, secondo i canoni sanciti anche dalla Conv. ILO n.190. Sotto il profilo della definizione della fattispecie di molestie e molestie sessuali, la sentenza ribadisce che ai sensi dell’art.26 Codice P.O., è rilevante il carattere indesiderato della condotta[17], anche se da essa non derivano aggressioni fisiche, “essendo questa e la conseguente tutela fondate sull’oggettività del comportamento e dell’effetto prodotto”. La pronuncia richiama anche la definizione contenuta nella Conv. ILO n. 190 limitandosi a citarne testualmente il contenuto, quale completamento del quadro normativo vigente e a conferma della rilevanza del contrasto alle molestie sul lavoro, senza attribuirle alcun rilievo preminente rispetto a quella contemplata dall’art.26 citato che dunque rimane la norma di riferimento.
3. La promozione della prevenzione anche mediante l’azione giudiziale contro le discriminazioni collettive: un recente caso giudiziario
L’importanza della valutazione dei rischi (anche) di molestie ne impone l’attuazione da parte del datore di lavoro prima di disporre eventuali altre misure, pur se rilevanti ai fini complessivi, come la predisposizione di regole mediante l’emanazione di codici etici o altri sistemi di regole definite dai contratti collettivi di lavoro[18] che, pure importanti, rischiano di essere documenti astratti dal contesto applicativo proprio di ciascuna azienda o luogo di lavoro. In proposito, il documento emanato di recente dall’Inail, come si è ricordato, dedica un apposito approfondimento relativo al rischio di violenze e molestie[19]. Esso sottolinea l’obbligo in chiave di prevenzione di tener conto che alcuni settori e/o gruppi sono più esposti di altri al rischio, dato che trova conferma anche dall’analisi ISTAT, da cui l’importanza di procedere alla valutazione mediante sistemi partecipativi di consultazione dei dipendenti, ed in particolare delle lavoratrici, secondo il metodo “bottom to up”, ribadito altresì dal Report ILO citato.
A favore dell’importanza di assicurare adeguati strumenti di prevenzione anche in settori o aziende in cui mancano contratti collettivi o codici etici effettivamente applicati, è interessante la possibilità di ricorrere allo strumento contemplato dall’apparato di tutela giudiziale derivante dal diritto antidiscriminatorio in situazioni ove siano configurabili discriminazioni collettive, con conseguente autonoma legittimazione ad agire della Consigliera di Parità e ottenimento dell’ordine del giudice nei confronti del datore di lavoro di predisporre un piano di rimozione delle discriminazioni accertate e di contrasto al loro ripetersi, ai sensi dell’art.37, c.3 Codice P.O.
Pur non essendo un’azione giudiziale molto coltivata[20], un recente esempio di applicazione proprio ad un caso di molestie si rintraccia nel settore dello spettacolo, particolarmente esposto a tali rischi, come risulta fin dalla nascita del movimento #MeToo e da recenti testimonianze[21]. La sentenza[22] riguarda varie donne corsiste, tirocinanti, attrici, registe, collaboratrici a vario titolo di un ente teatrale che lamentavano di aver subito molestie da parte di un docente dei corsi di formazione promossi dallo stesso ente di cui era collaboratore anche in qualità di regista, nonché membro del Consiglio di Amministrazione. Trattandosi di condotte agite verso una pluralità di persone e in modo sistematico, l’azione è stata proposta dall’ufficio regionale della Consigliera di Parità che , oltre al risarcimento del danno a favore dell’ufficio, aveva richiesto la condanna del datore di lavoro anche alla predisposizione di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate e di prevenzione per il futuro, elencando varie misure. L’ampiezza del campo di applicazione soggettivo e oggettivo dei divieti di discriminazione, e pertanto delle molestie, ricomprende anche (art.27 Codice P.O.) la fase prodromica alla costituzione dei rapporti di lavoro, quali le iniziative di orientamento, formazione, aggiornamento e riqualificazione professionale, i tirocini. In tal senso la pronuncia qualifica il corso di alta formazione promosso dall’ente come un canale di accesso privilegiato al lavoro nel settore dello spettacolo e dunque rientrante a pieno titolo nella fattispecie considerata. In questa fase gli aspiranti lavoratori e lavoratrici sono maggiormente a rischio di subire anche i c.d. ricatti sessuali (c.d.quid pro quo), fenomeni tipici dovuti allo squilibrio di potere tra le parti, e pertanto da contrastare quali rientranti a pieno titolo nella nozione di molestie, sia quali offese alla dignità della persona sia quali cause di un clima intimidatorio ostile, degradante, umiliante, offensivo.
Un ulteriore fattore a sostegno della responsabilità dell’ente era costituito dal fatto che l’atteggiamento del regista era noto nell’ambiente e, nonostante ciò, nessuna azione di tutela era stata adottata. L’ accurata istruttoria condotta dal giudice permette di ricostruire le caratteristiche delle diverse situazioni in cui erano strategicamente coinvolte le vittime – quali prove in orari prolungati nella notte, esibizioni presso l’abitazione private del regista (nel frattempo dimessosi dall’incarico) ove veniva chiesto di denudarsi, patti grotteschi di asservimento sessuale – nonché la conoscenza che molti operatori dell’ente e perfino la gente comune avevano di tale modo di comportarsi. Riscontrati così i presupposti per la dichiarazione di responsabilità nei confronti dell’ente, colpevole di negligenza anche nel non aver dato seguito alle segnalazioni di fatti gravi da parte di alcune corsiste[23], la sentenza ordina di predisporre il “piano di rimozione delle discriminazioni accertate e di prevenzione del loro ripetersi”. In tal senso, accogliendo le richieste avanzate dalla Consigliera, sono specificate alcune misure quali l’obbligo di adottare un codice di condotta che, oltre ad affermare che le molestie e le offese alla dignità non sarebbero tollerate, specifichi il tipo di procedura da seguire da parte delle vittime per denunciare i casi in questione; l’obbligo di fare corsi di formazione in merito, nonchè di aggiornare il documento di valutazione dei rischi, includendo quello relativo alle molestie; infine, misure a tutela dei denuncianti contro eventuali ritorsioni, informazione alle vittime della loro facoltà di denunciare le molestie anche tramite il ricorso alla consigliera di parità, fermo restando la consultazione con la Consigliera di parità e le rappresentanze dei lavoratori a livello aziendale da cui potrebbero scaturire ulteriori misure di prevenzione.
La sentenza supplisce in tal modo alla mancanza di una disciplina in materia da parte dei contratti collettivi del settore, assumendo una decisione del tutto coerente con l’impostazione in tema di tutela della salute e sicurezza fatta propria anche dalla Conv. n.190 circa l’obbligo di protezione contro il c.d. “rischio” esterno, derivante da persone che frequentano il luogo di lavoro in cui avvengono le molestie, pur non avendo un rapporto di lavoro in corso, come i clienti, i fornitori, i pazienti.
4. Brevi osservazioni sul sistema penale
Da ultimo, in chiave di integrazione tra i diversi sistemi di tutela, occorre dedicare qualche breve osservazione all’apparato del diritto penale, sapendo che è diffusa in campo politico e sindacale la convinzione che occorra rafforzare tale versante per ottenere una tutela più efficace.
Non si intendono riproporre in questa sede le ragioni critiche già esposte nei confronti delle proposte di legge avanzate in merito[24], se non per ricordare sinteticamente che esse attengono alle caratteristiche del sistema penale, sotto il profilo delle esigenze di tassatività, del rigore nell’accertamento della prova, stante la presunzione di non colpevolezza dell’imputato, e tenuto conto delle condizioni in cui spesso si trova la vittima delle molestie che potrebbero indurla a non voler affrontare lo stress di un procedimento penale. Non a caso dal Report Istat, come da altre ricerche[25], emerge la scarsa propensione alla denuncia delle molestie in generale che fa presumere che la risposta all’esigenza di maggiore tutela non sia necessariamente il rafforzamento del versante penale. Le stesse fonti internazionali adottano una visione ampia che richiede agli Stati di predisporre sanzioni efficaci ma non necessariamente di tipo penale, ben potendo essere anche inscritte nell’ambito civilistico e lavoristico, alla sola condizione di essere realmente efficaci.
Occorre altresì sottolineare, come è stato di recente ricordato[26], che pur in assenza di una specifica fattispecie di reato di molestie, i comportamenti sopra richiamati già rientrano nelle disposizioni del codice penale – quali la violenza, lo stalking, i maltrattamenti – frutto anche dell’applicazione nel nostro ordinamento della Convenzione di Istanbul, situazione che rende opportuna un’opera complessiva di revisione ed armonizzazione della disciplina vigente che tenga conto anche delle altre strumentazioni di tutela, per es. in campo lavoristico, che possono rivelarsi maggiormente efficaci in presenza di comportamenti inquadrabili sia nel sistema penale sia in quello antidiscriminatorio[27].
Non convincono, al contrario, le proposte legislative tendenti ad introdurre una nuova fattispecie, intitolata appunto alle molestie, che ne modellano la definizione sulla scorta di quella lavoristica emergente dall’art.26 Codice P.O. ovvero riferita a “comportamenti indesiderati offensivi della dignità e tali da creare un clima ostile, umiliante od offensivo”.
Si tratta, infatti, di una definizione mutuata dal diritto eurounitario che appare convincente in ambito civile-lavoristico, ma non è trasponibile nell’ambito penalistico, data l’eccessiva vaghezza del termine cui si oppone il principio di tassatività della fattispecie penale tale da indurre a valutare criticamente la proposta.
[2] Stefania Scarponi, prof. ordinario diritto del lavoro- Università Trento
[3] Cfr Valutazione dei rischi … in www.inail.it, 2024, p.38 e schede tecniche allegate al documento.
[4] In particolare il Report – wcms_908897ILO24 – al par.1.5 rileva che il dato era già emergente dal Report ILO del 2022 e che la protezione offerta dal diritto antidiscriminatorio fin dalla Conv. ILO 1958 n.111 è molto estesa data la ratifica da parte dell’85% degli Stati aderenti.
[5] Già il Report ISTAT del 2018 poneva in risalto come nel 98% dei casi l’uomo risulta essere il molestatore e nel 75% dei casi le vittime sono donne. Il Report del 2024 ricorda che le molestie hanno costituito oggetto di rilevazione fin dal 1997 – 98 ma che in questa edizione si è maggiormente approfondito l’aspetto delle molestie sul lavoro e di quelle facilitate dalla tecnologia.
[6] Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica,11 maggio 2011.
[7] In particolare ai par. 1.5 When is a workplace V&H a discrimination? e 5.4 .Towards ensuring integration and complementarity of different legal regimes.
[8] In tema cfr M. Giaconi, Le molestie nei confronti delle lavoratrici, in Diritto femminile, Questione Giustizia n.2/2022
[9] L’opinione è condivisa dai commentatori. Da ultimo in tal senso, M. Giovannone, F.Lamberti, Il rischio violenza e molestie nella disciplina prevenzionistica e nella certificazione della parità di genere, Diritto della sicurezza sul lavoro, n.2/2023;
[10] Cass. Sez.Lav. 31 luglio 2023 n.23295; Cass. Sez.Lav. 14 dicembre 2023 n.35066, su cui anche nel prosieguo.
[11] Ai sensi dell’art.1, Conv.190, Lett. a) : L’espressione violenza e molestia sul lavoro indica un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un’unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano causare un danno fisico, psicologico, sessuale od economico, e include la violenza o molestia di genere – Lett. b): L’espressione violenza e molestia di genere indica la violenza o molestia nei confronti di persone in ragione del loro sesso o genere, o fisico, psicologico, sessuale od economico, e include la violenza o molestia di genere – Lett. b): L’espressione violenza e molestia di genere indica la violenza o molestia nei confronti di persone in ragione del loro sesso o genere, o che colpiscano in modo sproporzionato persone di un sesso o genere specifico, ivi comprese le molestie sessuali.
[12] Molestie: “ comportamenti indesiderati che hanno lo scopo o l’effetto di offendere la dignità di una persona e di un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo; molestie sessuali: Sono considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero la situazione nella quale si verifica un comportamento indesiderato a connotazione sessuale, espresso in forma fisica, verbale o non verbale, avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona, in particolare creando un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.”
[13] Cfr T. Roma, Sez.V , 6 luglio 2023, in Diritto e Giustizia 12.7.2023, per cui « risulta convincente la tesi difensiva dell’atto scherzoso», seppur «sicuramente inopportuno nel contesto in cui è stato realizzato per la natura del luogo e dei rapporti tra studentessa e collaboratore scolastica» per cui si esclude la responsabilità penale dell’autore.
[14] Sulle proposte avanzate in Parlamento, anche sotto il profilo qui esaminato, si veda il documento elaborato nel 2023 da parte di un gruppo di studiose, avvocate e magistrate aderenti a Noiretedonne, MOLESTIE_SESSUALI_SUL_LAVORO _ Documento_NRD_ 120623, reperibile sul sito www.noiretedonne.org.
[15] Art.40. “ Le Parti adottano misure legislative o di altro tipo necessarie a garantire che qualsiasi forma di comportamento indesiderato, verbale, non verbale o fisico, di natura sessuale, con lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona. Segnatamente quando tale comportamento crea un clima intimidatorio, ostile, degradante od offensivo, sia sottoposto a sanzioni penali o ad altre sanzioni legali”.
[16] Il caso riguarda un dipendente di banca con ruolo di Team Leader che aveva rivolto molestie verbali nei confronti di due colleghe con cui aveva cercato di avere relazioni extra lavorative, giudicate dal datore di lavoro tali da compromettere la fiducia nell’esatto adempimento della prestazione.
[17] Nello stesso senso Cass. 23295/23 cit. relativa a molestie verbali nei confronti di una giovane collega neoassunta addetta al bar, che ritiene rilevante il carattere comunque indesiderato della condotta pur senza che ne conseguano aggressioni fisiche.
[18] Lo ricorda anche il citato Report ILO, rilevando che, al contrario, in molti casi le misure di prevenzione vengono stabilite senza tale valutazione preventiva.
[19] Valutazione, cit. p.38 – 39 e schede tecniche
[20] O.Razzolini, La discriminazione collettiva di genere nel processo, in Lavoro e Diritto n.2/2024, p.231 ss.
[21] Cfr l’intervento di Cinzia Spanò dell’Associazione Amleta nel citato seminario “Molestie e molestie sessuali nel lavoro: quali strumenti in ottica di genere?”.
[22] T. Parma 26 giugno 2024 n. 593, inedita a quanto consta.
[23] L’attendibilità delle testimonianze delle vittime nonostante il ritardo in alcuni casi nelle denunce è stata correttamente affermata dalla sentenza a causa del trauma psicologico che molte avevano subito ed il timore di non essere credute, fattore che trova conferma nei dati del Rapporto Istat 2024.
[24] Cfr S.Scarponi, Dopo la ratifica della Convenzione OIL n.190/2019 su violenza e molestie nei luoghi di lavoro: un cantiere normativo ancora aperto, in Giudice donna n.3-4/2021, nonché il documento di Noiretedonna 2023, cit. n.12.
[25] Si veda anche la ricerca promossa dalla Consigliera di parità della Regione Valle d’Aosta, Violenza e molestie in ambito lavorativo, Aosta 2022
[26] M. Virgilio, Le molestie e le molestie sessuali nel diritto penale: riempire un vuoto o ripensare il pieno? Relazione al seminario citato n.19
[27] In tema, F. Pollicino, Maltrattamenti, mobbing o molestie? Il risarcimento del danno nel diritto antidiscriminatorio, in Lavoro,diritti,europa, n.2/22; M. Giaconi, Le molestie nei confronti delle lavoratrici, cit.