Con la discussa (e discutibile) ordinanza 2.4.2024, il Tribunale di Ravenna pone alla CGUE, in primo luogo , un problema “quantitativo” che appare essenzialmente di diritto interno e che non sembra coinvolgere l’interpretazione del diritto dell’Unione: se cioè l’esigenza, ormai pacifica nella giurisprudenza europea e nazionale, di un comporto differenziato per lavoratori disabili e non disabili non sia già soddisfatta dalla previsione del periodo di comporto previsto dal CCNL Turismo(180 giorni per ogni anno di calendario) in quanto già di per sé idoneo a tutelare il lavoratore disabile che, secondo il Tribunale, sarebbe l’unico a poter incorrere in assenze cosi prolungate. La tesi – sicuramente originale – è quindi che la differenziazione non sarebbe necessaria perché anzi sarebbero i lavoratori non disabili a poter beneficiare di un periodo di comporto “a misura di disabile”, benché non espressamente qualificato come tale dai contraenti collettivi.
Sembrerebbe dunque trattarsi di una valutazione circa l’applicazione al caso concreto di un principio di diritto dell’Unione (quello della differenziazione) sul quale il giudice non solleva contestazioni e dunque vi è fortemente da dubitare che la risposta competa alla CGUE e non invece al giudice nazionale.
Prima ancora, il quesito sembra non considerare correttamente la nozione di discriminazione come “svantaggio comparativo”: la quale nozione, applicata alla vicenda in esame, chiede semplicemente di valutare se, adottando un unico periodo di comporto (breve o lungo che sia), possa accadere che lavoratori disabili abbiano maggiori probabilità di incorrere nel superamento di quel termine rispetto al non disabile: sicché, da questo punto di vista, sapere se i non disabili che si ammalano per 180 giorni l’anno siano pochi o tanti (e secondo il Giudice sarebbero pochissimi) è del tutto irrilevante perché non incide su una differenza di trattamento (rectius, su un trattamento uguale di situazioni diverse) che rende la situazione svantaggiosa per il disabile. E tanto dovrebbe bastare per inquadrare la vicenda come discriminazione.
Nel formulare il secondo quesito il Tribunale dà atto che il tema delle cause di giustificazione nelle discriminazioni indirette è da sempre rimesso dalla Corte europea alla valutazione del giudice nazionale, ma cerca poi di indurre la Corte ad un pronunciamento quantomeno in termini di indicazioni: anche in questo caso tuttavia il discorso ricade non nella valutazione di una possibile astratta giustificazione della previsione di un comporto unico (come accaduto nei precedenti della Corte UE) ma nella valutazione in concreto di quello specifico comporto previsto dal CCNL Turismo, che, secondo il Tribunale, sarebbe idoneo a perseguire la finalità legittima dell’equo contemperamento di interessi tra le parti: valutazione che ancora una volta non può che spettare al giudice nazionale.
Il resto dell’ordinanza è assorbito dal tentativo di ottenere dalla Corte una sorta di elencazione di quali debbano ritenersi gli accomodamenti ragionevoli in caso di superamento del periodo di comporto, e ciò al fine di garantire certezza del diritto all’imprenditore che deve assumere le relative decisioni: dimenticando da un lato che la soluzione sul punto (quella della interlocuzione e del dialogo tra le parti, su iniziativa del datore di lavoro) è già stata indicata dalla Cassazione con la sentenza n.14402/2024- vedi in questo sito link.), dall’altro che gli accomodamenti ragionevoli sono sempre di necessità soluzioni concrete cioè efficaci e pratiche (secondo il considerando 20 della direttiva 2000/78) modulate sulla condizione del singolo lavoratore disabile in rapporto alla specifica organizzazione aziendale; e che pertanto la pretesa di fissare in astratto l’uno o l’altro provvedimento come “necessario e sufficiente” (come fa il Tribunale con il quarto quesito) è di per se in contrasto con la nozione stessa di accomodamento ragionevole.
La redazione