Il riconoscimento di un diritto a prestazioni sociali a favore del richiedente asilo, diverse e ulteriori rispetto alle “condizioni materiali di accoglienza”, aveva fatto sinora capolino nella giurisprudenza solo in occasione della decisione della Corte Cost. n. 186/2020 in tema di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo: e già in quella occasione la Corte (qualificando come “stigma sociale” la mancata attribuzione della carta d’identità) aveva escluso che il carattere temporaneo del permesso per richiesta asilo fosse legittimo motivo per collocare il richiedente asilo “ai margini” del consesso sociale, negandogli l’appartenenza alla collettività territoriale.
Da allora però il discorso si è fermato, probabilmente sul presupposto che il richiedente asilo gode già di quel sistema di accoglienza che dovrebbe (in teoria) garantire – ex art. 17 Direttiva 2013/33/CE – condizioni materiali di assistenza idonee a tutelare i diritti fondamentali della persona, per il tempo (teoricamente breve) necessario a definire il titolo di soggiorno, conseguito il quale i diriti sociali sono garantiti dall’art. 29 direttiva 2011/95.
E tuttavia le cose stanno in realtà in modo molto diverso, sia dal punto di vista pratico (a causa della durata, normalmente ultra annuale, del tempo necessario a ottenere l’esito della domanda di protezione), sia dal punto di vista normativo: e infatti, una volta slegato il sostegno alla maternità e paternità dalla prestazione lavorativa e posto tale sostegno a carico della fiscalità generale (come accaduto con la legge delega 46/21 e poi con il dlgs 230/21, istitutivo dell’Assegno Univo Universal – AUU) risulta obiettivamente dubbio che una persona che fa comunque parte della collettività territoriale possa essere esclusa da qualsiasi sostegno alla famiglia (come noto l’AUU ha sostituito qualsiasi altra prestazione familiare).
La questione si è dunque posta avanti il Tribunale di Padova, con riferimento al cd “assegno temporaneo”, cioè l’assegno transitorio istituito dal DL 79/ 2021 per il solo periodo dal al 1.7.21 al 28.2.2022 e finalizzato a raccordare il precedente assegno al nucleo familiare con l’attuale AUU (assegno unico e universale) : è tuttavia evidente che la decisione della Corte sul punto avrà immediati riflessi su quest’ultimo istituto e dunque effetti ben piu ampi.
Il Giudice padovano – fruendo della ormai ampia giurisprudenza costituzionale ed euro unitaria in materia – esclude innanzitutto che la questione possa essere risolta facendo riferimento alla direttiva 2011/98, posto che il permesso in esame, pur consentendo di lavorare, è espressamente escluso dall’ambito di applicazione della direttiva (art. 3, par. 2, lett.g della direttiva); ed esclude altresì che possano essere invocati come paramentro interposto di costituzionalità gli artt. 21 e 34 CDFUE, stante l’assenza di una specifica norma di diritto derivato attuativo di tali norme nei confronti dei richiedenti asilo e stante la inidoneità di dette norme a estendere il campo di applicazione del trattato, come attuato appunto dal diritto derivato.
Esclusa dunque la strada della disapplicazione, resta l’incontestabile “dubbio costituzionale” se una persona legittimamente soggiornante sul territorio possa essere privata di qualsiasi misura di sostegno al mantenimento dei figli minori che possono averlo seguito nel percorso di arrivo in Italia per la richiesta di protezione.
Manca forse, nella ordinanza (ma vi sarà tempo per approfondire la questione avanti la Corte) una replica anticipata alla obiezione che inevitabilmente sorge e cioè che, diversamente da quanto accade per i figli degli altri residenti, italiani o stranieri che siano, i figli del richiedente asilo sono anch’essi inseriti nel sistema di accoglienza e quindi dovrebbero godere di condizioni materiali di accoglienza a carico della collettività.
Sul punto può tuttavia subito osservarsi che l’accoglienza cessa in caso di disponibilità da parte del richiedente di mezzi economici sufficenti ex art. 23 dlgs 142/15 e una consolidata prassi delle Questure (talvolta confermata anche dalla giurisprudenza: cfr. TAR Toscana, sez. II, sent. 437/2020) individua nell’importo dell’assegno sociale il limite delle risorse economiche sufficenti; limite che certamente non è idoneo a garantire al richiedente asilo una vita dignitosa anche per gli eventuali minori al seguito.
Da questo punto di vista poteva forse essere considerato, tra i riferimenti del diritto dell’Unione esaminati dal Giudice, anche l’art. 17, comma 5, direttiva 2013/33/CE a norma del quale, quando gli stati membri forniscono le condizioni materiali di assistenza in forma di sussidi economici (che sarebbe appunto il caso degli AUU) il livello è stabilito “sulla base” di quello stabilito dallo Stato per i propri cittadini, con possibilità di fornire un trattamento “meno favorevole” (che tuttavia non dovrebbe coincidere con un azzeramento totale del sussidio garantito ai cittadini) qualora il sussidio si cumuli con prestazioni in natura (che sarebbe appunto il caso di cumulo tra accoglienza e AUU).
Certo è che l’assegno, ove percepito (e si tratterebbe, nel caso di reddito minimo, di 199, 40 euro al mese per ogni figlio) rientrerebbe nel reddito idoneo a far cessare la misura di accoglienza il che potrebbe indurre un circolo vizioso in forza del quale ciò che viene dato da una parte viene tolto dall’altra; ed altrettanto certo che, in forza del diritto dell’Unione (art. 17 direttiva 2013/33 cit.) , al richiedente asilo deve essere garantita una “adeguata qualità di vita” che deve necessariamente comprendere anche una adeguata tutela dei figli minori.
Alberto Guariso