Commento alla sentenza della Corte di giustizia del 12.1.2023, C-356/21, J.K. c. TP s.a.
Anti-discrimination law also applies to self-employment – Comment to CGEU judgment of 12.01.2023, C-356/21, J.K. v TP s.a.
L’art. 3 § 1 lett. a) e c) della dir. 2000/78 osta a una normativa nazionale la quale, in virtù della libera scelta della controparte contrattuale, ha l’effetto di escludere dalla tutela contro le discriminazioni, che deve essere offerta in forza di tale direttiva, il rifiuto, fondato sull’orientamento sessuale di una persona, di concludere o di rinnovare con quest’ultima un contratto avente ad oggetto la realizzazione, da parte di tale persona, di talune prestazioni nell’ambito dell’esercizio di un’attività autonoma. La direttiva mira infatti a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale per quanto concerne «l’occupazione e le condizioni di lavoro», al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento, offrendo ad ogni persona una tutela efficace contro le discriminazioni fondate su tale motivo.
Article 3(1)(a) and (c) of Directive 2000/78 must be interpreted as precluding national legislation which has the effect of excluding, on the basis of the freedom of choice of contracting parties, from the protection against discrimination to be conferred by that directive, the refusal, based on the sexual orientation of a person, to conclude or renew with that person a contract concerning the performance of specific work by that person in the context of the pursuit of a self-employed activity. In fact, the directive is intended to establish a general framework for combating discrimination on the grounds, inter alia, of sexual orientation as regards ‘employment and occupation’, with a view to putting into effect in the Member States the principle of equal treatment, by providing everyone with effective protection against discrimination based, inter alia, on that ground.
La decisione che qui si commenta riguarda un operatore della TP, società che gestisce un canale televisivo pubblico nazionale in Polonia. Dal 2010 al 2017, il signor J.K. era stato assunto con una serie di contratti d’opera consecutivi di breve durata. Nel dicembre 2017, a seguito della pubblicazione di un video che aveva a oggetto la celebrazione delle feste natalizie da parte di coppie di persone dello stesso sesso sul canale YouTube di J.K. e del suo partner, l’operatore non veniva più inserito all’interno dei turni settimanali, né la TP gli proponeva di stipulare alcun altro contratto d’opera.
Il caso ha offerto alla Corte di giustizia la possibilità di chiarire l’ambito di applicazione della dir. 2000/78 e, in particolare, se le lett. a) e c) dell’art. 3 § 1 di quest’ultima riguardano anche i lavoratori autonomi. Per risolvere tale questione, la Corte di giustizia è partita dal dato testuale della direttiva, per poi valorizzarne l’interpretazione teleologica.
Nell’art. 3 § 1 lett. a), la direttiva fa espresso riferimento alle «condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo». È evidente dunque che il legislatore dell’Unione non abbia inteso riferirsi ai soli lavoratori di cui all’art. 45 Tfue[1].
Questa interpretazione è confermata dagli obiettivi della direttiva che «mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate, in particolare, sull’orientamento sessuale per quanto concerne «l’occupazione e le condizioni di lavoro», al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento, offrendo ad ogni persona una tutela efficace contro le discriminazioni fondate, segnatamente, su tale motivo» (§ 41; enfasi aggiunta). Per questo, l’ambito di applicazione della direttiva deve essere inteso in senso ampio (§ 47).
La direttiva si basa inoltre sull’art. 19 § 1 Tfue che «conferisce all’Unione una competenza ad adottare le misure necessarie per combattere qualsiasi discriminazione fondata, segnatamente, sull’orientamento sessuale» (§ 40; enfasi aggiunta). A differenza degli atti di diritto derivato fondati sull’art. 153 Tfue che «concernono solo la tutela dei lavoratori quale parte più debole di un rapporto di lavoro», la dir. 2000/78 è dunque volta a «eliminare, per ragioni di interesse sociale e pubblico, tutti gli ostacoli fondati su motivi discriminatori all’accesso ai mezzi di sostentamento e alla capacità di contribuire alla società attraverso il lavoro, a prescindere dalla forma giuridica in virtù della quale esso è fornito» (§ 43).
Se fino a questo punto la decisione della Corte di giustizia è del tutto condivisibile, meno giustificato pare il richiamo al carattere reale delle attività, «esercitate nell’ambito di un rapporto giuridico caratterizzato da una certa stabilità» (§ 45). Il carattere reale ed effettivo dell’attività svolta viene infatti richiesto dai Giudici del Lussemburgo per rientrare nell’ambito della nozione di lavoratore di cui all’art. 45 Tfue, nozione che, come detto, non si applica al caso di specie. Peraltro, in quella giurisprudenza, il carattere reale ed effettivo dell’attività svolta viene richiesto per una finalità – quella di evitare il turismo sociale – che è del tutto estranea al diritto antidiscriminatorio[2].
L’affermazione sul carattere reale ed effettivo dell’attività esercitata non pare comunque avere avuto un peso rilevante nella decisione della Corte di giustizia dato che non si ritrova nelle conclusioni che chiudono la prima parte della decisione in cui si afferma che «il rifiuto di concludere un contratto d’opera con un contraente che esercita un’attività economica indipendente per motivi connessi all’orientamento sessuale di tale contraente rientra nell’ambito di applicazione» dell’art. 3 § 1 lett. a).
La Corte prende poi in esame la lett. c) del medesimo articolo in cui il legislatore europeo non ha fatto espresso riferimento al «lavoro autonomo» (§ 53). Ciò tuttavia non è rilevante in quanto, come detto, la direttiva mira «a eliminare, per ragioni di interesse sociale e pubblico, tutti gli ostacoli fondati su motivi discriminatori all’accesso ai mezzi di sostentamento e alla capacità di contribuire alla società attraverso il lavoro, a prescindere dalla forma giuridica in virtù della quale esso è fornito» (§ 54). Di conseguenza, «la tutela offerta dalla direttiva 2000/78 non può dipendere dalla qualificazione formale di un rapporto di lavoro nel diritto nazionale o dalla scelta operata all’atto dell’assunzione dell’interessato tra l’uno o l’altro tipo di contratto» (§ 55).
Peraltro, l’obiettivo perseguito dalla direttiva sarebbe del tutto compromesso se, dopo l’accesso al lavoro autonomo, fosse possibile violare il principio di non discriminazione per quanto «concerne le condizioni di esercizio e di cessazione di tale lavoro» (§ 56). La tutela antidiscriminatoria si estende dunque al rapporto professionale «nella sua integralità» (§ 56).
Ne consegue che la nozione di licenziamento di cui all’art. 3 § 1 lett. c) deve intendersi riferita alla «cessazione unilaterale di qualsiasi attività menzionata» dalla lett. a) della medesima disposizione (§ 62). Difatti, «una persona che ha esercitato un’attività autonoma può trovarsi costretta a cessare tale attività a causa della sua controparte contrattuale e trovarsi, per tale motivo, in una situazione di vulnerabilità paragonabile a quella di un lavoratore subordinato licenziato» (§ 63).
Nelle sue conclusioni, l’Avvocata generale dedica alcune riflessioni anche alla distinzione tra lavoro autonomo, che rientra nella dir. 2000/78, e fornitura di beni e di servizi, che è coperta dalla proposta di direttiva recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione, le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale (COM (2008) 426)[3]. Anche in questo caso viene valorizzato l’effetto utile – e dunque le finalità – della direttiva: «se la fornitura personale di beni e servizi fosse esclusa dall’ambito di applicazione della direttiva 2000/78, ciò consentirebbe alle imprese o ai privati che necessitano dello svolgimento di un determinato lavoro di eludere il divieto di discriminazione scegliendo di «acquistare» beni o servizi anziché di impiegare un prestatore di servizi» (Conclusioni dell’8 settembre 2022, C-356/21, J.K. c. TP s.a., § 85). Il punto è importante perché questa distinzione rileva anche ai fini del contrasto alla discriminazione di genere, per il quale sono in vigore la dir. 2006/54 che si riferisce anche al lavoro autonomo (art. 14) e la dir. 2004/113 sull’accesso e la fornitura di beni e servizi.
Nell’ultima parte della sua pronuncia, la Corte di giustizia si sofferma sull’eccezione di cui all’art. 2 § 5 dir. 2000/78 ove si specifica che la direttiva «lascia impregiudicate le misure previste dalla legislazione nazionale che, in una società democratica, sono necessarie alla sicurezza pubblica, alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione dei reati e alla tutela della salute e dei diritti e delle libertà altrui» (§ 69). Come sottolinea la Corte, tale disposizione previene e compone i conflitti tra i principi di non discriminazione e «la tutela dei diritti e delle libertà individuali, che sono indispensabili al funzionamento di una società democratica» (§ 70).
Nell’ambito di tali libertà rientra anche la libertà contrattuale, tutelata dall’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione sulla libertà di impresa. Tuttavia, tale libertà «non costituisce una prerogativa assoluta, bensì deve essere presa in considerazione rispetto alla sua funzione nella società» (§ 75). La stessa legge polacca prevede un certo numero di eccezioni alla libertà di scegliere un contraente e ciò «dimostra che lo stesso legislatore polacco ha ritenuto che il fatto di operare una discriminazione non potesse essere considerato necessario per garantire la libertà contrattuale in una società democratica. Orbene, nulla consente di ritenere che la situazione sarebbe diversa a seconda che la discriminazione di cui trattasi sia fondata sull’orientamento sessuale o su uno degli altri motivi espressamente considerati» da tale legge (§ 76)[4]. Del resto, prosegue la Corte di giustizia, «ammettere che la libertà contrattuale consenta di rifiutare di contrarre con una persona in base all’orientamento sessuale di quest’ultima equivarrebbe a privare l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78 del suo effetto utile, in quanto tale disposizione vieta precisamente qualsiasi discriminazione fondata su un motivo siffatto per quanto riguarda l’accesso al lavoro autonomo» (§ 77).
Ne consegue che la dir. 2000/78 «osta a una normativa nazionale la quale, in virtù della libera scelta della controparte contrattuale, ha l’effetto di escludere dalla tutela contro le discriminazioni, che deve essere offerta in forza di tale direttiva, il rifiuto, fondato sull’orientamento sessuale di una persona, di concludere o di rinnovare con quest’ultima un contratto avente ad oggetto la realizzazione, da parte di tale persona, di talune prestazioni nell’ambito dell’esercizio di un’attività autonoma» (§ 79).
Come si è ricordato, la TP è un’emittente televisiva pubblica. Pertanto, data l’efficacia diretta verticale dei principi di non discriminazione di cui alla dir. 2000/78, il giudice nazionale è tenuto ad applicare questi ultimi e a disapplicare la norma di diritto interno non conforme. Ne consegue il diritto del signor J.K. a non essere discriminato in ragione del suo orientamento sessuale allorché si candida per un nuovo lavoro o nello svolgimento di un rapporto di lavoro, a cui corrisponde il divieto per la TP di rifiutarsi di stipulare un contratto con un lavoratore autonomo o di cessare il rapporto con lo stesso, unicamente in ragione del suo orientamento sessuale.
La pronuncia in commento ha il grande merito di avere chiarito che i principi di non discriminazione di cui alla dir. 2000/78 – ma l’affermazione vale anche per altre direttive in materia di diritto antidiscriminatorio che hanno un ambito di applicazione analogo – riguardano anche il lavoro autonomo[5]. L’altro grande merito della pronuncia è quello di avere precisato che la dir. 2000/78 offre a ogni persona una tutela efficace contro le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale.
Per questo, non si condivide la tesi di chi considera la decisione della Corte di giustizia un passo verso un nuovo diritto del lavoro che dovrebbe abbandonare la nozione di subordinazione, per tutelare il lavoratore tout court[6]. L’eco di questa tesi si ritrova nelle conclusioni dell’Avvocata generale secondo cui ciò che rileva ai fini dell’applicazione della dir. 2000/78 «è che una persona svolga un lavoro personale, indipendentemente dalla forma giuridica in cui tale lavoro è svolto» (§ 66). Tuttavia, la stessa Avvocata sottolinea come «i giuslavoristi tendono a includere nell’ambito di applicazione del diritto del lavoro tutti i lavoratori che forniscono personalmente servizi, ma a escluderne quelli che «esercitano effettivamente un’attività d’impresa per proprio conto»[7]. «A mio avviso – prosegue l’Avvocata generale – le norme antidiscriminazione dell’Unione dovrebbero fondarsi su una concezione ancora più ampia di lavoro personale, che non escluda le imprese nel caso in cui l’imprenditore fornisca il suo lavoro personale» (§ 68 e 69).
Con questo non si intende criticare la tesi del personal work relation[8], che peraltro non si può nemmeno discutere in questo breve commento. Quello che si vuole qui evidenziare è che dalla pronuncia della Corte di giustizia, più che un superamento della dicotomia subordinazione/autonomia, trova semmai conferma la tesi che lega il diritto antidiscriminatorio alla tutela della persona fisica. Come osservato dai Giudici di Lussemburgo, l’Unione ha competenza ad adottare le misure necessarie per combattere qualsiasi discriminazione fondata sull’orientamento sessuale. Di conseguenza, il diritto antidiscriminatorio va ben al di là del lavoro personale, per proteggere l’identità della persona nei diversi ambiti in cui questa opera.
Silvia Borelli
Professoressa associata di Diritto del lavoro dell’Università degli Studi di Ferrara
Leggi anche il commento di Giuseppe Bronzini
[1] Secondo la Corte di giustizia, è lavoratore, ai sensi dell’art. 45 Tfue, una persona che «fornisce, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceve una retribuzione» (Corte giust., 3.5.2012, Neidel, C-337/10, punto 23).
[2] Giubboni S., Diritto del lavoro europeo. Una introduzione critica, Wolter Kluwer, Milano, 2017, p. 137.
[3] La proposta di direttiva non è mai stata approvata.
[4] A parere dell’Avvocata generale, «la decisione di non assumere o di licenziare può essere fondata su vari motivi, attinenti al lavoro di cui trattasi. Pertanto, il divieto di discriminare sulla base dei motivi elencati al momento della scelta della parte contraente non incide sul contenuto essenziale della libertà contrattuale» (Conclusioni dell’8 settembre 2022, C-356/21, J.K. c. TP s.a., § 117).
[5] Sul punto si consentito il rinvio a Borelli S., Ranieri M., La discriminazione nel lavoro autonomo. Riflessioni a partire dall’algoritmo Frank, in Labour & Law issues 2021, 7(1), I.18-I.47, https://labourlaw.unibo.it/article/view/13169.
[6] Sul punto v. Bronzini G., Sentenza della Corte di giustizia sulla discriminazione dei lavoratori autonomi, https://movimentoeuropeo.it/component/content/article/9-uncategorised/2394-newsletter-16-gennaio-2023-ultime-da-bruxelles?Itemid=437 e Countouris N., Freedland M., De Stefano V., Making labour law fit for all those who labour, https://www.socialeurope.eu/making-labour-law-fit-for-all-those-who-labour
[7] L’Avvocata generale richiama la definizione di «rapporto di lavoro personale» proposta da Countouris N. e De Stefano V. (New trade union strategies for new forms of employment, ETUC, Bruxelles, 2019, p. 65) «per definire l’ambito di applicazione ratione personae del diritto del lavoro» e riferibile «a qualsiasi persona contrattata da un’altra al fine di svolgere un lavoro, salvo che tale persona eserciti effettivamente un’attività d’impresa per proprio conto».
[8] Su cui v. almeno Freedland M., Countouris N., The Legal Construction of Personal Work Relations, OUP, Oxford, 2011.