La Strategia europea per la parità di genere 2020-2025, presentata dalla Commissione europea il 5 marzo del 2020, si prefigge di raggiungere entro i prossimi cinque anni l’obiettivo della parità di genere all’interno dell’Unione europea e contribuisce al raggiungimento dell’obiettivo di sviluppo sostenibile n. 5 – Gender Equality – inserito nell’Agenda 2030, adottata nel 2015 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
The Gender Equality Strategy 2020-2025, presented by the European Commission on 5 march 2020, aims to reach the goal of gender equality within the European Union within the next five years and contributes to the achievement of Sustainable Development Goal no. 5 – Gender Equality – included in the 2030 Agenda, adopted in 2015 by the United Nations General Assembly.
Il 5 marzo del 2020, la Commissione europea ha presentato la Strategia per la parità di genere 2020-2025[1], approvata dal Parlamento europeo il 21 gennaio scorso. In occasione del voto in Parlamento, Maria Noichl, relatrice per la Commissione per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere del Parlamento ha dichiarato: «Oggi il Parlamento europeo rimette all’ordine del giorno l’uguaglianza di genere. Diciamo sì a una società paritaria di genere e no alla violenza contro donne e ragazze di ogni estrazione sociale. Se non cambia nulla nell’UE, ci vorranno più di 65 anni per raggiungere l’uguaglianza di genere. La strategia per la parità di genere e le azioni proposte rappresentano una via più rapida verso la parità tra uomini e donne. Rafforzano inoltre la nostra posizione sulla contrapposizione contro i diritti delle donne che si sta verificando in diversi Stati membri. Lo Stato di diritto in Europa può esistere solo con la parità di genere – senza di essa, la democrazia è in ritardo».
Il documento, nella sua introduzione, delinea un quadro chiaro dei motivi per cui l’Ue deve raggiungere l’obiettivo della parità di genere – peraltro ampiamente noti e ribaditi in diverse occasioni dalle istituzioni europee[2] – che non hanno più, o non solo, a che fare unicamente con questioni di giustizia sociale, ma riguardano il necessario utilizzo «di tutti i nostri talenti e la nostra diversità», al fine di aumentare posti di lavoro e produttività, soprattutto «mano a mano che si procede verso le transizioni verde e digitale e si fronteggiano le sfide demografiche».
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha dichiarato che «l’uguaglianza di genere è un principio fondamentale dell’Unione europea, ma non è ancora una realtà» e che «negli affari, nella politica e nella società nel suo insieme, possiamo raggiungere il nostro pieno potenziale se utilizziamo tutto il nostro talento e la nostra diversità. Utilizzare solo metà della popolazione, metà delle idee o metà dell’energia non è abbastanza».
Il problema della mancanza di una parità di genere è quanto mai urgente ed attuale. Malgrado gli avanzamenti registrati dall’Ue nel mondo, nessuno tra i Paesi membri ha ancora raggiunto l’obiettivo della piena parità di genere e i progressi vanno a rilento, come ribadito dalla Commissione che ricorda, nella sua Comunicazione, come in 15 anni l’indice sull’uguaglianza di genere nell’Ue sia migliorato di appena 5,4 punti; nonostante, dunque, l’Unione europea sia formalmente impegnata da tempo nel perseguimento dell’obiettivo della parità di genere, tuttavia il cammino non procede spedito. Passi avanti si registrano nei settori della salute e del denaro ma le diseguaglianze di genere restano gravi per quanto riguarda i ruoli di potere, ad esempio, come messo in rilievo dal Rapporto dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere[3]; allo stesso modo, il divario di genere è ancora presente nel mondo del lavoro e a livello di retribuzioni e pensioni.
«Ancor oggi troppe persone violano il principio della parità di genere con una retorica dell’odio in chiave sessista e bloccando qualunque azione contro la violenza e gli stereotipi di genere. La violenza e le molestie di genere proseguono a livelli allarmanti. Il movimento #MeToo ci ha dato la dimostrazione di quanto siano diffusi il sessismo e gli abusi che le donne e le ragazze continuano ad affrontare. Al tempo stesso ha dato alle donne, in tutto il mondo, la possibilità di rendere pubbliche le loro esperienze e di adire le vie legali».
Si stima che del divario occupazionale di genere abbia un impatto economico quantificato in 370 miliardi di euro all’anno. Secondo le stime dell’Eige, il miglioramento dell’uguaglianza di genere potrebbe portare a un aumento del Pil fino a 3,15 trilioni di euro entro il 2050. Secondo il Global gender gap report 2020 presentato dal World economic forum serviranno 99 anni e mezzo per colmare il gap esistente tra uomini e donne nel mondo, nel caso in cui si mantenga il ritmo – non particolarmente celere – tenuto dal 2006 (anno della prima edizione del rapporto) fino ad oggi; mentre saranno necessari 257 anni perché si raggiunga la parità nella partecipazione economica.
Come affermato da Josef Borrell, l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, «garantire gli stessi diritti a tutti conferisce potere alle nostre società, rendendole più ricche e sicure. È un fatto che va oltre i principi o i doveri morali».
Lo scopo della strategia è dunque quello di dare nuovo slancio all’uguaglianza tra donne e uomini, con l’obiettivo di costruire un’Europa garante della parità di genere in cui non esistano più discriminazione sessuale e disuguaglianza strutturale, attraverso azioni funzionali al raggiungimento, nei prossimi cinque anni, dell’obiettivo della parità di genere in tutti i settori individuati dalla Strategia all’interno dell’Unione europea. A tal fine, la Commissione ha indicato un duplice binario sul quale dovrà procedere la strategia: da una parte, misure specificatamente volte al perseguimento della parità nei diversi settori (lotta alla violenza di genere, diseguaglianza in ambito economico e nei ruoli dirigenziali della società) e, dall’altra, «una maggiore integrazione della dimensione di genere», il cd. mainstream. Significativo e apprezzabile è anche il fatto che l’intersezionalità, cioè «la combinazione del genere con altre caratteristiche o identità personali e il modo in cui tali intersezioni contribuiscono a determinare esperienze di discriminazione specifiche», sia indicato quale principio cardine intorno al quale si svilupperà la strategia.
Qualche mese dopo la Comunicazione della Strategia per la parità di genere, il 25 novembre 2020, la Commissione europea ha presentato anche il rapporto annuale 2019 sull’applicazione del Gender action plan II (Gap II) e il nuovo Piano d’azione (Gap III) per il periodo 2021-2025 – che integra la strategia per l’uguaglianza delle persone Lgbtiq+ 2020-2025, presentata dalla Commissione il 13 novembre 2020 – volto, insieme alla Strategia per la parità di genere, ad accrescere il contributo dell’Ue per il raggiungimento dell’obiettivo di sviluppo sostenibile n. 5 (Gender equality) dell’Agenda 2030 – adottata il 25 settembre 2015, con l’approvazione dei rappresentanti dei 193 Paesi membri dell’Onu, dall’Assemblea generale delle Nazioni unite – nella quale si delineano a livello mondiale le direttrici delle attività da intraprendere per i successivi 15 anni. L’Agenda che ingloba 17 Obiettivi per lo sviluppo sostenibile (SDGs) si fonda, tra gli altri, sul principio chiave del “no one left behind” – non lasciare indietro nessuno.
a) Il primo degli obiettivi indicati dalla Strategia è «liberarsi della violenza e degli stereotipi». Con riguardo a questo specifico punto, la Commissione ha ricordato i dati per i quali la violenza di genere, cioè qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale o che colpisce le donne in modo sproporzionato, rappresenti una delle maggiori sfide delle nostre società e di come essa sia radicata profondamente nella disparità di genere. Si tratta di un profilo di primaria importanza, per gran parte per lungo tempo ignorato, rispetto al quale la Commissione si è impegnata su più fronti per il futuro, assumendo diversi impegni per altrettante iniziative, tra cui quelle di estendere la sfera criminale per forme specifiche di violenza nei limiti concessi dall’art. 83, co. 1 del Tfue; presentare una strategia per i diritti delle vittime; incoraggiare gli Stati membri a ratificare la Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro[4] e ad attuare le norme dell’Ue in materia di protezione dei lavoratori contro le molestie sessuali[5] e a sensibilizzare i cittadini. Altro gravissimo problema è quello della tratta di essere umani che, nella maggioranza dei casi, è rappresentata da donne e ragazze, che sono poi oggetto di sfruttamento sessuale; fenomeno che l’Ue si impegna ad affrontare a livello globale. Particolare attenzione è rivolta, poi, alla necessità di prevenire la violenza sia attraverso un approccio multidisciplinare che agisca sul duplice fronte della vittima e dei responsabili delle violenze, sia attraverso attività di educazione degli uomini e dei ragazzi. Viene poi opportunamente citato il problema della violenza in rete per fronteggiare la quale cui la Commissione proporrà una legge sui servizi digitali e stimolerà lo sviluppo di una cooperazione tra le piattaforme Internet.
Il secondo fronte di azione è quello degli stereotipi di genere indicati come «una delle cause profonde della disparità» in tutti i settori della società e che, spesso, si legano ad altri stereotipi basati sulla razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale. Interessante a tal proposito è il richiamo all’intelligenza artificiale (Ia), settore riconosciuto di importanza strategica che rischia di riprodurre e amplificare i pregiudizi di genere qualora gli algoritmi non si riveleranno sufficientemente trasparenti. Il nuovo libro bianco della Commissione sull’intelligenza artificiale definisce infatti la strategia europea in questo settore fondandola sui diritti fondamentali dell’Ue, tra cui il divieto di discriminazione e la parità di genere. Anche il programma quadro per la ricerca e l’innovazione, Orizzonte europa, si occupa di individuare delle strategie per affrontare i pregiudizi potenzialmente connessi con l’intelligenza artificiale.
Un ultimo punto affrontato dalla Commissione nell’analisi di questo primo obiettivo riguarda l’uso dei mezzi di comunicazione come strumento valido per combattere gli stereotipi, in quanto in grado di influenzare convinzioni, valori e percezione della realtà. Anche se, probabilmente, sarebbe stato opportuno, proprio per il potere che possiedono, puntare l’attenzione anche sulla rappresentazione che delle donne forniscono i mezzi di comunicazione, diffondendo e perpetuando stereotipi di genere che così si radicano ancor di più nel sentire comune.
b) Il secondo obiettivo indicato dalla Strategia è quello della realizzazione di un’economia basata sulla parità di genere, per raggiungere il quale la Commissione individua come necessari degli interventi che incidano sulla partecipazione ai diversi settori economici, sul divario di genere nel mercato del lavoro, retributivo e pensionistico e nell’assistenza familiare. In primo luogo, il documento sottolinea quanto la partecipazione delle donne al mercato del lavoro sia importante per l’economia, ai fini dell’accrescimento e di forza lavoro e di competenze; nonostante l’aumento continuo del tasso di occupazione delle donne, queste ultime incontrano sempre molte difficoltà sia a trovare lavoro sia a mantenerlo, che derivano in larga misura dalla mancanza di un’equa ripartizione delle responsabilità di assistenza tra i genitori e dal difficile (per le donne) equilibrio tra vita professionale e vita familiare. Su questo punto in particolare, come noto, l’Ue ha adottato una direttiva (n. 1158/2019) considerata cruciale dalla Commissione che si impegnerà ad esortare gli Stati a superare le norme minime indicate dalla direttiva per migliorare, su diversi fronti, le politiche di conciliazione all’interno dell’Unione europea.
La sotto rappresentazione delle donne in alcuni settori dell’economia è determinata anche dal forte divario di genere che esiste nel campo dell’istruzione e della formazione che si riflette sul mercato creando una situazione per la quale, nonostante le laureate siano in numero superiore rispetto ai laureati, le donne continuano ad essere sottorappresentate nelle professioni più remunerate e più presenti in quelle scarsamente retribuite. Per superare questo gap, risultato di stratificati stereotipi culturali e sociali, è necessario intervenire, nel settore della imprenditoria femminile, attraverso la promozione di start-up e piccole e medie imprese guidate da donne; e, nel campo della formazione e dell’istruzione, cercando di migliorare l’equilibrio di genere nelle professioni in cui tradizionalmente la presenza è in misura predominante maschile o femminile, a partire dall’utilizzo proattivo della transizione digitale in cui il ruolo delle donne sarà cruciale e, dunque, potenziato.
Con riguardo poi al rapporto di lavoro, la Commissione punta l’attenzione sul divario retributivo che, di conseguenza, si ripercuote sul trattamento pensionistico e che, in ultimo, espone le donne a un rischio maggiore di povertà; e ciò malgrado esista all’interno dell’Unione europea, sin dai trattati del 1957, il principio della parità di trattamento retributiva, recepito da tutti gli ordinamenti nazionali e tutelato dal divieto di discriminazione, la cui effettività, tuttavia, incontra quale principale ostacolo quello della carenza di trasparenza retributiva; motivo per il quale la Commissione si è impegnata nel documento ad adottare misure vincolanti sulla trasparenza retributiva, e lo ha fatto presentando una proposta di direttiva nel marzo 2021[6].
c) Il terzo obiettivo riguarda la necessità che i ruoli dirigenziali nella società siano equamente ripartiti. Rispetto al perseguimento di tale obiettivo, la Commissione ha dichiarato il suo impegno per l’adozione di una proposta di direttiva riguardante il miglioramento dell’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione, presentata nel 2012[7]; e per facilitare la circolazione di buone pratiche riguardanti l’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione e nelle posizioni dirigenziali. Nell’intento di investire anche le istituzioni e gli organi europei del compito di assicurare l’equilibrio di genere nelle posizioni dirigenziali, la Commissione stessa ha assunto l’impegno di raggiungere un equilibrio di genere del 50% a tutti i livelli dirigenziali del suo personale entro la fine del 2024.
Negli ultimi tre punti, il documento affronta tre questioni ampie e trasversali. La prima riguarda l’imprescindibile dimensione di genere che investe di fatto tutti i cambiamenti che l’Ue si trova ad affrontare, la transizione verde e digitale e il cambiamento demografico. Il che rende essenziale che tutte le politiche e le iniziative adottate dall’UE e dagli Stati membri abbiano una prospettiva di genere. In questo senso, la Commissione ha dichiarato che integrerà la prospettiva di genere in tutte le iniziative che adotterà durante il suo mandato: il Green deal europeo, la digitalizzazione, la salute con particolare riguardo al piano per la lotta contro il cancro avviato nel 2020 e al programma dell’Ue per la lotta alla droga 2021-2025. In questa prospettiva, la questione di genere sarà anche affrontata tenendo conto della intersezionalità tra il genere e le altre cause di discriminazione che può aggravare la condizione delle donne; a tal fine la Commissione ha dichiarato che «Il prossimo piano d’azione per l’integrazione e l’inclusione e i quadri strategici dell’Ue riguardanti la disabilità, le persone Lgbti+, l’inclusione dei rom e i diritti dei minori saranno collegati a questa strategia, oltre che tra loro. La prospettiva intersezionale, inoltre, sarà sempre presa in considerazione nelle politiche in materia di parità di genere».
La seconda questione affrontata attiene alla dimensione finanziaria, necessaria per intraprendere azioni efficaci in materia di parità di genere all’interno dell’Ue; in particolare, le azioni volte a promuovere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e l’equilibrio tra vita professionale e vita privata, a investire in strutture di assistenza, a sostenere l’imprenditoria femminile, a combattere la segregazione di genere in alcune professioni e ad affrontare il problema della rappresentanza squilibrata di ragazze e ragazzi in alcuni settori dell’istruzione e della formazione; tutte iniziative che saranno considerate nei vari strumenti di finanziamento e di garanzia di bilancio Ue inseriti nel quadro finanziario pluriennale (Qfp). D’altra parte, ciascuno degli Stati membri deve avere un quadro strategico nazionale per la parità di genere per poter accedere ai fondi.
In ultimo, la Commissione ha chiarito che la strategia per la parità, così come il Gap III citato che integrerà tutte le priorità indicate nell’azione esterna dell’Ue, si colloca all’interno di un progetto la cui portata è necessariamente globale e mondiale[8], e che sarà portato avanti attraverso iniziative e programmi anche congiunti con l’Onu (inziativa Spotlight) e campagne volte a sostenere la lotta contro stereotipi di genere e violenza contro le donne (#WithHer).
Dalla breve disamina condotta sul documento presentato dalla Commissione emergono una serie di dati e relative osservazioni incontrovertibili: è sempre più evidente e necessario misurarsi con la dimensione di genere che investe tutti i cambiamenti e le sfide che l’Europa e non solo si prepara ad affrontare a cui, in parte, la pandemia ha impresso una spinta e una accelerazione considerevoli; così come sempre più evidenti sono le perdite economiche complessive che comporta la sottorappresentazione delle donne nel mercato del lavoro e il conseguente mancato “utilizzo” delle competenze di metà della popolazione. E ciò tralasciando del tutto il fallimento derivante dal mancato raggiungimento di un obiettivo – quello della parità di genere – che dovrebbe costituire un approdo imprescindibile per ogni società civile, con tutto ciò che ne consegue in termini di giustizia sociale. Non fare i conti con questi dati non è più sostenibile, non soltanto da un punto di vista sociale ma anche economico. D’altra parte, le cause del perdurare delle differenze tra uomini e donne a tutti i livelli – lavoro, potere, retribuzione – nonché dei trattamenti violenti (verbali e fisici) inflitti alle donne sono anch’esse ampiamente note e riconosciute e traggono origine principalmente da radicati stereotipi di genere che, producendo un effetto domino, investono l’educazione, l’istruzione, la formazione, la famiglia, la società e il lavoro; e che, il più delle volte, invece che essere eradicati vengono perpetuati più o meno consapevolmente.
In questo quadro, la strategia Ue per la parità di genere 2020-2025 si prefigge degli obiettivi ambiziosi che, in realtà, per la gran parte non sono particolarmente originali; in alcuni casi meramente ricognitivi. Tuttavia, il pregio del documento varato dalla Commissione risiede nell’aver strutturato una strategia integrata che affronta i nodi irrisolti della/e questione di genere, mettendo in evidenza in maniera efficace i punti nevralgici sui quali è necessario un intervento e a quale livello, non tralasciando, inoltre, la dimensione finanziaria che, molto spesso, costituisce un ostacolo – reale o addotto – che frena le riforme degli Stati membri. Il fatto poi che la strategia si collochi all’interno di un progetto più ampio cui contribuisce, come tassello necessario in un sistema di cerchi concentrici, rappresenta un passaggio molto importante, come lo stesso riconoscimento della Gender equality quale obiettivo dell’Agenda 2030.
Tuttavia, come è stato da altri già messo in evidenza[9], alle parole della Commissione non sembrano essere seguiti i fatti in un momento cruciale, quale quello della proposta e dell’approvazione del Piano Next Generation EU, il principale strumento di finanziamento dei piani nazionali per la creazione di un’Europa più verde, più digitale, capace di creare opportunità e posti di lavoro per le nuove generazioni, che non contiene alcun riferimento alla dimensione di genere. A tale grave mancanza ha ovviato il Parlamento europeo adottando, nel luglio 2020, una risoluzione nella quale ha richiesto di introdurre il gender manistreaming e la valutazione dell’impatto di genere nel quadro finanziario pluriennale (Qfp) e nel NgEu, e sollecitando al contempo i Paesi membri a integrare la dimensione di genere nei loro piani di ripresa[10]. Questo approccio, malgrado l’intervento postumo del Parlamento europeo, non è di certo confortante e non depone bene; rischia, ancora una volta, di riproporre il noto schema delle belle intenzioni che restano sulla carta.
«Lavorando insieme saremo in grado di realizzare autentici progressi, di qui al 2025, per costruire un’Europa in cui donne e uomini, in tutta la loro diversità, siano uguali e liberi di perseguire le loro scelte di vita e di esprimere pienamente le loro potenzialità, abbiano pari opportunità di realizzazione personale e possano partecipare e avere, in ugual misura, un ruolo guida nella nostra società europea».
Così si conclude il documento che reca la Strategia europea per la parità di genere. Rimane da augurarsi che queste belle parole non servano solo ad abbellire la facciata dell’edificio Ue, ma si traducano in lavori di ristrutturazione seri ed efficaci capaci di dare all’Europa nuove, più uguali, fondamenta.
Mariagrazia Militello, prof.ssa associata presso l’Università di Catania
[1] COM (2020) 152 final, Bruxelles, 5.3.2020. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni.
[2] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni. Un’iniziativa per sostenere l’equilibrio tra attività professionale e vita familiare di genitori e prestatori di assistenza che lavorano, COM(2017) 252 final.
[3] Cfr. il Rapporto dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE): https://eige.euroa.eu/gender-equality-index/2019 che valuta i progressi sull’uguaglianza di genere in relazione a sei aspetti della vita: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute.
[4] OIL, Convenzione 190 e Raccomandazione 206 sulla violenza e sulle molestie.
[5] Direttiva 2006/54/CE riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione).
[6] Il legislatore italiano ha di recente adottato la legge n. 162/2021 che ha introdotto alcune modifiche in materia di pari opportunità tra uomo e donna, in particolare sull’art. 46 del d.lgs. n. 198/2006 abbassando a 50 dipendenti la soglia dimensionale delle aziende tenute a presentare un rapporto sulla situazione del personale.
[7] COM(2012)614 final.
[8] Nelle politiche esterne dell’Ue, la dimensione di genere è integrata nel processo di bilancio tramite l’impegno a garantire che l’85 % di tutti i nuovi programmi contribuisca alla parità di genere e all’emancipazione femminile.
[9] Villa, Una ripresa gender blind, in Ingenere, https://www.ingenere.it/articoli/una-ripresa-gender-blind; Id., Ce lo chiede l’Europa?, in Ingenere, https://www.ingenere.it/articoli/ce-lo-chiede-europa
[10] L’Italia, ad esempio, nel 2021 si è dotata per la prima volta di una Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026, ampia e integrata che definisce priorità (lavoro, reddito, competenze, tempo e potere), obiettivi e strumenti, nonché i relativi indicatori e target, rispettivamente volti a misurare i principali aspetti del fenomeno della disparità di genere e l’obiettivo specifico e misurabile da raggiungere.