Liability for financial loss for the public administrator who discriminates
L’autrice riassume la sentenza della Corte dei Conti 5.1.2022 n. 270/2022 che ha condannato per responsabilità contabile gli amministratori di un Comune in provincia di Brescia per aver adottato una delibera discriminatoria nei confronti dei cittadini stranieri e per averla poi difesa in due gradi di giudizio, risultando sempre soccombente.
The author summarises the judgment of the Corte dei Conti 5.1.2022 no. 270/2022 that condemned for accounting responsibility the administrators of a municipality in the province of Brescia for having adopted a discriminatory resolution against foreign citizens and for having then defended it in two levels of judgement, always coming out unsuccessful.
Non capita spesso che la magistratura contabile si occupi di discriminazione. E tuttavia, a fronte del susseguirsi di comportamenti di “discriminazione istituzionale” (cioè di provvedimenti di amministrazioni locali in contrasto con obblighi di parità di trattamento sanciti dalla legge) era inevitabile e doveroso che qualcosa prima o poi accadesse, proprio a tutela dell’interesse pubblico che detta magistratura è chiamata a tutelare; sarebbe infatti inaccettabile che, quando l’azione amministrativa viene piegata a provvedimenti dalla forte connotazione ideologica e elettoralistica nel totale disinteresse della loro legittimità, l’onere del ripristino della legalità finisca per gravare sulla generalità dei contribuenti. E ciò è tanto più rilevante nel momento in cui i giudici ordinari appaiono più propensi[1] a riconoscere alla vittima della discriminazione anche il danno non patrimoniale, con conseguente aumento dell’onere a carico della finanza pubblica.
La decisione dei giudici contabili non deve tuttavia apparire frutto di un mero automatismo conseguente alla soccombenza in giudizio dell’amministrazione “discriminatrice”. Stabilire se l’aver approvato e poi difeso in giudizio provvedimenti discriminatori rientra o meno in quella “colpa grave” che fa scattare la responsabilità contabile, non è infatti questione di poco conto rispetto alla “forza” da riconoscersi al diritto antidiscriminatorio: l’attribuzione della colpa grave presuppone cioè un inevitabile giudizio di favore sulla solidità dei principi di non-discriminazione, che non di rado vengono invece collocati in un ambito di opinabilità, ove la responsabilità dell’amministratore finirebbe per sfumare.
Non così nel caso esaminato dalla sentenza qui pubblicata, ove i giudici contabili non hanno avuto dubbi.
La questione è quella di cui si è in parte già detto in questo sito[2], affrontata da una serie di pronunce dei giudici di merito lombardi, ovvero l’improvviso e immotivato aumento dell’importo richiesto per il rilascio del certificato di idoneità alloggiativa.
La vicenda nasce nel 2015 quando il Comune di Rovato (così come i vicini comuni di Pontoglio, Telgate, Bolgare, Seriate e Albino) aveva approvato, con delibera adottata all’unanimità dalla giunta, di applicare un cospicuo aumento del diritto di segreteria (+ 624%) per ottenere il predetto certificato.
All’evidenza la decisione aveva lo scopo (e certamente l’effetto) di scoraggiare la presenza di cittadini stranieri nel comune.
A seguito di ricorso presentato da ASGI e Fondazione Guido Piccini, unitamente a una cittadina straniera, il Tribunale di Brescia, con ordinanza poi confermata dalla Corte d’appello di Brescia (sent. 25 febbraio 2019, est. Tulumello, Comune di Pontoglio e Rovato c. xxx, ASGI e Fondazione Piccini), era stata riconosciuta la portata discriminatoria di tale provvedimento, con conseguente condanna del Comune a ripristinare l’importo precedente e a restituire agli stranieri che nel frattempo avessero chiesto il certificato quanto pagato in eccesso.
Secondo dette pronunce, infatti, se è vero che il certificato in questione potrebbe astrattamente essere richiesto anche agli italiani, ciò di fatto non accade (anche perché nessuna norma di legge lo impone) mentre per gli stranieri il possesso del certificato incide su diritti fondamentali della persona come quelli alla unità familiare, essendo appunto richiesto per la pratica di ricongiungimento familiare.
Renderlo dunque particolarmente oneroso senza una ragionevole motivazione comporta dunque una discriminazione indiretta in danno degli stranieri.
La Procura regionale della Corte dei Conti ha dunque deciso di convenire in giudizio i membri della giunta e il segretario comunale dell’ente territoriale chiedendone la condanna, “con imputazione a titolo di colpa grave”, al risarcimento del pregiudizio erariale in conseguenza delle spese sopportate dal Comune per la soccombenza nel predetto contezioso giudiziario.
Secondo la procura, le spese sopportate dall’ente (quasi ventimila euro) hanno trovato il loro antecedente causale nell’adozione della delibera comunale richiamata, “da ritenere del tutto ingiustificata e dal carattere palesemente discriminatorio in considerazione della manifesta violazione di diritti costituzionalmente tutelati, come accertato definitivamente in sede giurisdizionale”; dunque il danno erariale è collegato a “un’inescusabile negligenza degli amministratori” nell’approvare dapprima la delibera e successivamente le successive decisioni di resistere in giudizio e di appellare la decisione di primo grado, “in assenza di una apprezzabile ragione giustificativa rilevante a livello pubblicistico e per finalità discriminatorie nei confronti dei cittadini stranieri”.
La Corte, respinta l’eccezione di prescrizione avanzata dalla difesa dei convenuti, ha accolto le richieste della Procura e riconosciuto che il danno erariale deve essere imputato a colpa grave.
Riprendendo le motivazioni addotte dai giudici di merito per determinare il carattere discriminatorio dell’atto impugnato (in particolare ricordando che l’attività necessaria al rilascio dei certificati di idoneità alloggiativa è ricompresa nelle attività istituzionali dell’ente ed è già inclusa nelle spese sostenute per gli stipendi dei dipendenti dell’ente), la Corte ricorda che il provvedimento incriminato ha determinato “l’effetto di compromettere il riconoscimento e il godimento, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali dei cittadini stranieri”; e ne fa derivare la la condanna dei convenuti in giudizio per “comportamento gravemente negligente” al pagamento pro quota della somma spesa dall’ente nel contezioso, avendo questo “dovuto inutilmente remunerare le prestazioni di un avvocato di libero foro e aver dovuto disporre il pagamento delle spese di lite sopportate dalle controparti, oltre agli oneri per la pubblicazione della sentenza sui mass media”.
L’importo della condanna viene definito dalla Corte applicando il potere riduttivo previsto dalla L. 20/1994, in considerazione della circostanza per cui l’attività era comunque volta a incrementare le entrate dell’ente (se pure a discapito dei cittadini stranieri), nonché della circostanza per cui “i rischi derivanti dalla pervicace resistenza in giudizio, anche per la presenza di recenti precedenti giurisdizionali, potevano essere meglio rappresentati dal patrocinatore esterno al quale il Comune si era rivolto”.
Marta Lavanna, avvocata del foro di Torino
[1] Cfr. Corte Appello L’Aquila, 18.1.2023, est. Bellisieri, pres. Fabrizio, XXX e ASGI (avv. Guariso, Piscione, Borsa) c. Comune dell’Aquila (avv. De Nardis e Durante); Trib. Udine, 1.02.2023, sez. lav., est Chiarelli (ord.) XXX (avv. Benzoni e Guariso) c. Regione Friuli Venezia Giulia (avv. Croppo, Iuri, Massari, Tomasini) e Banca Mediocredito del Friuli VG s.p.a. (contumace).
[2] Si veda il precedente commento dell’autrice pubblicato al seguente link.