Nota di redazione a cura di Danilo Colabraro
La decisione in questione riguarda il caso di una lavoratrice, madre di 3 figli, di cui due minori e uno affetto da grave forma di disabilità, nonché unico genitore affidatario del predetto figlio disabile. La lavoratrice svolge attività di commessa all’interno di un centro commerciale, in un punto vendita con organico di oltre 10 commessi, nessuno dei quali portatore di un fattore di protezione. Dalla disamina in fatto emerge come la lavoratrice fino al luglio 2021 (data che pare costituire un giro di boa, coincidente con il cambio dello store manager del negozio), come tutti gli altri colleghi part time, pur avendo nel contratto una precisa collocazione temporale dei turni, in base alla clausola di flessibilità, era adibita ad una rotazione tra mattina e pomeriggio, e sempre con turni continuati. Dal luglio 2021, invece, veniva adibita solo a turni spezzati o pomeridiani, seguendo pedissequamente la collocazione temporale del contratto di lavoro. Gli altri colleghi continuavano invece ad essere adibiti, secondo la clausola di flessibilità, a turni variabili tra mattina e pomeriggio e, in ogni caso, mai spezzati. Tali turnazioni rendevano difficoltosa l’assistenza al figlio disabile sia per quanto concerne le terapie, sia per l’ausilio nei compiti scolastici nel pomeriggio, essendo in tali momenti la lavoratrice impegnata sul posto di lavoro. Emergeva dall’istruttoria, inoltre, che proprio la fruizione delle agevolazioni connesse alla L. 104/92 induceva la società ad adibirla a turni più difficoltosi. Venivano allegati documentazione medica comprovante lo stato di salute del minore disabile nonché comunicazioni dell’insegnante di sostegno, attestante la necessità dell’ausilio nei compiti a casa. Inoltre la fruizione dei permessi ex art. 33 L. 104/92 e del congedo straordinario inducevano i suoi superiori alla posposizione rispetto ai suoi colleghi nella scelta delle ferie. Inutili risultavano le richieste avanzate dalla lavoratrice di poter essere adibita a turni equamente distribuiti fra mattina e pomeriggio. D’altro canto il datore di lavoro, nelle proprie difese, non era andato oltre generiche affermazioni inerenti esigenze organizzative, peraltro sconfessate dall’istruttoria, dalla quale emergeva che alcuna difficoltà vi sarebbe stata nell’adibire la lavoratrice a turni antimeridiani e continuativi, come peraltro veniva regolarmente fatto prima del luglio 2021 dagli store manager precedenti che, nonostante le direttive di segno contrario provenienti dai superiori, cercavano di contemperare le esigenze del negozio con quelle della lavoratrice.
Preliminarmente va evidenziato come il Tribunale abbia ritenuto applicabile al caregiver le tutele del rito antidiscriminatorio, in ciò confortato dalla giurisprudenza formatasi dalla sentenza Coleman in poi. Il Giudice ha ritenuto che a fronte della situazione di svantaggio della lavoratrice, del tutto diversa dalla condizione degli altri colleghi, il datore di lavoro avrebbe dovuto, ai sensi dell’art. 3, comma 3 bis D.lgs. 216/03, adottare accomodamenti ragionevoli per garantire alla caregiver la piena uguaglianza con gli altri lavoratori, giacché si ha una discriminazione indiretta se una dipendente portatrice di un fattore di protezione viene trattato in maniera identica agli altri lavoratori, impedendo di fatto l’uguaglianza sostanziale che, invece, necessita trattamenti differenti in situazioni differenti.
In disparte il fatto che nessun accomodamento avrebbe dovuto operare la società, atteso che la lavoratrice avrebbe tranquillamente potuto – come in effetti aveva sempre fatto prima del luglio 2021 – svolgere la sua attività di commessa al mattino, quando il negozio è regolarmente aperto, e che dunque nessun aggravio, tanto meno sproporzionato, vi sarebbe stato per il datore di lavoro, v’è che proprio a causa della fruizione dei permessi ex L. 104/92 la lavoratrice veniva adibita a quei turni più difficoltosi. Il che, sinceramente, fa dubitare che si tratti di discriminazione indiretta, come ha evidenziato il Giudice. Difficilmente il comportamento datoriale può essere degradato ad azione neutra, laddove pur muovendosi nell’alveo di una legittima prerogativa organizzativa, il comportamento è chiaramente dettato dal fattore di protezione ed anzi ne è la stretta – illegittima – conseguenza. Il comportamento datoriale vagliato dal Tribunale di Catanzaro sembrerebbe più correttamente inquadrabile nella discriminazione diretta, atteso che proprio in ragione della disabilità (del figlio) la lavoratrice è stata trattata meno favorevolmente dei suoi colleghi, che, pur avendo lo stesso identico contratto, hanno potuto svolgere turni continuativi e non spezzati, e a rotazione tra mattina e pomeriggio.
Il Tribunale, dunque, accertando la discriminazione indiretta, ha condannato il datore di lavoro all’adibizione ad almeno tre turni antimeridiani e continuati, al fine di consentire alla lavoratrice di contemperare le esigenze lavorative con quelle familiari. Da tale punto di vista pare evidente come la pronuncia, sebbene resa in base al fattore di protezione disabilità, possa avere una valenza più ampia, andando ad incidere su tutte quelle situazioni in cui particolari esigenze legate alla tutela della genitorialità possano necessitare di un trattamento particolareggiato. Ha altresì ordinato all’azienda di consentire alla lavoratrice la scelta delle ferie in situazione di uguaglianza rispetto ai colleghi, così accertando che proprio a causa della fruizione dei permessi consentiti dalla legge per l’assistenza al figlio, la lavoratrice veniva discriminata anche nella scelta delle ferie. Circostanza, questa, che si aggiunge e rafforza l’idea per cui il Giudice avrebbe dovuto accertare l’esistenza di una discriminazione diretta, non essendo plausibile ipotizzare un comportamento neutro consistente nella posposizione della scelta delle ferie come conseguenza diretta della fruizione dei permessi ex L. 104/92.
Il Giudice di Catanzaro ha condannato il datore di lavoro al risarcimento dei danni con funzione dissuasiva e riparatoria, prendendo in considerazione non solo la sofferenza della lavoratrice ma anche l’atteggiamento datoriale che non ha mostrato cenno di ravvedimento nonostante le plurime richieste della lavoratrice stessa. E infine, ovviamente, l’ampiezza del periodo in cui la discriminazione è avvenuta e le dimensioni aziendali. Ha rigettato, infine, la condanna alla pubblicazione della pronuncia su un quotidiano a tiratura nazionale, motivando la decisione, laconicamente, in base alle circostanze del caso concreto. Decisione che mal si concilia con la condanna al risarcimento del danno, a sua volta motivato in base all’atteggiamento continuativo e pervicace dell’azienda.
Benché il Tribunale abbia accolto il ricorso, alla luce della ricostruzione dei fatti, pare di poter affermare che la decisione sia stata in parte salomonica, atteso che non pare vi fossero ragioni per limitare a soli tre giorni l’adibizione a turni antimeridiani. Anche l’adibizione a turni esclusivamente antimeridiani non avrebbe mutato l’organizzazione aziendale, che comunque necessitava di una commessa al mattino, né richiesto oneri economici sproporzionati, consentendo, invece, alla lavoratrice di poter completamente assolvere ai propri doveri di assistenza al figlio disabile. Solo così il Tribunale avrebbe rimosso completamente le cause ostative ad un’effettiva situazione di uguaglianza.
Danilo Colabraro, avvocato del foro di Catanzaro