Equality is rational: A Brief History of Discrimination against Foreigners in the Friuli Venezia Giulia Region
L’Autore ricostruisce la vicenda delle norme regionali della Regione Friuli Venezia Giulia in tema di accesso degli stranieri agli alloggi di edilizia pubblica e ai contributi pubblici per la locazione o l’acquisto. La vicenda è particolare per la resistenza opposta dalla Regione alle pronunce giudiziarie e perché evidenzia la funzione del diritto antidiscriminatorio nel correggere le decisioni di assemblee elettive quando queste siano in contrasto con norme di tutela delle componenti più deboli della società.
The author illustrates the case of the regional regulations of the Friuli Venezia Giulia Region on the subject of foreigners’ access to public housing and public contributions for rent or purchase. The case is particularly interesting because of the Region’s resistance to implement the judgments and because it highlights the function of anti-discrimination law in correcting the decisions of elected bodies when these are in conflict with rules protecting the weaker members of society.
1. La questione dei “documenti aggiuntivi” per l’accesso agli alloggi ERP e al contributo affitti. 2. Il contenzioso sui “documenti aggiuntivi” e la sentenza della Corte Cost. N. 9/2021 3. La “resistenza” della Regione alle decisioni giudiziarie 4. Un primo epilogo 5. Due riflessioni
1. La questione dei “documenti aggiuntivi” per l’accesso agli alloggi ERP e al contributo affitti
Mentre il Governo dichiara di apprestarsi a riformare il reato di abuso d’ufficio sul presupposto della fantomatica “paura della firma” che impedirebbe agli amministratori pubblici di assumere qualsiasi decisione nel timore di finire imputati, rischia di passare sotto silenzio il caso opposto: quello cioè di amministratori che di firme ne mettono troppe, contrapponendole alle sentenze emesse nei loro confronti “in nome del popolo italiano” e dunque – si suppone – anche in nome dei loro amministrati.
È il caso della Regione Friuli VG ove da oltre due anni il Consiglio Regionale e molti Comuni si incaponiscono in un defatigante conflitto con la magistratura per tener ferme alcune disposizioni introdotte al solo fine di limitare i diritti sociali degli stranieri.
La vicenda è quella, ampiamente nota, dei “documenti aggiuntivi” che vengono richiesti ai cittadini extra UE sul presupposto che lo straniero regolarmente soggiornante – pur essendo tenuto a dichiarare, al pari degli italiani, redditi e patrimoni detenuti all’estero – debba tuttavia procurarsi, a differenza dell’italiano, specifica documentazione sui suoi redditi o patrimoni nel paese di origine e nel paese di provenienza.
L’idea conosce numerose varianti: si va dai Comuni che hanno preteso di applicare questa regola per l’accesso a tutte le prestazioni sociali arrivando a segregare in un’aula separata i bimbi di genitori undocumented e finendo per questo additato a Comune razzista persino sulla stampa estera (è il caso, notissimo, del Comune di Lodi[1]) ; via via fino alla versione più diffusa che limita la regola dei documenti aggiuntivi al requisito di non possedere immobili in alcuna parte del mondo (efficacemente descritto come “impossidenza planetaria”[2]): un requisito che pressochè tutte le Regioni prevedono per l’accesso alle graduatorie per gli alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica.
Il caso Friuli è assolutamente unico perché contempla una variante estrema: il requisito della “impossidenza planetaria” è infatti previsto (a seguito di una modifica introdotta nel 2019) non solo per l’accesso agli alloggi, ma per tutte le quattro azioni previste dalla Regione[3] per il diritto alla casa, ivi compreso un modesto “contributo affitti”[4] per famiglie bisognose. In pratica chi ha la proprietà di un alloggio ad es. in Togo non può mai ambire, secondo la Regione, a ricevere una casa pubblica o un sostegno all’affitto neppure se si trova a vivere in Italia in condizioni di estrema povertà: una sorta di “disincentivo all’emigrazione” basata sull’idea che se hai una casa è bene che tu te ne stia nel tuo paese. La logica che sorregge simili disposizioni (che, sia chiaro, non riguardano l’ovvia computabilità dell’eventuale reddito ricavato dalla proprietà estero, ma introducono una vera e proprio barriera all’accesso, indipendente dal reddito) è davvero imperscrutabile.
Al danno si aggiunge la beffa, perché lo straniero non solo deve essere “impossidente”, ma deve dimostrare tale impossidenza con documenti del paese di origine e di provenienza rilasciati dalle competenti autorità, tradotti e legalizzati; mentre il cittadino italiano, quand’anche avesse risieduto per tutta la vita all’estero, nulla deve dimostrare, confidando la Regione nella veridicità della sua dichiarazione di impossidenza globale.
Insomma il mero status civitatis consente all’italiano di accedere a importanti prestazioni (la casa pubblica e il sostegno all’affitto) sulla base di una dichiarazione che la Regione non ha ovviamente alcuna possibilità di verificare (se non con riferimento all’Italia); mentre allo straniero viene imposta una strada irta di difficoltà documentali spesso insuperabili.
2. Il contenzioso sui “documenti aggiuntivi” e la sentenza della Corte Cost. n. 9/2021
Comincia così, sia in Friuli VG sia nelle altre Regioni, la lunga traversata nelle aule giudiziarie, che dà risultati davvero sorprendenti per omogeneità: nessun Tribunale riconosce legittimità alle previsioni relative ai “documenti aggiuntivi”[5]. Talora (ed è la tesi più frequente) la norma regolamentare viene disapplicata per contrasto con l’art. 2, comma 5 TU immigrazione[6]; altre volte viene invocato il diritto alla parità di trattamento previsto dal diritto dell’Unione[7]; altre volte la prevalenza delle norme sull’ISEE ex DPCM 159/2013, che costituisce livello essenziale delle prestazioni e che prevede una dichiarazione unica identica sia per gli italiani che per gli stranieri; altre volte ancora viene invocato il nuovo comma 3bis dell’art. 18 della L. 241/90 a norma del quale nei procedimenti aventi ad oggetto prestazioni economiche, le autocertificazioni sostituiscono ogni altro documento, senza distinzioni tra italiani e stranieri.
Parallelamente ai molti giudizi aventi ad oggetto fonti secondarie (regolamenti, delibere, bandi ecc.), si tiene anche, avanti la Corte Costituzionale, un giudizio avente ad oggetto l’unico caso in cui una Regione aveva trasfuso la previsione sui “documenti aggiuntivi” addirittura in una legge regionale. E l’esito è il medesimo (sentenza n. 9/2021): la norma viene dichiarata incostituzionale per l’assoluta irragionevolezza di pretendere dagli stranieri, a riprova della loro “impossidenza”, documenti che non vengono richiesti agli italiani, benchè gli uni e gli altri si trovino, dal punto di vista della controllabilità della dichiarazione, esattamente nella medesima situazione.
Da notare che la Corte Costituzionale non perde l’occasione per affermare che il problema va oltre la “differenza documentale” tra italiani e stranieri e riguarda il requisito in se stesso della “impossidenza planetaria”: secondo la Corte è infatti del tutto irragionevole impedire a una persona bisognosa di concorrere alla assegnazione di un alloggio pubblico solo perché proprietaria di un alloggio dall’altro capo del mondo, da cui non potrà mai ottenere una “utilità comparabile” [8]a quella dell’alloggio che richiede in Italia.
Tuttavia il ricorso alla Corte Costituzionale (promosso in quel caso dal Governo) non riguardava il requisito in sé stesso e così la sentenza n. 9/2021 si limita alla dichiarazione di incostituzionalità della differenza documentale: decisione che sarebbe comunque stata più che sufficiente per vincolare tutte le Regioni a conformarsi rapidamente, quantomeno sotto il profilo degli obblighi documentali, ai principi enunciati dal Giudice delle Leggi.
3. La “resistenza” della Regione alle decisioni giudiziarie
Sennonché la Regione FVG a conformarsi non ci ha pensa neppure un attimo e prosegue serafica per la sua strada, incurante non solo della Corte Costituzionale, ma anche delle decisioni dei Giudici friulani che, sia in primo che in secondo grado, hanno riconoscono il diritto degli stranieri alla “parità documentale”. [9]
Già questa resistenza lascia a dir poco perplessi se si considerano non solo le spese già sin qui sopportate per il rimborso di spese legali alle controparti (a un calcolo sommario non meno di 50.000 euro) ma anche il fatto che, nel frattempo, tutte le amministrazioni che inizialmente si erano orientate nello stesso senso della Regione, hanno invece cambiato orientamento o per ordine del giudice, o spontaneamente[10] lasciando così la sola Regione FVG a difendere l’ultima trincea in una guerra ormai terminata.
Per non dire poi dei disagi posti a carico degli uffici amministrativi, costretti inizialmente ad escludere gli stranieri undocumented dalle graduatorie, poi a riammetterli “con riserva” (non si sa bene con riserva di che cosa), poi a erogare comunque la prestazione, generando quindi difformità territoriali (qualche Comune ha scelto di obbedire ai giudici, qualcuno di obbedire alla Regione) e comunque obbligando gli enti locali a sprecare tempo prezioso in un insensato fare e disfare.
Ma non solo: una parte delle decisioni giudiziali sono state assunte su ricorso di associazioni legittimate (in particolare di ASGI) che, come consentito dalla legge, hanno chiesto al giudice un ordine giudiziale di modificare gli atti Regionali pertinenti. Anche questa domanda ha trovato accoglimento e dunque si sono susseguite la ordinanza Trib. Udine 4.3.2021 che ha ordinato la modifica del Regolamento 66/2001 relativo al contributo affitti; la ordinanza Trib. Pordenone 4.12.2022 che ha ordinato alla Regione di modificare il Regolamento n.208/2016 per l’accesso agli alloggi ERP; l’ordinanza 31.1.2023 che ha ordinato di modifica il regolamento n. 144/2016 sul contributo acquisto e recupero.
Nonostante l’esecutività di tutte le pronunce di primo grado citate, la Regione per molto tempo è rimasta inerente in attesa delle decisioni di appello ed anche successivamente a queste, mentre nel frattempo i Comuni si barcamenavano come sopra ricordato, ma in linea di massima erogavano la prestazione, attenendosi alla deplorevole politica del “lo faccio, ma non lo dico”, ovviamente incompatibile con l’art. 97 Cost..
Solo più di un anno dopo la Giunta ha sottoposto alla Commissione competente del Consiglio la proposta di abrogazione della norma contestata relativa al regolamento n. 66 cit., evidentemente sul (discutibile) presupposto che l’ottemperanza all’ordine del giudice richieda il consenso della maggioranza.
E la maggioranza, guarda caso, ha scelto di disobbedire, rendendo parere contrario al rispetto della decisione giudiziale.
Ma poiché lo Statuto regionale prevede che sulle modifiche dei Regolamenti il Consiglio esprima parere vincolante si è aperto un conflitto titanico: a chi compete stabilire le regole della vita collettiva? Al consiglio regionale democraticamente eletto o al giudice in base alle norme primarie cui anche la Regione deve soggiacere? Uno studente delle medie saprebbe forse cosa rispondere, ma non così la Giunta Regionale che, ritenendo di avere le mani legate dalla decisione del Consiglio, ha varato una diversa modifica del Regolamento 66 (poi estesa anche agli altri Regolamenti).
Si tratta della DGR 849 del 9.6.2022, poi trasfusa nel decreto del presidente della Regione 18.7.2022, n. 089/Pres..
Ebbene la novella lascia intatto il precedente regime differenziato, al quale aggiunge solo la seguente previsione:
“I cittadini (di paesi extra UE) impossibilitati, pur avendo agito con correttezza e diligenza, a produrre la documentazione…. presentano in sostituzione una dichiarazione resa ai sensi dell’articolo 47 del DPR 445/2000”.
La previsione non solo non parifica affatto il regime di italiani e stranieri, come i giudici avevano imposto, ma tocca vette impensabili di irrazionalità: i cittadini extra UE, che prima erano tenuti a “dimostrare l’impossidenza”, ora sono tenuti o a “dimostrare l’impossibilità” (dunque tornando a offrire “documenti aggiuntivi” solo di diverso tenore sottomettendosi, oltretutto, a una valutazione ampiamente discrezionale del funzionario incaricato) oppure a autocertificare un fatto ancora più opinabile (la “correttezza e diligenza”) addossandosi così il rischio di una sanzione penale ove mai un Giudice dovesse ritenere insufficiente la “diligenza” posta in essere.
Sul versante dell’attività amministrativa, poi, la situazione è ancora più illogica perché, dopo essersi rifiutata di ammettere lo straniero alla autocertificazione di un fatto oggettivo e verificabile, se pure mediante rapporti con gli stati interessati (“non ho un immobile in Togo”) si vedrebbe costretta a “fidarsi” di una dichiarazione avente a oggetto una mera valutazione (“ho agito con correttezza e diligenza per procurarmi documenti in Togo”).
4. Un primo epilogo
Siamo così all’epilogo, o quasi. Il Tribunale di Udine, con ordinanza 31.1.2023, ribadisce l’ennesimo ordine di modifica (in questo caso riferito al Regolamento 144/2016) ma stavolta lo accompagna dall’astreinte di cui all’art. 614bis cpc (100 euro per ogni giorno di ritardo nella esecuzione dell’ordine di modifica).
Forse intimorita da possibili risvolti di responsabilità contabile, la Giunta corre ai ripari e sottopone nuovamente al Consiglio la modifica regolamentare questa volta conforme all’ordine del giudice, con la soppressione completa (in tutti e quattro i regolamenti[11]) di qualsiasi riferimento ai “documenti aggiuntivi”: questa volta la Commissione consiliare approva e dunque la modifica diventa definitiva (decreti del Presidente della Regione da 42 a 46 del 1.3.2023 pubblicati in BUR 15.3.2023).
Non senza, però, due ultimi colpi di scena. Il primo: nelle premesse alla delibera 315/2023 si legge che le suddette modifiche ai regolamenti costituiscono mero adempimento alle disposizioni dell’Autorità giudiziaria, ma “non sono da intendersi come acquiescenza alle suddette disposizioni” (tanto è vero che nel frattempo l’Avvocatura Regionale continua a impugnare tutte le pronunce che via via intervengono): una sorta dunque di “regolamento regionale con riserva” di cui è difficile cogliere il senso giuridico, se si considera che le situazioni regolate dal nuovo Regolamento ora approvato giammai potranno essere modificate retroattivamente da eventuali mutamenti futuri di orientamenti giurisprudenziali o normativi.
Il secondo: con ordinanza 8.2.2023 il Tribunale di Udine ha confermato che le modifiche sulla “correttezza e diligenza” non pongono affatto rimedio alla discriminazione (e ha quindi ordinato l’ammissione dei 40 ricorrenti al contributo affitti) confermando quindi il loro diritto senza che debbano sottostare all’autocertificazione della “correttezza e diligenza”; ha però anche ritenuto – discostandosi dalle precedenti pronunce – di non poter ordinare la modifica del Regolamento n. 66, senza sollevare questione di costituzionalità dell’art. 29, comma 1 LR 1/2016 che effettivamente contiene una previsione analoga a quella del Regolamento, ma che le precedenti pronunce avevano ritenuto di poter disapplicare per contrasto con il diritto UE. L’eccezione è stata sollevata rispetto a due previsioni: sia quella ove si prevedono i documenti aggiuntivi a carico degli stranieri; sia quella ove si prevede il requisito della “impossidenza planetaria” per accedere a un modesto contributo affitto. Anche questa seconda questione giungerà quindi finalmente all’esame della Corte.
5. Due riflessioni
La incredibile vicenda qui descritta – davvero incredibile se si pensa alla quantità di risorse impiegate per perseguire un obiettivo di così limitato rilievo pubblico e soprattutto, stando alle pronunce finora intervenute, del tutto contra legem – suggerisce almeno due riflessioni.
La prima è che se si dovessero valutare le opposte posizioni (dei giudici e della Regione) alla luce del principio di ragionevolezza, la tesi “giudiziaria” vincerebbe probabilmente 10 a zero. La tesi opposta, come si è visto, muoveva da una irrazionalità di partenza (l’effetto impeditivo della proprietà all’estero) e si è poi avviluppata in illogicità sempre più manifeste, fino a quella della “correttezza e diligenza”.
Una ulteriore controprova che la disuguaglianza, specie dove perseguita da un soggetto pubblico, è inefficiente, frena l’azione degli uffici amministrativi, produce spreco di risorse pubbliche, impedisce che l’aiuto pubblico si diriga là dove c’è più bisogno, sostituisce la conflittualità alla coesione sociale. In poche parole l’uguaglianza, oltre che giusta, è anche razionale; o, con le parole del grande politologo liberale Isahia Berlin “l’uguaglianza non ha bisogno di giustificazioni. Solo la disuguaglianza deve fornire una ragione”:
La seconda riguarda il ruolo “antimaggioritario” del divieto di discriminazione[12].
Le vere democrazie si reggono su un difficile equilibrio nel quale la maggioranza promulga regole anche a tutela di coloro che sono socialmente e politicamente minoranza, sul presupposto che l’attribuzione a costoro di diritti sociali e civili sia cosa doverosa per ragioni etiche e utile al buon funzionamento del sistema.
Una di queste regole è appunto il divieto di discriminare i portatori di un particolare fattore, come appunto quello di non essere titolari di quello status civitatis che appartiene invece alla maggioranza: un Consiglio Regionale, per quanto democraticamente eletto dai residenti, soggiace a questa regola alla quale non può sottrarsi accampando il consenso della maggioranza degli elettori della Regione.
Naturalmente il tema rimanda immediatamente a quello della “ripartizione di compiti” in un sistema multilivello, nel quale può accadere che la tutela del gruppo minoritario sia collocata a un livello apparentemente lontano (i “burocrati romani” o “i burocrati europei” direbbe qualcuno) al quale tuttavia abbiamo altrettanto democraticamente scelto di “cedere sovranità” sul presupposto che la cooperazione tra diversi ordinamenti sia il sistema migliore per accrescere i diritti e modulare i corrispondenti doveri.
La disciplina della condizione di straniero rimane nella competenza dell’ordinamento eurounitario (cfr. art. 79 TFUE che riserva all’Unione la disciplina dell’equo trattamento dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti”) e dello Stato (art. 117, comma 2, lett. b Cost.). Il conflitto tra Regione e organi giudiziari non è dunque il classico conflitto tra politica e magistratura, ma configura una sorta di “ribellione” della Regione all’ordinamento nazionale, alla Costituzione (almeno stando alla sentenza 9/2021) e al diritto dell’Unione (le citata direttive 2003/109 e 2011/98).
Che a tale ribellione possano porre rimedio le norme processuali e sostanziali sul divieto di discriminazione è una buona cosa e una conferma della forza di questo divieto: che tuttavia – come insegna la lentezza con cui la vicenda friulana è giunta (forse) a soluzione – rischia di essere intrinsecamente debole se non è sostenuto dal consenso sociale; e dalla convinzione che la pronuncia del giudice non attesta (solo) vincitori e vinti, ma costituisce la regola di vita collettiva attorno alla quale ricostruire una nuova socialità.
Alberto Guariso, avvocato del foro di Milano
[1] Vicenda decisa con l’ordinanza Tribunale di Milano 13.12.2018, confermata da Corte Appello Milano 29.12.2020, passata in giudicato. Entrambe le pronunce sono reperibili nella banca dati www.asgi.it .
[2] L’espressione è stata introdotta da un parere reso alla Regione Piemonte dal garante antidiscriminatorio e reperibile sul sito www.asgi.it, ma è poi stata utilizzata in numerosi provvedimenti giudiziari.
[3] Le quattro azioni corrispondono a quattro Regolamenti regionali: n. 208/2016 sull’accesso alla edilizia convenzionata; n. 70/2017 sugli alloggi di edilizia convenzionata; n. 144/2016 sugli incentivi alla acquisizione o recupero per casa di abitazione; n. 66/2020 sul “contributo affitti”.
[4] Trattasi del contributo previsto dalla L. 431/1998 che il Governo ha recentemente deciso di non rifinanziare per l’anno 2023. Da rilevare che questa decisione – grave in assoluto, stante la cronica scarsità di alloggi accessibili alle fasce più povere – colpisce soprattutto gli stranieri: secondo il rapporto ISTAT sulla povertà 2021, tra le famiglie povere composte anche da uno straniero, quelle che vivono in affitto sono il 76,5%, mentre tale percentuale scende al 31,1% per le famiglie composte da soli italiani.
[5] Si vedano tra le molte, le seguenti pronunce: Tribunale Milano, sez, I, est. Di Plotti, ordinanza del 13.12.2018; Corte d’Appello Milano, sez. I, sentenza 29.12.2020; Corte Appello Firenze 27.1.2021 ; Tribunale Torino 25.7.2021 e 22.6.2022 ; Tribunale Arezzo 9.1.2022 ; Corte d’Appello Milano, sezione lavoro e previdenza, sentenza del 17.1.2019; Trib. Milano, sez. I, est. Miccichè, ordinanza del 20.3.2020, Trib.Milano, sez. I, est. Flamini, 27.7.2020 confermata da Corte App.Milano 9.23.2023; Trib. Genova 10.11.2022.
[6] A norma dell’art. 2, comma 5 TU Immigraz. lo straniero regolarmente soggiornante ha diritto alla parità di trattamento con l’italiano nei rapporti con la PA e il diritto alla autocertificazione dovrebbe logicamente rientrare nei “rapporti con la PA”.
[7] Ci si riferisce all’art. 11 direttiva 2003/109 che sancisce, per gli stranieri titolari di permesso di lungo periodo, il diritto alla parità di trattamento nelle “prestazioni sociali, assistenza sociale, protezione sociale” (norma che viene in questione per il sostegno all’affitto) e nelle “procedure per l’accesso all’abitazione”; nonché all’art. 12 direttiva 2011/98 che prevede il medesimo principio paritario per l’accesso all’abitazione estendendolo ai titolari di permesso unico lavoro.
[8] L’espressione era già contenuta nella sentenza della Corte n. 176/2000, che aveva già parzialmente censurato la previsione di “impossidenza” sul territorio nazionale: incuranti di questa decisione le Regioni hanno poi esteso il requisito alla eventuale proprietà “in Italia o all’estero”.
[9] Trib.Udine 4.3.2021 est. Vitulli in causa X e ASGI c. REGIONE FVG.
Trib. Trieste 3.5.2021 in causa X. c. REGIONE FVG,
Trib. Pordenone 6.4.2022 est. Tesco in causa X + altri c. Comune di Pordenone + Regione
Trib. Pordenone 6.4.2022 est. Tesco in causa X + altri c. Comune di Pordenone + Regione
Trib.Pordenone 4.12.2022 est. Toffolo in causa ASGI + 1 c. Comune di Pordenone + Regione
Trib. Trieste, est. Sirza, 24.3.2022 in causa X c. Regione FVG e Trib. (queste ultime due relative alla medesima problematica, ma per quanto riguarda l’accesso all’alloggio).
Tutte le predette pronunce, ove giunte all’esame del secondo grado, sono state confermate dalla Corte d’Appello di Trieste.
[10] La Regione Toscana, con L.R.35/2021, ha modificato la propria legislazione proprio in conseguenza della sentenza n.9/2021; la Regione Liguria, su mera segnalazione delle associazioni, ha revocato una precedente delibera riconoscendo la sufficienza dell’ISEE (DGR 23.7.2021 n. 665); la Regione Valle d’Aosta e la Regione Piemonte hanno modificato i loro atti contenenti la previsione in esame su ordine del Tribunale di Torino (cfr le ordinanze sopra citate) e non hanno proposto impugnazione. Anche l’INPS, che richiedeva agli stranieri i documenti sui redditi del paese di origine per accedere alle prestazioni pensionistiche, ha modificato la propria posizione e ha deciso di fare riferimento al DM in materia di reddito di cittadinanza che limita l’onere in questione a soli 19 paesi in tutto il mondo, tutti con scarsa o nulla presenza migratoria in Italia (cfr. Messaggio INPS 2848 del 6.8.2021).
[11] La modifica va quindi oltre la decisione del giudice e riguarda tutti i regolamenti già elencati alla nota 3.
[12] La definizione è di M.Barbera nel testo “Il diritto antidiscriminatorio: fonti, strumenti, interpreti”.