Discriminatory dismissal: which procedural rules apply?
Le brevi osservazioni che seguono traggono spunto dal provvedimento emesso dal Tribunale di Lecco, decreto del 2.5.2022, con cui è stato disposto il mutamento di rito in merito al ricorso presentato da un lavoratore ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. n. 150 del 2011, il quale lamentava la nullità del licenziamento adottato nei suoi confronti perché discriminatorio in ragione della sua disabilità. Al decreto ha fatto seguito la successiva ordinanza del 26.6.2022, emessa ai sensi dell’art. 1 comma 48 e ss. della legge n. 92 del 2012, con la quale il tribunale ha accertato la natura discriminatoria del licenziamento[1].
La parte ricorrente aveva irritualmente optato per l’utilizzazione del rito sommario di cognizione di cui all’art. 28 del d.lgs. n. 150 anche per l’accertamento della illegittimità del recesso intimato dalla società datrice di lavoro per superamento del periodo di comporto e quindi anche per motivi diversi dalla causa petendi relativa alla lamentata condotta discriminatoria del datore di lavoro.
Il tribunale, escludendo l’inammissibilità del ricorso, pure eccepita dalla società convenuta, ha disposto il mutamento del rito nelle forme del procedimento regolato dall’art. 1 comma 47 e ss. della legge n. 92/2012, ritenendo la prevalenza del cd rito Fornero anche per la trattazione in ordine alla natura discriminatoria del licenziamento. L’esame del giudice ha comunque riguardato esclusivamente la lamentata natura discriminatoria del licenziamento, ritenuta sussistente ed assorbente.
Guadaqué – le banal jesús sancho, ‘chechu’, finaliste dans le monde de la musculation comment developper vos muscles musculation clips transexuelle nue.La prevalenza del rito speciale Fornero rispetto al rito sommario di cognizione di cui al citato art. 28 per i casi di licenziamento discriminatorio è stata ritenuta recentemente anche da altre pronunce di merito in casi analoghi, in cui è stata tuttavia esclusa la possibilità di un mutamento di rito e si è dichiarata l’inammissibilità del ricorso introdotto con il rito sommario di cognizione.
Certo è che prima dell’entrata in vigore della legge n. 92 del 2012 i licenziamenti discriminatori venivano trattati sia con il rito del lavoro di cui all’art. 413 e ss. c.p.c., sia con il rito di cui all’art. 28 citato, senza che vi fosse particolare interferenza tra le due procedure. Interferenza che si è invece verificata appunto solo con la successiva normativa speciale introdotta nel 2012, che ha reso obbligatorio il cd rito “Fornero”.
Va peraltro ricordato che con la legge n. 183 del 2014 ed in particolare con il d.lgs. n. 23 del 4 marzo 2015 è stata abolita la disciplina legislativa obbligatoria di cui ai commi da 48 a 68 dell’art. 1 della legge n. 92 del 2012. Pertanto, per i licenziamenti discriminatori comminati a coloro che sono stati assunti dopo l’entrata in vigore del cd “Job Acts” si dovrebbe ritenere ammissibile la scelta del rito sommario di cognizione.
Indubbiamente l’eliminazione della tutela reintergratoria contro il licenziamento illegittimo, privo di giusta causa o di giustificato motivo, operata dalla legge Fornero e poi mantenuta anche dal cd Jobs Act, ha in qualche modo caricato di maggiore importanza la figura del licenziamento discriminatorio. Ma ciò non giustifica certamente una restrizione delle tutele giudiziarie nel caso di un provvedimento così pregnante nella vita lavorativa di chi lo subisce.
Le due normative processuali, speciali, potrebbero quindi essere lette nel senso che il lavoratore può disporre di entrambi i riti, proprio perché il licenziamento discriminatorio, nel caso specifico correlato al fattore disabilità, è una fattispecie che è ricompresa in ciascuno dei procedimenti.
Come è stato osservato[2] in realtà si tratta di riti entrambi obbligatori che potrebbero coesistere dando luogo ad una “facoltatività obbligatoria” che impone al ricorrente, in caso di licenziamento discriminatorio, di scegliere tra uno dei due, escludendosi l’utilizzabilità del rito ordinario di lavoro di cui all’art. 413 e ss. c.p.c., quanto meno per i lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore della riforma più nota come Jobs Act.
Ed infatti il cd rito Fornero riguarda il licenziamento, che può essere effettuato per ragioni discriminatorie, mentre il rito sommario di cui al più volte citato art. 28 d.lgs. 150/2011 ha ad oggetto una condotta discriminatoria, che viene attuata attraverso un licenziamento. La scelta del rito sommario di cognizione presuppone tuttavia che il ricorrente lamenti la nullità del licenziamento solo perché discriminatorio, dovendosi escludere ogni altra causa petendi sulla nullità o illegittimità del provvedimento adottato dal datore di lavoro.
Con il decreto del 2 maggio 2022 il Tribunale di Lecco ha infatti posto in rilevo l’errata scelta da parte del ricorrente del rito sommario di cognizione anche per ragioni diverse dalla natura discriminatoria del licenziamento, ma il mutamento del rito con applicazione del rito cd Fornero è stato comunque disposto, sul presupposto della obbligatorietà di tale rito speciale anche per il lamentato fattore discriminatorio, ritenuto poi determinante in prosieguo del giudizio, così da escludere la necessità di esaminare tutti gli ulteriori motivi di impugnazione del provvedimento datoriale [3]
L’esclusività del rito speciale anche in caso di impugnazione del licenziamento per solo motivo discriminatorio è stata ritenuta anche in dottrina, in particolare nei primi commenti alla legge n. 92 del 2012 [4].
Tuttavia una simile opzione interpretativa appare sempre meno convincente se si pensa che l’obbligatorietà del rito Fornero, ancora oggi applicabile ai rapporti di lavoro sorti prima dell’entrata in vigore del cd Jobs Act, non è più tale per i rapporti di lavoro sorti dopo marzo 2015.
A parere di chi scrive, indubbiamente in caso di licenziamento discriminatorio la possibilità di scelta del rito sommario di cognizione anziché del rito cd Fornero oppure, per gli assunti a far tempo dal marzo 2015, del rito ordinario di cui all’art. 413 c.p.c., appare un dato positivo, in particolare ad esempio per i licenziamenti plurimi non necessariamente collettivi. In tali casi l’impianto probatorio dell’art. 28 d.lgs. n. 150 – si pensi al cd dato statistico – ma anche la partecipazione in giudizio di soggetti collettivi, possono agevolare maggiormente i lavoratori nella offerta di quegli elementi di prova indispensabili per accertare la discriminazione.
Laura Curcio
[1] Il commento di Olivia Bonardi all’ordinanza del Tribunale di Lecco in merito agli aspetti sostanziali del licenziamento è pubblicato sul sito al seguente link.
[2] cfr M. Minicucci “Questioni di competenza e di rito nelle controversie in materia di discriminazione” in “Lavoro nella giurisprudenza 6/2019”, pag. 561 e ss.
[3] Anche la corte di Cassazione ha più volte osservato che comunque l’inesattezza del rito non è causa di nullità del provvedimento – sentenza o ordinanza che sia – qualora ciò non comporti lesione del diritto di difesa, del contraddittorio e comunque delle prerogative processuali protette delle parti. Cosí si legge in Cass. n. 4223 del 2018, sentenza ”Abercrombie & Fitch Italia s.r.l.”
[4] Così F. Spena, Il licenziamento discriminatorio, in http://www.europeanrights.eu/index.php?funzione=S&op=5&id=1376; P. Curzio, il nuovo rito per i licenziamenti, in Biblioteca “20 maggio – 2”, 2012