The norms of the International Labour Organisation in the jurisprudence of the European Court of Human Rights on discrimination
L’Autrice esamina il ruolo svolto dalle norme internazionali del lavoro adottate dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) e dalle pronunce degli organi di supervisione dell’OIL nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia di discriminazione. Il contributo si conclude con una riflessione sui vantaggi, e le relative ragioni, dell’integrazione di tali fonti nel processo decisionale della Corte di Strasburgo e nell’interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
The author examines the role played by the international labour norms adopted by the International Labour Organisation (ILO) and the pronouncements of ILO supervisory bodies in the jurisprudence of the European Court of Human Rights on discrimination. The contribution concludes with a reflection on the advantages, and the reasons for, the integration of these sources into the decision-making process of the Strasbourg Court and the interpretation of the European Convention on Human Rights.
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro e il diritto alla non discriminazione
Il sistema normativo dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), composto dalle norme internazionali del lavoro (convenzioni e raccomandazioni) e dalle pronunce dei suoi organi di supervisione sono uno strumento utile per le corti sia nazionali che regionali. In questo breve contributo intendo soffermarmi sul ruolo che questo sistema può svolgere nell’ambito dei lavori della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in particolare nel decidere casi di violazione del diritto alla non discriminazione.
A questo proposito due sono le osservazioni preliminari da fare. La prima riguarda il numero di strumenti che l’OIL ha adottato sin dalla sua fonazione nel 1919 e continua ad adottare per la protezione del diritto alla non discriminazione e la realizzazione dell’uguaglianza di trattamento e di opportunità. La Costituzione dell’OIL è stato il primo strumento giuridico internazionale a sancire il principio della parità di retribuzione per un lavoro di ugual valore. La successiva Dichiarazione riguardante gli scopi e gli obiettivi dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro del 1944 (nota come Dichiarazione di Filadelfia) ed incorporata nella Costituzione dell’OIL nel 1946, può essere considerata la prima dichiarazione internazionale di diritti a vocazione universale[1], tra i quali il diritto umano alla non discriminazione riconosciuto con le seguenti parole: “tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla razza, dalla religione e dal sesso a cui appartengono hanno il diritto di tendere al loro progresso materiale ed al loro sviluppo spirituale in condizioni di libertà, di dignità, di sicurezza economica, e con possibilità eguali”[2]. Da allora, l’OIL ha adottato diverse convenzioni e raccomandazioni relative alla lotta alla discriminazione nel mondo del lavoro. Tra queste, due convenzioni sono considerate “fondamentali” dall’OIL. Si tratta della Convenzione sull’uguaglianza di retribuzione del 1951 (n. 100) e della Convenzione sulla discriminazione (impiego e professione) del 1958 (n. 111), che tutti gli Stati che sono parti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) hanno ratificato. Il diritto alla non discriminazione è anche incluso nella Dichiarazione sui principi e diritti fondamentali del lavoro del 1998, che ha sancito l’obbligo per tutti gli Stati membri dell’OIL di rispettare, promuovere e realizzare cinque categorie[3] di diritti e principi definiti fondamentali, inclusi gli Stati che non hanno ratificato le relative convenzioni. Dopo le convenzioni fondamentali in tema di discriminazione e alle raccomandazioni che le accompagnano[4], l’OIL ha continuato la sua azione normativa in materia fornendo protezione contro forme di discriminazione nuove[5] o recentemente riconosciute[6], espresse nei confronti di gruppi specifici[7] o manifestate in fasi specifiche o in relazione ad aspetti specifici del rapporto di lavoro[8]. Lo ha fatto adottando specifiche norme internazionali la cui finalità è la lotta alla discriminazione e la promozione dell’uguaglianza di opportunità o attraverso norme relative ad altre materie ma che includono disposizioni antidiscriminatorie[9]. Inoltre, gli organi di supervisione dell’OIL hanno contribuito ad una comprensione dinamica del significato e della portata delle disposizioni incluse in tutta questa varietà di strumenti[10].
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e il ruolo del sistema normativo dell’OIL nella sua giurisprudenza sul diritto alla non discriminazione
La seconda osservazione riguarda la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Questa si è gradualmente allontanata dall’idea binaria dei diritti umani che ha caratterizzato l’adozione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel 1950, estendendo la sua competenza ai diritti socioeconomici e integrando con sempre maggior frequenza i diritti del lavoro nella sua interpretazione della CEDU. A ciò si aggiunge che, in particolare dall’inizio degli anni 2000,[11] la Corte si è progressivamente, anche se non costantemente e perfino con sentenze non in linea con le norme internazionali del lavoro[12], affidata a quest’ultime e ai lavori degli organi che ne monitorano l’applicazione a livello nazionale.
Nel campo della discriminazione è possibile identificare sei sentenze[13] in materia di discriminazione in cui la Corte di Strasburgo ha fatto uso del sistema normativo dell’OIL per rafforzare le sue decisioni o interpretare la CEDU:
- due sentenze riguardano la discriminazione basata sull’opinione politica: Sidabras e Džiautas c. Lituania, n. 55480/00 e 59330/00, 27 luglio 2004 e Rainys e Gasparavicius c. Lituania, n. 70665/01 e 74345/01, 7 aprile 2005. Entrambi i casi riguardano ricorsi di cittadini lituani che avevano perso il lavoro sulla base della normativa adottata nel 1998 che prevedeva un periodo di dieci anni dalla sua entrata in vigore in cui i cittadini rientranti in una ampia lista di persone considerate come funzionari KGB erano esclusi dal poter essere impiegati in varie professioni del settore privato.
- due riguardano la discriminazione per HIV: Kiyutin c. Russia, n. 2700/10, 10 marzo 2011 e I.B. c. Grecia, n. 552/10, 3 ottobre 2013. Nel primo caso un cittadino uzbeco si era visto rifiutare un permesso di soggiorno in Russia perché sottoposto a un test HIV e trovato positivo al virus. Nel secondo un cittadino greco era stato licenziato in seguito al diffondersi della notizia della sua positività all’HIV e alla richiesta dei suoi colleghi di licenziarlo per salvaguardare la loro salute e mantenere delle relazioni armoniose all’interno del luogo di lavoro.
- due riguardano casi di discriminazione fondata sul sesso: Markin c Russia, n. 3007/06, 22 marzo 2012[14] e Jurčić c. Croazia n. 54711/15, 4 febbraio 2021. Il primo caso riguarda un cittadino russo che serviva nell’esercito e a cui era stato rifiutato il congedo parentale. Il secondo concerne il rifiuto di fornire ad una donna incinta dopo una fecondazione in vitro la registrazione come dipendente assicurata e l’indennità salariale per assenza per malattia per complicazioni legate alla gravidanza e i benefici pecuniari ad esso collegati allegando che, essendo stato stipulato il contratto di lavoro dieci giorni dopo essersi sottoposta alla fecondazione in vitro, la lavoratrice aveva solo cercato di ottenere vantaggi finanziari dall’impiego e questo era quindi fittizio.
Con l’eccezione del caso Jurčić c. Croazia[15], in tutte le decisioni la Corte di Strasburgo ha applicato l’art. 14 (Divieto di discriminazione) congiuntamente all’art. 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) della CEDU. Per quanto riguarda il sistema normativo dell’OIL, la corte ha utilizzato non solo convenzioni ma anche raccomandazioni (come nei due casi in materia di discriminazione per HIV) nonché le pronunce del Comitato di esperti sull’applicazione delle convenzioni e delle raccomandazioni (CEACR). I lavori della CEACR di cui si è avvalsa includono le Indagini generali[16] e Osservazioni[17] relative all’applicazione delle convenzioni ratificate da parte degli Stati membri. È interessante notare che le Osservazioni della CEACR a cui la Corte ha fatto riferimento interessano anche Stati che non erano parti in causa (come nei casi succitati in materia di discriminazione basata sull’opinione politica). Ciò può essere spiegato alla luce dell’approccio al diritto internazionale delineato dalla Corte nello storico caso relativo al diritto alla contrattazione collettiva Demir e Baykara c. Turchia n. 34503/97, 12 novembre 2008, in base al quale la Corte “must and can take into account elements of international law other than the Convention, the interpretation of such elements by competent organs, and the practice of European States reflecting their common values”[18]. Perciò, il diritto internazionale e il corpus delle pronunce degli organi di controllo internazionali sono considerati come fonti che rivelano l’esistenza di un consenso internazionale da utilizzare per interpretare la CEDU, come viene espressamente ricordato anche nella sentenza Kiyutin c. Russia.
Ciò che emerge dall’esame delle suddette sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia di discriminazione rispetto a diritti del lavoro e della sicurezza sociale è che le norme dell’OIL[19] e i lavori prodotti della CEACR, insieme ad altre fonti internazionali e comparate, non hanno solo lo scopo di rafforzare l’argomentazione che sostiene le decisioni della Corte come nel caso Jurčić c. Croazia in cui la Corte si sofferma su quanto disposto dalla Convenzione n. 183 sulla protezione della maternità del 2000, ma anche di aiutare ad interpretare la CEDU. Inoltre, nei casi Kiyutin c. Russia e I.B. c. Grecia in materia di discriminazione per HIV, il riferimento alla Raccomandazione n. 200 dell’OIL ha permesso alla Corte di elaborare un’interpretazione evolutiva della CEDU e trattare situazioni che gli estensori della Convenzione non avevano previsto. Nel caso Markin c. Russia il riferimento alle Convenzioni n. 111 e n. 156 e alla Raccomandazione n. 165 è servito per identificare quella significativa evoluzione legislativa e sociale che ha permesso alla Corte di giustificare l’inversione di una precedente giurisprudenza in materia di congedi parentali riconoscendo il diritto ad usufruirne anche ai padri e per negare, fondandosi in particolare sulla Convenzione n. 111, che nel caso in questione l’esclusione dei padri impiegati nell’esercito potesse essere considerato alla stregua di un requisito professionale. Nel caso Sidabras (e in maniera più succinta nel caso Rainys), il riferimento agli articoli 1(2) e 4 della Convenzione No. 111 e le Osservazione della CEACR sono state altrettanto importanti nell’interpretare l’art. 14 della CEDU e concludere che vi era stata discriminazione.
Quali vantaggi di un dialogo tra la CEDU e il sistema normativa dell’OIL?
Questo breve excursus mostra che l’uso del sistema normativo dell’OIL presenta dei benefici per la Corte di Strasburgo. Le consente innanzitutto di affrontare i ricorsi relativi ai diritti del lavoro con maggiore autorevolezza. Ciò deriva dalla competenza specifica dell’OIL in materia di lavoro e dalla specifica legittimità delle sue norme e dei suoi organi di supervisione. La legittimità delle prime risiede nella loro adozione tripartita, che prevede il coinvolgimento non solo dei governi, ma anche delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro più rappresentative degli Stati membri. A loro volta, la legittimità degli organi di supervisione deriva dalla natura indipendente e imparziale dei loro membri o nella loro natura tripartita. In particolare, la legittimità del CEACR, che è l’organo di supervisione citato nella giurisprudenza antidiscriminatoria della Corte di Strasburgo, consiste dall’essere composto da professori di diritto e giudici rinomati a livello internazionale, nominati dal Consiglio di amministrazione dell’OIL sulla base della loro indipendenza, imparzialità e competenza. La loro provenienza da tutte le regioni del mondo garantisce la conoscenza di diversi sistemi giuridici e realtà socioeconomiche e culturali. Il metodo di lavoro dei suoi membri implica un dialogo costante con i governi e le parti sociali, che ne alimentano la riflessione rispettivamente con rapporti e con osservazioni circa l’applicazione delle norme.
In aggiunta, l’uso delle norme dell’OIL da parte della CEDU consente alla Corte di comprendere la natura multidimensionale dei diritti della Convenzione secondo quell’approccio integrato dell’interpretazione dei diritti fondamentali che ne ha caratterizzato l’evoluzione giurisprudenziale. I casi Sidabras e Rainys sono un buon esempio di come la Corte abbia potuto vedere la dimensione lavorativa della violazione della Convenzione sulla base di questo metodo interpretativo, invece di guardare ai casi in questione solo attraverso la lente dei diritti civili e politici. L’uso delle fonti appartenenti al sistema normativo dell’OIL serve anche a rendere operativa la visione della Corte secondo cui la CEDU è un documento “vivo” che si riflette nelle sue interpretazioni. Il caso Markin sul congedo parentale ne è un esempio. Esso rivela come la Corte abbia potuto ribaltare la sua precedente giurisprudenza grazie, tra l’altro, alle norme dell’OIL sulla discriminazione e sui lavoratori con responsabilità familiari. A loro volta, i casi Kiyutin e I.B c. Grecia, relativi alla discriminazione sulla base dell’HIV, sono un’illustrazione particolarmente significativa di come le norme dell’OIL possano aiutare la Corte di Strasburgo a decidere casi riguardanti situazioni discriminatorie che gli estensori della Convenzione non potevano nemmeno contemplare.
Un argomento a favore dell’utilizzo delle norme dell’OIL da parte della Corte di Strasburgo può essere anche fondato sullo stesso testo della CEDU. L’articolo 53 afferma infatti che “[n]essuna delle disposizioni della presente Convenzione può essere interpretata in modo da limitare o pregiudicare i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali che possano essere riconosciuti in base alle leggi di ogni Parte contraente o in base a ogni altro accordo al quale essa partecipi.” [corsivo dell’autrice]. Ovviamente, nulla impedisce alla Corte di fornire un’interpretazione ancora più protettiva[20], come previsto anche dall’articolo 19, paragrafo 8, della Costituzione dell’OIL, secondo il quale “[i]n no case shall the adoption of any Convention or Recommendation by the Conference, or the ratification of any Convention by any Member, be deemed to affect any law, award, custom or agreement which ensures more favourable conditions to the workers concerned than those provided for in the Convention or Recommendation.”
Conclusioni
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha fatto un uso crescente, anche se non regolare e persino con significativi passi indietro[21], delle norme internazionali del lavoro e delle pronunce degli organi di supervisione dell’OIL per sostenere il suo corredo argomentativo o per interpretare le disposizioni della CEDU, incluso in materia di discriminazione. L’uso delle norme internazionale del lavoro è coerente con i suoi metodi di interpretazione “integrati” e “dinamici” e anche con una concezione, tanto teorica quanto di diritto positivo, del sistema giuridico della Convenzione come interrelato con altri sistemi giuridici. Questo contributo sostiene che il dialogo specifico tra il sistema CEDU e il sistema delle norme internazionali del lavoro presenta diversi vantaggi. La Corte Europea dei diritti dell’Uomo beneficia della specializzazione, dell’esperienza più che centenaria dell’OIL e della specifica legittimità delle sue norme e dei suoi organi di supervisione. In particolare, in materia antidiscriminatoria il sistema delle norme internazionali del lavoro può aiutare la Corte a rispondere all’evoluzione del diritto antidiscriminatorio in particolare, ma non solo, nel campo del lavoro. Questa sinergia favorisce anche l’effettività del sistema delle norme dell’OIL, perché il loro uso interpretativo da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo ne favorisce l’applicazione. Infine, un’interpretazione delle disposizioni della CEDU in armonia con le norme dell’OIL favorisce la certezza del diritto in Stati in cui le fonti sono molteplici e assicura ai lavoratori un livello minimo universale di protezione dei loro diritti, il che è tanto più importante quanto più questi diritti vengono erosi nel diritto nazionale[22].
Tzehainesh Teklè, professoressa di diritto internazionale del lavoro, Università degli Studi di Ferrara
[1] Supiot A., L’esprit de Philadelphie, Paris, Seuil, 2010, p. 9.
[2] Per la traduzione italiana della Dichiarazione di Filadelfia vedasi la seguente pagina web dell’OIL: https://www.ilo.org/rome/pubblicazioni/WCMS_151915/lang–it/index.htm.
[3] La Dichiarazione del 1998 comprendeva quattro categorie di diritti e principi fondamentali: la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva; l’eliminazione di ogni forma di lavoro forzato e obbligatorio; l’effettiva abolizione del lavoro minorile; e l’eliminazione della discriminazione nell’impiego e la professione. L’11 giugno 2022, la Conferenza internazionale del lavoro ha emendato la Dichiarazione aggiungendo un ambiente di lavoro sicuro e salubre quale quinto principio e diritto fondamentale del lavoro.
[4] Raccomandazione n. 90 sull’uguaglianza di retribuzione, 1951 e Raccomandazione n. 111 sulla discriminazione in materia di impiego e nelle professioni, 1958.
[5] Raccomandazione n. 200 concernente l’HIV/AIDS e il mondo del lavoro, 2010.
[6] Per esempio la Convenzione n. 190 sulla violenza e le molestie, 2019.
[7] Per esempio la Convenzione n. 156 sui lavoratori con responsabilità familiari, 1981.
[8] Per esempio in materia di licenziamento vedasi la Convenzione n. 158 sul licenziamento, 1982.
[9] Questo è il caso della succitata Convenzione no. 158 e della Convenzione n. 98 sul diritto di organizzazione e di negoziazione collettiva, 1948.
[10] Per esempio interpretando la discriminazione sulla base del sesso coperta dalla Convenzione n. 111 come includente le molestie sessuali, si veda a tal proposito l’Osservazione generale della CEACR pubblicata nel 2003 e disponibile qui.
[11] Ciò è accaduto a partire da The Wilson, National Union of Journalists and Others v UK, n. 30668/96, 30671/96 e 30678/96, 2 luglio 2002.
[12] In materia di discriminazione, si veda la sentenza Leyla Şahin c. Turchia, n. 44774/98, 29 giugno 2004.
[13] Questo sulla base di una ricerca fatta nel database HUDOC della Corte di Strasburgo fino alla data del 12 settembre 2023.
[14] La decisione è stata ripresa nel caso Gruba e altri c. Russia n. 66180/09, 30771/11, 50089/11 e 22165/1, 6 luglio 2021.
[15] In questo caso, la Corte ha ritenuto violato l’art. 14 della CEDU e l’art. 1 del Protocollo 1.
[16] Le Indagini generali sono delle disamine della normativa e della prassi relative ad una determinata materia coperta dalle norme internazionali del lavoro negli Stati membri dell’OIL che abbiano o meno ratificato le relative Convenzioni.
In questi testi, la CEACR chiarisce anche l’ambito e il contenuto delle norme esaminate.
[17] La CEACR adotta due tipi di commenti relativi all’applicazione delle convenzioni ratificate, ossia domande dirette e osservazioni. Le prime sono indirizzate solo allo Stato interessato, mentre le seconde sono pubblicate anche nel Rapporto annuale della Comitato, che viene presentato e discusso alla Conferenza internazionale del lavoro.
[18] Demir e Baycara c. Turchia, para. 85.
[19] È interessante sottolineare che nel caso Kyutin, una norma OIL è servita anche per argomentare una decisione non afferente al diritto del lavoro.
[20] Si veda il caso Pichkur c. Ucraina n. 10441/06, 7 novembre 2013.
[21] Vedasi per esempio le seguenti analisi in materia di libertà sindacale: Ewing K. D. and Hendy J., ‘The Trade Union Act 2916 and the Failure of Human Rights’, 45 Industrial Law Journal, 2016, p. 391; Ewing K. D. e Hendy J., “The Strasbourg Court Treats Trade Unionists with Contempt: Svenska Transportarbetareförbundet and Seko v Sweden”, 46 Industrial Law Journal, 2017, p. 435; Blogg A. and Ewing K. ., “The Implications of the RMT Case”, 43 Industrial Law Journal, 2015, p. 221.
[22] Per un’analisi approfondita dei temi coperti da questo contributo, si veda Teklè T., “The Contribution of the ILO’s International Labour Standards System to the European Court of Human Rights’ Jurisprudence in the Field of Non-Discrimination”, in 49 Industrial Law Journal, p. 86.