The protection of the fundamental right to status of all children
di Martina Flamini
L’Autrice ricostruisce gli standard nazionali e sovranazionali inerenti al riconoscimento della bigenitorialità per le coppie di genitori dello stesso sesso, alla luce anche dei principi del best interest of the child e alla continuità degli status familiari.
The author reconstructs the national and supranational standards concerning the recognition of co-parenting for same-sex parent couples, taking into account the principles of the best interest of the child and the continuity of family status.
1. Premesse generali. 2. Il preminente interesse del minore. 3. La genitorialità omoaffettiva e l’interesse alla continuità dello status del minore. 4. I bambini nati da pratiche di gestazione per altri nella giurisprudenza nazionale e sovranazionale. 4.1. La giurisprudenza di legittimità. 4.2. La giurisprudenza costituzionale. 4.3. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo. 5. I diritti dei figli in situazioni transfrontaliere: la giurisprudenza della Corte di Giustizia. 6. La proposta di Regolamento del Consiglio. 7. La Risoluzione della 4° Commissione permanente. 8. Questioni aperte.
- Premessa.
La proposta di Regolamento del Consiglio del 7.12.2022[1] “relativo alla competenza, alla legge applicabile e al riconoscimento delle decisioni e all’accettazione degli atti pubblici in materia di filiazione e alla creazione di un certificato europeo di filiazione” si prefigge “l’obiettivo di rafforzare la tutela dei diritti fondamentali e degli altri diritti dei figli in situazioni transfrontaliere, compresi il diritto all’identità, alla non discriminazione, alla vita privata e alla vita familiare, i diritti di successione e il diritto agli alimenti in un altro Stato membro, considerando preminente l’interesse superiore del minore”[2].
L’esame della proposta e della risoluzione della quarta Commissione permanente del Senato della Repubblica sulla stessa[3], offrono l’occasione per una riflessione sugli strumenti di tutela dei minori poste dalle nuove forme di genitorialità.
La natura “necessariamente compromissoria” della definizione di famiglia contenuta nella Costituzione e l’evoluzione della realtà sociale – nella quale, come chiarito dalla Suprema Corte, la “genitorialità spesso può anche scindersi dal nesso col matrimonio e dalla famiglia” (Cass. Sez. I, n. 13000 del 15.5.2019) – chiedono, infatti, all’interprete di trovare soluzioni che, nel rispetto dei principi costituzionali e sovranazionali, siano idonee a fornire una tutela effettiva ai diritti fondamentali invocati, primo fra i quali, il “diritto allo status” ricondotto dalla Corte costituzionale al novero dei diritti costituzionali protetti dall’art. 2 della Costituzione (Corte Cost. n. 494 del 2002).
2. Il preminente interesse del minore.
L’esame delle risposte fornite dalla giurisprudenza alle domande di giustizia spiegate dai minori nati in modelli familiari diversi da quelli fondati sul matrimonio non può prescindere da alcune brevi considerazioni preliminari relative alla peculiare natura delle decisioni cui il giudice è chiamato quando rileva l’interesse del minore.
Attenta dottrina[4] ha osservato come, a differenza della quasi totalità delle decisioni che competono al giudice civile (chiamato a dirimere una lite, attraverso la valutazione di fatti già accaduti), nelle decisioni in cui rileva l’interesse del minore, il giudice è chiamato a decidere, pur tenendo conto degli eventi passati, scegliendo la soluzione migliore in futuro per un determinato minore. Già solo da questa preliminare considerazione, emerge in modo chiaro la natura “inafferrabile”, “incerta”, “indeterminata” di tale clausola generale, che dà, però, un’indicazione di principio: qualsiasi decisione o azione che riguardi una persona minore di età deve essere orientata a perseguire principalmente il suo benessere. La stessa dottrina ha poi messo in evidenza la molteplicità di significati racchiusi nell’espressione “interesse del minore” (che consente, a volte, al giudice di decidere un singolo caso concreto in modo difforme dalle regole legislative e dai precedenti giudiziali, mentre, in altri, rappresenta il fondamento giustificativo dell’esistenza di una norma di legge la cui applicazione è proclamata come strumento di protezione dell’interesse dei minori) richiamando l’interprete sulla necessità di comprendere il rapporto che esiste tra interesse del minore e diritti fondamentali dei minori.
Con riferimento all’ “interesse del minore”, il principio secondo cui in tutte le decisioni relative ai minori di competenza delle pubbliche autorità, compresi i tribunali, deve essere riconosciuto rilievo primario alla salvaguardia dei “migliori interessi” (best interests) o dell’ “interesse superiore” (intérêt supérieur) del minore, secondo le formule utilizzate nelle rispettive versioni ufficiali in lingua inglese e francese, nasce nell’ambito del diritto internazionale dei diritti umani, a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti del fanciullo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1959, e di qui confluito – tra l’altro – nell’art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo e nell’art. 24, comma 2, CDFUE, per essere assunto altresì quale contenuto implicito del diritto alla vita familiare di cui all’art. 8 della CEDU dalla stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Grande Camera, sentenza 6 luglio 2010, Neulinger e Shuruk contro Svizzera, paragrafi da 49 a 56 e 135; Grande Camera, sentenza 26 novembre 2013, X contro Lettonia, paragrafo 96; sezione terza, sentenza 19 settembre 2000, Gnahoré contro Francia, paragrafo 59). Nel diritto interno rileva la Costituzione (che riconosce al figlio il diritto di crescere in un contesto familiare sano), ma anche le numerose riforme del diritto di famiglia, orientate a garantire l’interesse del figlio (l. n. 151 del 1975; l. n. 184 del 1983; l. n. 219 del 2012; l. n. 173 del 2015) nonché il disposto dell’art. 33, commi 1 e 2, della l. n. 218 del 1995 in forza del quale, nella determinazione dello status di figlio, si deve applicare la legge ad egli “più favorevole” tra quella sua nazionale e quella in cui è cittadino uno dei genitori.
Tanto premesso, in linea con i principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte EDU, la l. n. 173 del 2015, n. 173 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare) ha valorizzato l’interesse del minore alla conservazione di legami affettivi che sicuramente prescindono da quelli di sangue, attraverso l’attribuzione di rilievo giuridico ai rapporti di fatto instaurati tra il minore dichiarato adottabile e la famiglia affidataria. Come già osservato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 272 del 2017, “il distacco tra identità genetica e identità legale è alla base proprio della disciplina dell’adozione (legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Diritto del minore ad una famiglia»), quale espressione di un principio di responsabilità di chi sceglie di essere genitore, facendo sorgere il legittimo affidamento sulla continuità della relazione”.
Nella successiva sentenza n. 102 del 2020, la Corte Costituzionale ha poi chiarito che: “Tale principio – già declinato da questa Corte, con riferimento all’art. 30 Cost., come necessità che nelle decisioni concernenti il minore venga sempre ricercata «la soluzione ottimale “in concreto” per l’interesse del minore, quella cioè che più garantisca, soprattutto dal punto di vista morale, la miglior “cura della persona”» (sentenza n. 11 del 1981) – è stato, peraltro, già considerato da plurime pronunce di questa Corte come incorporato altresì nell’ambito di applicazione dell’art. 31 Cost. (sentenze n. 272 del 2017, n. 76 del 2017, n. 17 del 2017 e n. 239 del 2014), il cui contenuto appare dunque arricchito e completato da tale indicazione proveniente dal diritto internazionale (sentenza n. 187 del 2019)”.
La pronuncia, con riferimento al diritto del minore di mantenere un rapporto con entrambi i genitori, ha precisato che “tale diritto – riconosciuto oggi, a livello di legislazione ordinaria, dall’art. 315-bis, primo e secondo comma, cod. civ., ove si sancisce il diritto del minore a essere «educato, istruito e assistito moralmente» dai genitori, nonché dall’art. 337-ter, primo comma, cod. civ., ove si riconosce il suo diritto di «mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori» e «di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi» – è affermato altresì da una pluralità di strumenti internazionali e dell’Unione europea, al cui rispetto il nostro Paese si è vincolato” (art. 8, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo; il successivo art. 9, commi 1 e 3; art. 24, comma 3, CDFUE).
La Corte EDU, in sede di interpretazione dell’art. 8 CEDU, ha riconosciuto il diritto di ciascun genitore e del minore a godere di una «mutua relazione» (Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, sentenza 10 settembre 2019, Strand Lobben e altri contro Norvegia, paragrafo 202; sezione prima, sentenza 28 aprile 2016, Cincimino contro Italia, paragrafo 62; Grande Camera, sentenza 12 luglio 2001, K. e T. contro Finlandia, paragrafo 151; Grande Camera, sentenza 13 luglio 2000, Elsholz contro Germania, paragrafo 43; sezione terza, sentenza 7 agosto 1996, Johansen contro Norvegia, paragrafo 52).
3. La genitorialità omoaffettiva e l’interesse alla continuità dello status del minore.
In via generale, non può non richiamarsi il principio generale di cui alla l. n. 219 del 2012 che, nell’introdurre il concetto di status unitario di figlio, ha stabilito come regola generale, per tutte le ipotesi di filiazione, l’esistenza di un patrimonio comune di situazioni, diritti e prospettive che formano un identico status di figlio giuridicamente rilevante, che prescinde dall’orientamento sessuale dei genitori[5].
L’ininfluenza dell’orientamento sessuale nelle controversie riguardanti l’affidamento dei minori e la responsabilità genitoriale all’interno del conflitto familiare costituiscono un approdo fermo nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 601 del 2013), così come per l’accesso all’adozione non legittimante delle coppie omoaffettive (Cass. 12962 del 2016). Una più recente conferma è contenuta nella pronuncia delle Sezioni Unite n. 12193 del 2019 che, pur affermando la contrarietà ai principi fondamentali che compongono l’ordine pubblico della genitorialità formatasi per effetto della surrogazione di maternità, limita a questo aspetto il contrasto ritenendo il divieto interno e la sanzione penale espressione di valori fondamentali quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione, ma esclude che sia da ricondurre a principio fondamentale dell’ordinamento l’eterosessualità della coppia nella definizione dei limiti al riconoscimento di atti stranieri relativi a status filiali.
Anche la Corte Costituzionale, in linea con la giurisprudenza di legittimità in materia di accesso alla PMA, ha affermato che, da un lato, non è configurabile un divieto costituzionale, per le coppie omosessuali, di accogliere figli, pur spettando alla discrezionalità del legislatore la relativa disciplina; dall’altro, «non esistono neppure certezze scientifiche o dati di esperienza in ordine al fatto che l’inserimento del figlio in una famiglia formata da una coppia omosessuale abbia ripercussioni negative sul piano educativo e dello sviluppo della personalità del minore» (sentenza n. 221 del 2019, con argomentazione richiamate nella successiva sentenza n. 32 del 2021).
Con specifico riferimento al superamento della prospettiva esclusivamente naturalistica della procreazione, deve farsi inoltre cenno al disposto dell’art. 9 della l. n. 40 del 2004 che ha di fatto introdotto nell’ordinamento il concetto di “genitore intenzionale” (il genitore non partoriente che, pur non avendo un legame biologico con il nato, abbia assunto nei suoi confronti gli obblighi genitoriali di cura e sostegno morale e materiale), stabilendo l’inammissibilità del disconoscimento di paternità o dell’impugnazione del relativo riconoscimento in caso di generazione mediante pratiche di fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo, effettuate con il consenso di entrambi i genitori, nonostante l’espressa previsione normativa del divieto di accesso a tali pratiche.
Le richieste di rettifica degli atti di nascita di minori nati in Italia, concepiti con il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, sono state sempre respinte dalla Suprema Corte[6]. In particolare, la Suprema Corte ha precisato come non sia consentito, al di fuori dei casi previsti dalla legge, la realizzazione di forme di genitorialità svincolate da un rapporto biologico, con i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio o riconosciuto (cfr. Cass. n. 8029 del 2020, Cass. n. 7668 del 2020, Cass. 23320 e 23321 del 2021).
Più di recente, la Corte (nell’ordinanza n. 6383 del 2022, con motivazioni richiamate anche dalla successiva ord. n. 7433 del 2022) ha precisato che nel caso di minore concepita mediante l’impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo e nata in Italia, non è accoglibile la domanda di rettificazione dell’atto di nascita volta ad ottenere l’indicazione in qualità di madre della bambina, accanto a quella che l’ha partorita, anche della donna cui è appartenuto l’ovulo poi impiantato nella partoriente, poiché in contrasto con l’art. 4, comma 3, della l. n. 40 del 2004, che esclude il ricorso alle predette tecniche da parte delle coppie omosessuali, anche in presenza di un legame genetico tra il nato e la donna sentimentalmente legata a colei che ha partorito.
Tanto premesso, non può non sottolinearsi come la distinzione di categorie di figli che versano in situazione di fatto del tutto omogenee, solo in ragione di determinate circostanze e, segnatamente, nel caso di specie, del luogo di nascita, possa celare forme di discriminazione[7], messe in evidenza dalla Corte di Cassazione[8] e da tempo considerate dalla Corte Edu (Corte EDU, 13 giugno 1979, ric. 683/74, Marckx c. Belgio, in Foro it., 1979, IV, c. 382; Corte EDU, 1° febbraio 2000, ric. 34406/97, Mazurek c. Francia, in Dalloz, 2000, 332; Corte EDU, G.C. avis consultatif 10 aprile 2019) violative della Convenzione.
4. I bambini nati da pratiche di gestazione per altri nella giurisprudenza nazionale e sovranazionale.
L’ordinamento italiano non consente il ricorso ad operazioni di gestazione per altri: l’accordo con il quale una donna si impegna ad attuare e a portare a termine una gravidanza per conto di terzi, come recentemente ribadito dalle Sezioni Unite, nella sentenza n. 38162 del 30.12.2022, non ha cittadinanza nel nostro ordinamento. Tanto premesso, come sottolineato nella predetta pronuncia, il divieto di gestazione per altri “non argina il progetto di diventare genitori” e, ogniqualvolta la surrogazione di maternità è praticata all’estero, la questione dello status del nato da maternità surrogata “fuoriesce dal perimetro dell’ordinamento interno e si traduce nel problema del riconoscimento in Italia della genitorialità acquisita al di fuori dei confini nazionali”.
4.1. La giurisprudenza di legittimità.
La questione riguardante l’ammissibilità della trascrizione nei registri dello stato civile di un atto di nascita validamente formato all’estero dal quale risulti che il nato, concepito mediante il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, è figlio di due persone dello stesso sesso, è stata già ripetutamente affrontata dalla Suprema Corte, che l’ha risolta in senso positivo, avendo ritenuto irrilevanti, in contrario, le limitazioni imposte dalla legge n. 40 del 2004 all’utilizzazione delle predette tecniche, in virtù della considerazione che tale disciplina rappresenta soltanto una delle possibilità modalità di esercizio del potere regolatorio spettante al legislatore italiano in una materia, pur eticamente sensibile e costituzionalmente rilevante, nella quale le scelte legislative non risultano costituzionalmente obbligate. Tale principio è stato originariamente enunciato in riferimento ad una fattispecie non interamente assimilabile alla fecondazione assistita di tipo eterologo, in quanto caratterizzata dalla sussistenza di un legame biologico tra il nato ed entrambe le genitrici, una delle quali aveva provveduto alla gestazione, mentre l’altra aveva fornito l’ovulo necessario per la fecondazione, avvenuta con il contributo di un terzo donatore (cfr. Cass., Sez. I, 30/09/2016, n. 19599); esso è stato in seguito esteso anche ad un’ipotesi di vera e propria fecondazione eterologa, nella quale una delle genitrici (c.d. madre intenzionale) si era limitata a prestare il proprio consenso alla procreazione medicalmente assistita, senza fornire alcun apporto, neppure di tipo genetico (cfr. Cass., Sez. I, 15/06/2017, n. 14878).
Le conclusioni cui sono pervenute le predette sentenze non sono state smentite dalla successiva sentenza delle Sezioni unite n. 12193 del 2019, ad avviso della quale l’esclusione dell’ammissibilità è giustificata mediante il richiamo al divieto della surrogazione di maternità previsto dall’art. 12, comma sesto, della legge n. 40 del 2004, qualificato come principio di ordine pubblico. In merito alla richiesta conservazione dello status filiationis legittimamente acquisito all’estero, la Corte ha affermato come tale interesse sia “destinato ad affievolirsi in caso di ricorso alla surrogazione di maternità, il cui divieto, nell’ottica fatta propria dal Giudice delle leggi, viene a configurarsi come l’anello necessario di congiunzione tra la disciplina della procreazione medicalmente assistita e quella generale della filiazione, segnando il limite oltre il quale cessa di agire il principio di autoresponsabilità fondato sul consenso prestato alla predetta pratica, e torna ad operare il favor veritatis, che giustifica la prevalenza dell’identità genetica e biologica”.
La specifica questione relativa alle forme di tutela dei bambini nati da gestazione per altri è tornata all’attenzione delle Sezioni Unite (sentenza n. 38162 del 2022). Il caso che aveva dato origine al giudizio poi deciso dalla Corte riguardava un bambino nato all’estero da maternità surrogata, all’esito di un progetto procreativo condiviso da una coppia omoaffettiva, ove uno dei due uomini aveva fornito i propri gameti, uniti nella fecondazione in vitro con l’ovocita di una donatrice, con successivo trasferimento nell’utero di una diversa donna che aveva poi portato a termine la gravidanza e partorito il bambino. I due uomini, entrambi di cittadinanza italiana, avevano fatto ricorso alla Corte Suprema della British Columbia che aveva dichiarato entrambi i ricorrenti genitori del bambino e, in seguito al diniego dell’ufficiale dello stato civile, avevano adito la Corte d’appello competente chiedendo il riconoscimento della sentenza straniera. In seguito all’accoglimento del ricorso, hanno proposto ricorso il Ministero dell’Interno ed il Sindaco, nella qualità di ufficiale del Governo.
Le Sezioni Unite muovono dal rilievo secondo il quale l’ordinamento italiano non consente in alcun modo il ricorso ad operazioni di maternità surrogata. Tanto premesso, la Corte, nella sua composizione allargata, osserva come ogni qualvolta la surrogazione di maternità venga praticata all’estero (come nel caso in esame) si ponga il problema del riconoscimento dello status genitoriale ottenuto all’estero in virtù di norme più liberali di quelle italiane in materia di procreazione medicalmente assistita.
La Corte, dopo aver dato atto dell’inerzia del legislatore, si preoccupa di chiarire i confini dell’attività ermeneutica del giudice che, trovandosi a decidere una questione relativa allo status del figlio di una coppia omoaffettiva, non può lasciare “i diritti del bambino infinitamente sospesi, ma deve ricercare nel complessivo sistema normativo l’interpretazione idonea ad assicurare, nel caso concreto, la protezione dei beni costituzionali implicati”. Viene così precisato che non essendo la giurisprudenza fonte del diritto, al giudice viene richiesto un “atteggiamento di attenzione particolare nei confronti della complessità dell’esperienza e della connessione tra questa e il sistema”. La risposta alla domanda di effettività di tutela, posta dall’ordinanza di rimessione, viene fornita dalla Corte attraverso il richiamo alla “gradualità” che, in una vicenda caratterizzata da un ambito di discrezionalità del legislatore che il giudice delle leggi ha inteso preservare, appare necessaria a far assorbire il cambiamento e le novità nel sistema, all’interno del quale la giurisprudenza ha il compito di assecondare l’evoluzione che si realizza nei costumi e nella coscienza sociale.
Nell’istituto dell’adozione in casi particolari, pertanto, il giudice deve cercare, “allo stato dell’evoluzione dell’ordinamento”, la risposta per una tutela effettiva dei diritti del nato da surrogazione di maternità. Con riferimento all’inadeguatezza dell’adozione in casi particolari, la Corte, nella sua composizione allargata, ha richiamato la sentenza n. 79 del 2022 della Corte costituzionale, successiva all’ordinanza di rimessione, (con la quale è stato rimosso l’impedimento alla costituzione di rapporti civili con i parenti dell’adottante), per affermare come in tal modo si sia rimosso il più importante ostacolo all’effettività della tutela offerta dall’adozione in casi particolari.
Ulteriore profilo di criticità è rappresentato dall’impossibilità di costituire il rapporto adottivo, secondo la disciplina dei casi particolari, in mancanza dell’assenso del genitore biologico (art. 46 della l. n. 183 del 1983). Ad avviso delle Sezioni Unite – anche sulla scorta della giurisprudenza che ha considerato superabile, in ragione del preminente interesse del minore, il dissenso all’adozione manifestato dal genitore dell’adottando che non eserciti in concreto, da molti anni, la responsabilità genitoriale sul figlio e con il quale non intrattenga alcun rapporto affettivo (Cass. 21.9.2015 n. 18575; Cass. 16.7.2018 n. 18827) – atteso che, alla base della domanda di adozione particolare da parte del genitore sociale c’è la condivisione, con il genitore biologico, della responsabilità conseguente alla scelta di aver dato vita al progetto procreativo in un Paese estero in conformità alla lex loci, l’effetto ostativo del dissenso dell’unico genitore biologico all’adozione del genitore sociale può e deve essere valutato esclusivamente sotto il profilo della conformità all’interesse del minore, secondo il modello del dissenso al riconoscimento. Il genitore biologico, pertanto, potrebbe negare l’assenso all’adozione del partner solo nell’ipotesi in cui quest’ultimo non abbia intrattenuto alcun rapporto di affetto e di cura nei confronti del nato, oppure avvia partecipato solo al progetto di procreazione, ma abbia poi abbandonato il partner e il minore.
Le Sezioni Unite, ancora in merito ai profili di inadeguatezza dell’istituto dell’adozione in casi particolari nella prospettiva di una tutela effettiva dei diritti del nato, rilevano come tale istituto presuppone comunque che il genitore assuma l’iniziativa, non essendo consentito al minore di rivendicare la costituzione del rapporto genitoriale per il tramite dell’adozione. Anche di fronte del rischio di un rifiuto del “committente”, la Corte ribadisce come la soluzione non sia comunque rappresentata dal meccanismo automatico della trascrizione, ma resti affidato al giudice il computo di ricercare nel sistema “gli strumenti affinchè siano riconosciuti al minore, in una logica rimediale, tutti i diritti connessi allo status di figlio anche nei confronti del committente privo di legame biologico, subordinatamente ad una verifica in concreto di conformità al superiore interesse del minore”.
Tanto premesso in generale con riferimento alla surrogazione di maternità – che, come precisato dalla Corte, “tende a cancellare il rapporto tra la donna e il bambino che porta in grembo, ignorando i legami biologici e psicologici che si stabiliscono tra ladre e figlio nel lungo periodo della gestazione” – le Sezioni Unite, disattendendo la soluzione ermeneutica proposta nell’ordinanza di rimessione, rilevano come non sia consentito all’interprete selezionare le fattispecie e ammettere la delibazione laddove la pratica della gestazione per altri sia considerata lecita nell’ordinamento di origine, in quanto frutto di una scelta libera e consapevole, revocabile sino alla nascita del bambino e indipendente da contropartite economiche (come nel caso portato all’attenzione delle Sezioni Unite). Ad avviso della Corte, nella maternità surrogata il bene tutelato è la dignità di ogni essere umano, nella sua dimensione soggettiva ed oggettiva, “non comprimibile e non rinunciabile di ogni persona”. Pur consapevoli dell’esistenza di opzioni di contenuto diverso, effettuate da ordinamenti “saldamente inseriti nella tradizione liberaldemocratica occidentale” e di diverse letture offerte da una parte significativa del pensiero giuridico e culturale del Paese e dalla giurisprudenza di altre corti europee, le Sezioni Unite, richiamando le considerazioni svolte nella prima parte della pronuncia in merito al confine tra i compiti propri del legislatore e la funzione della giurisprudenza, ribadiscono come, di fronte ad una scelta legislativa dettata a presidio di valori fondamentali, non sia consentito all’interprete ritagliare dalla fattispecie normativa forme di surrogazione che, in ragione delle modalità della condotta e degli scopi perseguiti, non sarebbero idonee a vulnerare il nucleo essenziale del bene giuridico protetto. Non è, pertanto, consentito al giudice, in sede di interpretazione, escludere il contrasto con l’ordine pubblico internazionale nei casi in cui la pratica della gestazione per altri sia il frutto di una scelta libera e consapevole della dona, indipendente da contropartite economiche e revocabile sino alla nascita del bambino.
L’esclusione dell’automatica trascrivibilità del provvedimento giudiziario straniero non comporta, però, che venga cancellato o che affievolisca l’interesse superiore del minore A differenza di quanto ritenuto nella precedente sentenza n. 12193 del 2019, le Sezioni Unite del 2022 affermano che “l’ordinamento italiano mantiene fermo il divieto di maternità surrogata e, non intendendo assecondare tale metodica di procreazione, rifugge da uno strumento automatico come la trascrizione, ma non volta le spalle al nato”. Tale interesse, ribadisce la Corte (in forza di un puntuale richiamo alla giurisprudenza di legittimità, che ha in più occasioni respinto la tesi che l’omosessualità sia una condizione in sé ostativa all’assunzione e allo svolgimento di compiti genitoriali e alle pronunce della Corte Edu e della Corte di Giustizia) non può ritenersi insussistente in ragione dell’orientamento sessuale del richiedente l’adozione e del suo partner e deve essere valutato in concreto dal giudice, chiamato a verificare, nella cornice caratterizzata da una pluralità di modelli familiari, l’esistenza di un rapporto affettivo e di cura con il genitore d’intenzione.
4.2. La giurisprudenza costituzionale.
L’esigenza di tutelare la persona nata a seguito di tecniche di fecondazione assistita è stata avvertita dalla Corte Costituzionale anche in epoca antecedente alla legge n. 40 del 2004.
Nella sentenza n. 347 del 1998, infatti, il Giudice delle leggi – senza mettere in discussione la legittimità di tale pratica, «né […] il principio di indisponibilità degli status nel rapporto di filiazione, principio sul quale sono suscettibili di incidere le varie possibilità di fatto oggi offerte dalle tecniche applicate alla procreazione» – si è preoccupato «invece di tutelare anche la persona nata a seguito di fecondazione assistita, venendo inevitabilmente in gioco plurime esigenze costituzionali. Preminenti in proposito sono le garanzie per il nuovo nato […], non solo in relazione ai diritti e ai doveri previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt. 30 e 31 della Costituzione, ma ancor prima – in base all’art. 2 della Costituzione – ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità: diritti che è compito del legislatore specificare».
Nella successiva sentenza n. 494 del 2002, la Corte costituzionale ha affermato che «l’adozione di misure sanzionatorie … che coinvolga soggetti totalmente privi di responsabilità – come sono i figli di genitori incestuosi, meri portatori delle conseguenze del comportamento dei loro genitori e designati dalla sorte a essere involontariamente, con la loro stessa esistenza, segni di contraddizione dell’ordine familiare – non sarebbe giustificabile se non in base a una concezione totalitaria della famiglia» (§ 6.1).
Con riferimento alla specifica questione della tutela delle persone nate con tecniche di maternità surrogata, occorre prendere le mosse dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 272 del 2017. La fattispecie oggetto dell’ordinanza di rimessione riguardava una coppia eterosessuale, al tempo non coniugata, che aveva fatto ricorso alla maternità surrogata in India per far nascere la propria figlia. La Corte d’Appello di Milano ha prospettato una questione di legittimità costituzionale che pone al centro l’interesse del bambino, nato a seguito di surrogazione di maternità realizzata all’estero, a vedersi riconosciuto e mantenuto uno stato di filiazione quanto più rispondente alle sue esigenze di vita. Il dubbio di costituzionalità sollevato dai giudici remittenti attiene, in particolare, all’art. 263 c.c., nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità possa essere accolta solo laddove sia ritenute rispondente all’interesse del minore. Nel caso in esame, come precisato dalla Consulta (§3), non era in discussione né la legittimità del divieto della surrogazione di maternità realizzata all’estero (e la sua assolutezza o meno) né il tema dei limiti alla trascrivibilità in Italia di atti di nascita formati all’estero, ma solo la disciplina dell’azione di impugnazione prevista dall’art. 263 c.c., volta a rimuovere lo stato di figlio, già attribuito al minore per effetto del riconoscimento, in considerazione del suo difetto di veridicità.
Così delimitato l’oggetto del giudizio, la Corte Costituzionale ha affermato che, pur dovendosi riconoscere un accentuato favore dell’ordinamento per la conformità dello status alla realtà della procreazione, deve essere escluso che quello “dell’accertamento della verità biologica e genetica dell’individuo costituisca un valore di rilevanza costituzionale assoluta, tale da sottrarsi a qualsiasi bilanciamento” atteso che «in tutti i casi di possibile divergenza tra identità genetica e identità legale, la necessità del bilanciamento tra esigenze di accertamento della verità e interesse concreto del minore è resa trasparente dall’evoluzione ordinamentale intervenuta e si proietta anche sull’interpretazione delle disposizioni da applicare al caso in esame» (§4.1). Nella pronuncia in esame, la Corte dopo aver affermato, con riferimento al giudizio sulla condotta dei genitori, che la maternità surrogata «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane», ha aggiunto, in merito al diverso piano relativo alla tutela della persona nata, che anche in caso di maternità surrogata «l’interesse del minore non è per questo cancellato» (§ 4.2) e che l’art. 263 c.c. deve essere interpretato nel senso di consentire al giudice di valutare se la rimozione dello status già acquisito sia, nel caso concreto, conforme o meno all’interesse superiore del minore, bilanciato con gli altri interessi e diritti fondamentali protetti dall’ordinamento. Viene richiesta pertanto dal giudice delle leggi una verifica, nel caso di specie, della conformità del riconoscimento ex art. 263 c.c. all’interesse del minore[9].
Il giudizio di legittimità costituzionale sollevato dalla Corte di Cassazione (con l’ordinanza n. 8325 del 29 aprile 2020) è stato definito con la sentenza n. 33 del 9 marzo 2021.
Nella decisione in esame la Corte, riaffermando la netta distinzione tra la valutazione dell’eventuale violazione di un precetto normativo e la valutazione relativa alla tutela della persona nata, ha precisato che le questioni alla stessa sottoposte sono focalizzate non sulla condotta di chi ricorre alla maternità surrogata, ma “sugli interessi del bambino nato mediante maternità surrogata, nei suoi rapporti con la coppia (omosessuale, come nel caso che ha dato origine al giudizio a quo, ovvero eterosessuale) che ha sin dall’inizio condiviso il percorso che ha condotto al suo concepimento e alla sua nascita nel territorio di uno Stato dove la maternità surrogata non è contraria alla legge; e che ha quindi portato in Italia il bambino, per poi qui prendersene quotidianamente cura”. Dopo aver richiamato il principio secondo cui in tutte le decisioni relative ai minori di competenza delle pubbliche autorità, compresi i tribunali, deve essere riconosciuto rilievo primario alla salvaguardia dei “migliori interessi” o dell’“interesse superiore” del minore, la Corte ha richiamato la consolidata giurisprudenza della Corte EDU relativa alla necessità che i bambini nati mediante maternità surrogata “anche negli Stati parte che vietino il ricorso a tali pratiche, ottengano un riconoscimento giuridico del “legale di filiazione” (lien de filiation) con entrambi i componenti della coppia che ne ha voluto la nascita e che se ne sia poi presa concretamente cura” (§ 5.4).
Con riferimento a tale aspetto, la Corte ha precisato che l’interesse del minore non “potrebbe ritenersi soddisfatto dal riconoscimento del rapporto di filiazione con il solo genitore “biologico”, come è accaduto nel caso dal quale è scaturito il giudizio a quo, in cui l’originario atto di nascita canadese, che designava come genitore il solo P.F. era stato trascritto nei registri di stato civile italiani. Laddove, infatti, il minore viva e cresca nell’ambito di un nucleo composto da una coppia di due persone, che non solo abbiano insieme condiviso e attuato il progetto del suo concepimento, ma lo abbiano poi continuativamente accudito, esercitando di fatto in maniera congiunta la responsabilità genitoriale, è chiaro che egli avrà un preciso interesse al riconoscimento giuridico del proprio rapporto con entrambe, e non solo con il genitore che abbia fornito i propri gameti ai fini della maternità surrogata” (§ 5.4).
Il preminente interesse nel minore dovrà poi essere bilanciato, alla luce del criterio di proporzionalità, con lo scopo legittimo perseguito dall’ordinamento di disincentivare il ricorso alla surrogazione di maternità, penalmente sanzionato dal legislatore.
Con riferimento al giudizio di bilanciamento, nella pronuncia in esame, in forza di un richiamo alle sentenze rese sul tema dalla Corte di Strasburgo, la Consulta ha ribadito che gli Stati parte ben possano non consentire la trascrizione di atti di stato civile stranieri che riconoscano sin dalla nascita del bambino lo status di padre o di madre al genitore di intenzione a condizione che ciascun ordinamento “garantisca la concreta possibilità del riconoscimento giuridico dei legami tra il bambino e il “genitore d’intenzione” al più tardi quando tali legami si sono di fatto concretizzati”. I principi affermati dalla Corte EDU e sanciti dalla Costituzione, prosegue la Corte, “non ostano alla soluzione, cui le sezioni unite civile della Cassazione sono pervenute, della non trascrivibilità del provvedimento giudiziario straniero, e a fortiori dell’originario atto di nascita, che indichino quale genitore del bambino il “padre d’intenzione”; ma per altro verso impongono che, in tal caso, sia comunque assicurata tutela all’interesse del minore al riconoscimento giuridico del suo rapporto con entrambi i componenti della coppia che non solo ne abbiano voluto la nascita in un Paese estero in conformità alla lex loci, ma che lo abbiano poi accudito esercitando di fatto la responsabilità genitoriale” (§ 5.7).
In merito alle caratteristiche di una tale forma di tutela, la Corte ha espressamente precisato come la stessa dovrà essere assicurata attraverso un procedimento di adozione “effettivo” e “celere”, “che riconosca la pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato”. Ogni diversa soluzione che non offra al bambino una possibilità di tale riconoscimento “sia pure ex post e in esito a una verifica in concreto da parte del giudice, finirebbe per strumentalizzare la persona del minore in nome della pur legittima finalità di disincentivare il ricorso alla pratica della maternità surrogata”.
Con particolare riferimento all’adozione in casi particolari (tutela ritenuta esperibile nei casi all’esame delle Sezioni unite nella sentenza n. 12193 del 2019), la Corte ha rilevato che, “come correttamente sottolinea l’ordinanza di rimessione, il possibile ricorso all’adozione in casi particolari……costituisce una forma di tutela degli interessi del minore certo significativa, ma ancora non del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali rammentati”.
Una tutela del minore nato da maternità surrogata adeguata ai principi convenzionali e costituzionali richiamati nella sentenza attraverso l’adozione richiede, ad avviso della Corte, una disciplina “più aderente alle peculiarità della situazione in esame, che è in effetti assai distante da quelle che il legislatore ha inteso regolare per mezzo dell’art. 44, comma 1, lettera d) della legge n. 184 del 1983”.
Nella sentenza n. 32, depositata in pari data (9 marzo 2021) la Corte si è pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Padova aventi ad oggetto la condizione di nati a seguito di PMA eterologa praticata in un altro paese, in conformità alla legge dello stesso, da una donna, che aveva intenzionalmente condiviso il progetto genitoriale con un’altra donna e, per un lasso di tempo sufficientemente ampio, esercitato le funzioni genitoriali congiuntamente, dando vita con le figlie minori a una comunità di affetti e di cure[10]. Nel caso portato all’attenzione della Corte, la circostanza che aveva indotto la madre biologica a recidere un tale legame nei confronti della madre intenzionale, coincidente con il manifestarsi di situazioni conflittuali all’interno della coppia, aveva reso evidente un vuoto di tutela dei diritti delle minori.
Il Giudice delle leggi ha sottolineato, inoltre, come “i nati a seguito di PMA eterologa praticata da due donne versano in una condizione deteriore rispetto a quella di tutti gli altri nati, solo in ragione dell’orientamento sessuale delle persone che hanno posto in essere il progetto procreativo. Essi, destinati a restare incardinati nel rapporto con un solo genitore, proprio perché non riconoscibili dall’altra persona che ha costruito il progetto procreativo, vedono gravemente compromessa la tutela dei loro preminenti interessi” (§2.4.1.3.).
La Corte, riscontrato il “vuoto di tutela dell’interesse del minore”, ha richiamato la necessità di un intervento legislativo “al fine di individuare, come già auspicato in passato, un «ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana» (sentenza n. 347 del 1998). Un intervento puntuale di questa Corte rischierebbe di generare disarmonie nel sistema complessivamente considerato. Il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, dovrà al più presto colmare il denunciato vuoto di tutela, a fronte di incomprimibili diritti dei minori. Si auspica una disciplina della materia che, in maniera organica, individui le modalità più congrue di riconoscimento dei legami affettivi stabili del minore, nato da PMA praticata da coppie dello stesso sesso, nei confronti anche della madre intenzionale” (§2.4.1.4). La gravità del vuoto di tutela del preminente interesse del minore porta, infine, il Giudice delle leggi a qualificare come “non più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa”.
Con la già richiamata sentenza n. 79, depositata il 28.3.2022, infine, la Corte Costituzionale ha sottolineato come la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma censurata consente l’espansione dei legami parentali tra il figlio adottivo e i familiari del genitore adottante che condividono il medesimo stipite, mantenendo, grazie alla definizione dell’art. 74 c.c., la distinzione tra i parenti della linea adottiva e quelli della linea biologica.
4.3. La giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Nella giurisprudenza della Corte EDU la disposizione convenzionale che viene principalmente in rilievo è l’articolo 8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata e familiare) il quale funge da “clausola aperta” di tutela dei diritti convenzionali, anche se non mancano riferimenti al divieto di discriminazione, previsto dall’art. 14 CEDU.
Nella valutazione della Corte, sempre orientata alla decisione del caso concreto, dopo aver ravvisato l’esistenza di una situazione giuridica soggettiva da proteggere (sub specie di vita privata o di vita familiare), viene esaminato il profilo relativo alla legittimità dell’interferenza da parte delle autorità pubbliche, con riferimento alla conformità alla legge, al perseguimento di uno scopo legittimo ed alla necessità delle misure adottate in una società democratica.
Nelle c.d. sentenze gemelle Labassee c. Francia e Mennesson c. Francia del 26 giugno 2014[11], la Corte di Strasburgo si era pronunciata sui ricorsi di coppie di cittadini francesi (uno dei quali presentava un legame genetico con il figlio nato da procreazione sostitutiva) che avevano fatto ricorso alla maternità surrogata all’estero e che avevano poi chiesto la trascrizione degli atti di nascita in Francia, incontrando il rifiuto delle autorità di quel Paese, rifiuto confermato poi dalle autorità giudiziarie, fino alla Corte di cassazione.
La Corte EDU aveva ritenuto che il mancato riconoscimento del legame parentale incidesse non soltanto sull’interesse dei genitori d’intenzione, ma anche su quello dei minori, in particolare sul loro diritto al rispetto della vita privata (art. 8 CEDU), evidenziando come la filiazione riguardi un profilo basilare e fondante dell’identità stessa del minore (sentenza Mennesson, §§ 96-101; sentenza Labassee, §§ 75-80).
Quasi due anni dopo la sentenza della Camera, II Sez., della Corte Edu (pubblicata il 27 gennaio 2015), la Grande Camera, adita dal Governo italiano ai sensi dell’art. 43 CEDU, con sentenza del 24 gennaio 2017 ha ribaltato il giudizio della Camera, riconoscendo che le autorità italiane – nel decidere di allontanare il minore dai ricorrenti – non avevano commesso, nel caso in esame, alcuna violazione della CEDU (in particolare dell’art. 8). La Corte – dopo aver più volte ribadito le differenze del caso in esame rispetto al precedente Mennesson e precisato che, avendo ritenuto inesistente una vita familiare, il caso sarebbe stato scrutinato con riferimento alla vita privata – ha affermato che le misure adottate da parte delle autorità italiane (allontanamento del minore, affidamento in una casa famiglia senza contatti con i ricorrente e nomina di un tutore) costituiscono un’ingerenza ai sensi dell’art. 8 prevista dalla legge, legittima e proporzionata. La decisione in esame, a differenza del caso Mennesson, (ove la Corte EDU aveva riconosciuto la violazione dell’art. 8 CEDU da parte delle autorità francesi che avevano rifiutato la trascrizione di un certificato di nascita di un minore nato all’estero da maternità surrogata, ma con legame genetico con il padre), non si occupa della questione dell’identità del minore e del riconoscimento della sua filiazione genetica perché un eventuale rifiuto dello Stato di riconoscere l’identità del minore non poteva essere contestato dai ricorrenti che – a differenza del caso Mennesson – non avevano titolo per agire per conto del minore (che, infatti, non era è stato parte del giudizio nemmeno presso la Camera), e dall’altro lato, non esisteva alcun legame biologico (§195).
Ancora i coniugi Mennesson, nell’ambito di una procedura introdotta di recente nell’ordinamento francese, che consente la revisione di una pronuncia resa in violazione della CEDU, ancorché passata in giudicato, hanno chiesto il riesame della decisione con la quale era stata annullata la trascrizione dell’atto di nascita estero che li riconosceva genitori. L’assemblea plenaria della Cassazione, alla quale il caso è stato rimesso, avvalendosi del Protocollo addizionale n. 16 alla Convenzione, ha sottoposto ai giudici di Strasburgo una duplice questione: per un verso, se lo Stato ecceda il proprio margine di apprezzamento rifiutando di registrare l’atto di nascita estero nella parte in cui attribuisce la maternità alla madre intenzionale – e se la circostanza che il figlio sia stato concepito o meno con i gameti della stessa modifichi i termini della questione – e, per l’altro verso, qualora il riconoscimento del rapporto di filiazione con il genitore intenzionale debba considerarsi un obbligo imposto dalla Convenzione, se l’adozione del figlio biologico del marito possa rappresentare un mezzo alternativo idoneo alla trascrizione.
La Corte ha premesso che il punto di osservazione dal quale porsi per impostare la questione non è tanto quello dei genitori, ma quello dei minori (§39), precisando come il mancato riconoscimento dello status nei confronti della madre intenzionale risulti pregiudizievole sotto molteplici aspetti: è fonte di incertezza giuridica riguardo alla loro identità all’interno della società; non consente loro di acquisire la cittadinanza della madre; rende più difficile la permanenza nel paese di residenza di lei; ulteriori problemi insorgono quanto ai diritti successori, alla stabilità della relazione in caso di separazione o morte del genitore o in caso di rifiuto della madre intenzionale di prendersi cura di loro (§40).
E’ stato ribadito come la tutela dell’interesse del bambino non sia assoluta, ma possa essere bilanciata con altri interessi, anch’essi rilevanti, compreso quello alla protezione contro i rischi di abuso degli accordi di surrogazione (§41).
Con riferimento al margine di apprezzamento degli Stati di fronte a questioni eticamente sensibili (§ 43), la Corte ha precisato che tale regola non possa trovare applicazione ed i margini di discrezionalità debbono essere ristretti, quando si tratta del diritto all’identità dei bambini, dell’ambiente in cui vivono e si sviluppa la loro personalità (§45).
Rispondendo al primo quesito la Corte ha affermato che, considerato il preminente interesse dei bambini ed il ridotto margine di apprezzamento riservato agli Stati, il diritto al rispetto della vita privata dei bambini nati all’estero da maternità surrogata – secondo l’articolo 8 della Convenzione – obbliga gli Stati ad offrire riconoscimento legale alla relazione con la madre intenzionale che sia indicata nel certificato di nascita straniero come “madre legale” (§46).
In merito al secondo quesito, relativo alle modalità del riconoscimento legale della genitorialità intenzionale, non sussistendo in Europa un generale consenso a questo proposito, la Corte ha ribadito che agli Stati competano più ampi spazi di discrezionalità e di scelta tra gli strumenti giuridici disponibili, compresa l’adozione. Lo strumento alternativo alla trascrizione dell’atto di nascita previsto dagli Stati deve in ogni caso garantire una tutela “pronta” ed “effettiva“. Tutela pronta non significa riconoscimento alla nascita, è sufficiente che il riconoscimento della relazione con la madre stabilita all’estero venga fatto al più tardi quando tale relazione “è diventata una realtà effettiva”. La procedura deve essere dunque caratterizzata da “celerità” (§55) onde evitare che la situazione di incertezza si protragga. La valutazione dell’interesse del minore deve essere effettuata in concreto e non in astratto (§52). Ad avviso della Corte una tutela può dirsi realmente effettiva quando lo strumento alternativo alla trascrizione sia idoneo a fondare una relazione piena tra genitore e figlio con effetti della medesima natura (§ 53).
La Corte EDU è tornata ad affermare che la richiesta di riconoscimento della madre intenzionale di bambini nati da GPA all’estero solleva “una questione seria sulla compatibilità [del non riconoscimento] con il migliore interesse del bambino” (§12). Ciò detto, essa passa in rassegna gli interessi che risulterebbero frustrati dal mancato riconoscimento dello status filiationis: l’incertezza giuridica quanto alla linea genitoriale; l’accesso alla cittadinanza del genitore intenzionale; il diritto di continuare a vivere nel luogo di residenza del genitore intenzionale; l’accesso all’asse ereditario latere matris; il diritto alla continuità genitoriale in caso di separazione o morte del genitore biologico; l’esecuzione forzata degli obblighi alimentari nei confronti del genitore intenzionale che decide di allontanarsi dalla famiglia.
L’ampio margine di apprezzamento lasciato agli Stati in merito alla possibilità di riconoscere rapporti di filiazione conseguiti all’estero, facendo ricorso alla maternità surrogata, e il limite a tale margine di apprezzamento nella condizione che le modalità previste dal diritto interno garantiscano “effettività” e “celerità” della sua messa in opera, conformemente all’interesse preminente del minore costituiscono le due linee direttrici di interpretazione che hanno trovato conferma nella successiva giurisprudenza della Corte Edu.
Nella sentenza D. contro la Francia del 16 luglio 2020 (app. n. 11288/18) – avente ad oggetto il rifiuto della domanda di trascrizione nei registri dello stato civile francese del certificato di nascita di un bambino nato all’estero mediante maternità surrogata – la Corte ha ribadito che dall’esistenza di un legame genetico non consegue necessariamente il diritto alla trascrizione del certificato di nascita straniero, precisando che, nella scelta tra diversi strumenti di tutela del minore, lo Stato membro deve garantire procedure “effettive” e “celeri”, conformemente all’interesse superiore del bambino (§ 51).
Con sentenza del 12 dicembre 2019 (C. ed E. contro la Francia, app. nn. 1462/18 e 17348/18, due cause riunite nelle quali i nati da maternità surrogata avevano, in entrambi i casi, un legame genetico con uno dei genitore), la Corte Edu, richiamando il contenuto del proprio parere consultivo del 10 aprile 2019, ha ricordato che un meccanismo efficace che consenta il riconoscimento di un rapporto genitore-figlio tra i figli interessati e il genitore affidatario deve esistere, al più tardi, quando, secondo la valutazione delle circostanze del caso di specie, si sia concretizzato il legame tra i due (§ 42). Con specifico riferimento alla valutazione dell’onere relativo alla necessità di attendere l’avvio e la conclusione del procedimento di adozione, la Corte ha affermato che il tempo medio per ottenere, in Francia, una decisione sulla domanda di adozione – 4,1 mesi in caso di piena adozione e 4,7 mesi in caso di adozione semplice – possa ritenersi un peso non eccessivo e, di conseguenza, ha concluso che il rifiuto delle autorità francesi di trascrivere i certificati di nascita stranieri dei figli dei ricorrenti non sia sproporzionato rispetto agli obiettivi perseguiti (§ 44). Viene ribadita la necessità di una decisione che valuti, caso per caso, se lo strumento alternativo alla trascrizione del certificato di nascita straniero nei registri dello stato civile dello stato membro interessato garantisca una tutela “effettiva” e “celere” dei diritti dei minori a veder riconosciuto il rapporto esistente con il genitore al più tardi quando il legame tra genitore e figlio si sia concretizzato.
La Corte EDU, più di recente, chiamata a pronunciarsi su un caso di maternità surrogata nell’ipotesi di insussistenza di legame biologico tra i genitori d’intenzione ed il nato, nella sentenza del 18 maggio 2021, Valdis Fiölnisdottir e altri c. Islanda (app. n. 71552/17), ha ritenuto non contrario alla Convenzione l’operato delle autorità islandesi che avevano rifiutato la domanda proposta da due sue cittadine avente ad oggetto la richiesta di riconoscimento della genitorialità sul bambino nato in California con la maternità surrogata, senza alcun legame genetico con la coppia. Le due donne, tornate in Islanda con il neonato, appena tre settimane dopo la nascita, avevano chiesto la cittadinanza islandese per il minore e il riconoscimento del rapporto di filiazione della coppia. Le autorità islandesi, in ragione del fatto che il bambino era nato da madre americana e che in Islanda vigeva il divieto di ricorrere alla maternità surrogata, è stato considerato minore non accompagnato e dato in affidamento alle due donne. La Corte EDU ha affermato che la Corte suprema islandese, riconoscendo l’affidamento del bambino alla coppia, e prevedendo la possibilità dell’adozione piena, abbia adottato le misure necessarie per salvaguardare la vita familiare delle ricorrenti e del minore.
Nella pronuncia in esame la Corte, richiamando alcune delle considerazioni già svolte nella sentenza Paradiso e Campanelli, espressamente ha ammesso, in determinate situazioni, l’esistenza di una vita familiare di fatto tra un adulto e un figlio, anche in assenza di legami biologici o di un legame giuridico riconosciuto, a condizione che vi siano legami personali autentici. Occorre, quindi, considerare la qualità dei legami, il ruolo svolto dai ricorrenti nei confronti del terzo richiedente e la durata della convivenza (§ 59). Con specifico riferimento al caso esaminato, la Corte EDU ha ritenuto soddisfatti i requisiti della vita familiare, pur in assenza di un legame biologico tra i genitori ed il minore, in considerazione dei seguenti elementi: la lunga durata del rapporto ininterrotti degli adulti con il minore (oltre 4 anni); la qualità dei legami già costituiti e degli stretti legami affettivi instaurati con il minore durante le prime fasi della sua vita, rafforzati dal regime di affidamento adottato dalle autorità nazionali (§ 62).
In merito al diritto al rispetto della vita privata, invece, ciò che viene in rilievo, è il diritto del minore al riconoscimento del rapporto con il padre (come già affermato dalla Corte nelle sentenza Mennesson e Labassè) e con la madre intenzionali (come chiarito nel Parere consultivo). In merito a tale diritto, il Giudice Lemmens prosegue evidenziando come la Corte, fino ad ora, abbia limitato il diritto del minore al riconoscimento del rapporto tra genitore intenzionale e figlio alle relazioni che comportano un legame biologico con almeno uno dei genitori che hanno adito di comune accordo la procreazione medicalmente assistita, ma come la stessa abbia comunque espressamente affermato che potrebbe essere chiamata in futuro a sviluppare ulteriormente la propria giurisprudenza. Nell’opinione in esame, viene espressamente riconosciuto come l’adozione non sempre rappresenti una soluzione per le difficoltà che il minore potrebbe incontrare e come l’impatto negativo che il mancato riconoscimento di un rapporto giuridico tra il minore ed i genitori su diversi aspetti della vita del fanciullo al rispetto della propria vita privata sia lo stesso, indipendentemente dal fatto che uno dei genitori abbia un legame biologico con il nato.
Un riferimento merita, inoltre, la recente decisione adottata dalla Corte Edu il 7 aprile 2022 (AFFAIRE A. L. c. FRANCE, app. n.13344/20), in un caso di gestazione per altri, nel quale la madre surrogata, dopo aver accettato di farsi fecondare con i gameti del ricorrente, aveva venduto il nato ad una coppia di persone diverse. La Corte, ribadita la illiceità delle pratiche di maternità surrogata e l’esistenza di un margine di apprezzamento degli stati nella decisione relativa al riconoscimento dei rapporti tra genitore e nato da maternità surrogata, ha precisato come, nella valutazione del preminente interesse del minore, non possa non essere considerato l’elemento relativo al passare del tempo nel consolidarsi di una relazione genitore-figlio, che deve essere valutato alla luce del principio del fatto compiuto (§§ 54 e 68). In particolare, in considerazione del fatto che, nel caso di specie, il procedimento era durato 6 anni ed un mese, la Corte ha affermato la violazione dell’art. 8 CEDU, non avendo lo Stato francese osservato l’obbligo di eccezionale diligenza, impostogli dalle circostanze del caso di specie (§ 73).
Infine, nella sentenza del 22.11.2022 (D.B. e altri c. Svizzera), la Terza Sezione delle Corte EDU ha ritenuto sussistente la violazione del diritto alla vita privata da parte dello Stato svizzero nei confronti di un bambino, nato attraverso tecniche di surrogazione di maternità, proibita in Svizzera, legalmente riconosciuto figlio dei ricorrenti dalla Corte della California, per aver lasciato che il minore, per sette anni ed otto mesi, a causa dell’assenza di previsioni specifiche nella legislazione svizzera (che, solo nel 2018, aveva consentito alle persone dello stesso sesso legate da un’unione registrata, di procedere all’adozione), potesse ottenere il riconoscimento del rapporto con il proprio genitore d’intenzione. Ad avviso della Corte il significativo periodo di tempo in cui la legislazione svizzera non consentiva alcuna forma di riconoscimento (e, dunque, poneva il minore in una condizione di incertezza giuridica relativa alla sua identità sociale) deve ritenersi incompatibile con i principi già affermati dalla Corte e con il principio del best interest of the child.
Nel valutare la lamentata violazione del diritto alla vita familiare dei genitori, invece, la Corte EDU ha ritenuto condivisibile l’opinione del giudice nazionale secondo il quale i due ricorrenti, avvalendosi della gestazione per altri in uno stato terzo, hanno agito in frode alla legge svizzera, per cui tale procedura è vietata. Inoltre, le difficoltà pratiche che i ricorrenti hanno riscontrato, a seguito della mancata trascrizione del certificato di nascita estero, non hanno inciso in modo particolare sulla vita della coppia e non hanno superato una soglia minima di gravità tale da poter riscontrare, sotto questo profilo, una violazione dell’art. 8 CEDU.
5. I diritti fondamentali del minore in situazioni trasfrontaliere: la giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Anche la Corte di Giustizia è stata investita da domande pregiudiziali ad oggetto l’atto di nascita rilasciato da uno Stato membro che designa due donne quali madri del minore[12].
I giudici del rinvio (nella causa C-490/2020) – in un procedimento promosso da una cittadina bulgara e da una del Regno Unito, coniugate a Gibilterra e residenti in Spagna, volto ad ottenere il rilascio di un documento di identità bulgara per la loro figlia, nata nel 2019 e registrata dalle autorità spagnole con un documento di identità che reca i nominativi di entrambe le ricorrenti come madri della minore – hanno chiesto alla Corte se il rifiuto, da parte delle autorità statali, di registrare un atto di nascita spagnolo (motivato dal fatto che il diritto bulgaro non prevede la genitorialità di coppie dello stesso sesso) sia giustificato dal rispetto dell’identità nazionale ex art. 4, par. 2 del TUE.
Con sentenza del 14 dicembre 2021, la Corte di Giustizia ha dichiarato che “l’articolo 4, paragrafo 2, TUE, gli articoli 20 e 21 TFUE nonché gli articoli 7, 24 e 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, devono essere interpretati nel senso che, nel caso di un minore, cittadino dell’Unione il cui atto di nascita rilasciato dalle autorità competenti dello Stato membro ospitante designi come suoi genitori due persone dello stesso sesso, lo Stato membro di cui tale minore è cittadino è tenuto, da un lato, a rilasciargli una carta d’identità o un passaporto, senza esigere la previa emissione di un atto di nascita da parte delle sue autorità nazionali e, dall’altro, a riconoscere, come ogni altro Stato membro, il documento promanante dallo Stato membro ospitante che consente a detto minore di esercitare, con ciascuna di tali due persone, il proprio diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri”.
Nella decisione in esame, la Corte, dopo aver premesso che i diritti riconosciuti ai cittadini degli Stati membri dall’art. 21, par. 1, TFUE includono il diritto di condurre una normale vita familiare sia nello Stato membro ospitante sia nello Stato membro del quale possiedono la cittadinanza, beneficiando della presenza, al loro fianco, dei loro familiari, ha ricordato che lo status delle persone, in cui rientrano le norme sul matrimonio e sulla filiazione, è una questione di competenza degli Stati membri in cui il diritto dell’Unione non incide. La Corte ha però precisato che, nell’esercizio di tale competenza, ciascuno Stato membro deve rispettare il diritto dell’Unione e, in particolare, le disposizioni del Trattato FUE relative alla libertà riconosciuta ad ogni cittadino dell’Unione di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri, riconoscendo, a tal fine, lo status delle persone stabilito in un altro Stato membro conformemente al diritto di quest’ultimo (§52, nel quale viene richiamata la sentenza del 5 giugno 2018, Coman e a., C-673/16, CGUE C-2018/385, punti da 36 a 38 e giurisprudenza ivi citata). In merito a tale aspetto, i giudici di Lussemburgo rilevano come, per permettere alla minore di esercitare il proprio diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri con ciascuno dei suoi due genitori, è necessario che le due ricorrenti possano disporre di un documento che le menzioni come persone autorizzate a viaggiare con tale minore.
In merito al limite dell’ordine pubblico, la Corte (al §55), dopo aver ricordato che tale nozione “in quanto giustificazione di una deroga a una libertà fondamentale, dev’essere intesa in senso restrittivo, di guisa che la sua portata non può essere determinata unilateralmente da ciascuno Stato membro senza il controllo delle istituzioni dell’Unione. Ne consegue che l’ordine pubblico può essere invocato solo in presenza di una minaccia reale e sufficientemente grave che colpisce un interesse fondamentale della società (sentenza del 5 giugno 2018, Coman e a., cit. punto 44 e giurisprudenza ivi citata)”, ha affermato che l’obbligo per uno Stato membro di “riconoscere il rapporto di filiazione tra la minore e ciascuna di queste due persone nell’ambito dell’esercizio, da parte della medesima, dei suoi diritti a titolo dell’art. 21 TFUE e degli atti di diritto derivato ai medesimi connessi, non viola l’identità nazionale né minaccia l’ordine pubblico di tale Stato membro”. Laddove tale obbligo di riconoscimento non impone comunque allo Stato membro di cui il minore ha la cittadinanza di prevedere nel suo diritto interno la genitorialità di persone dello stesso sesso o di riconoscere, a fini diversi dall’esercizio dei diritti che a tale minore derivano dal diritto dell’Unione, il rapporto di filiazione tra tale minore e le persone indicate come genitori nell’atto di nascita non può ravvisarsi, ad avviso della Corte di Giustizia, alcuna minaccia all’ordine pubblico.
Partendo, poi, dal principio di non discriminazione del minore (art. 2 della Convenzione sui diritti del fanciullo) – “il quale esige che i diritti enunciati in tale Convenzione, tra cui, all’art. 7, il diritto di essere registrato alla nascita, di avere un nome e di acquisire una cittadinanza, siano garantiti al minore senza che quest’ultimo subisca discriminazioni al riguardo, comprese quelle basate sull’orientamento sessuale dei suoi genitori” (§ 64), i giudici di Lussemburgo hanno precisato come “sarebbe contrario ai diritti fondamentali che gli articoli 7 e 24 della Carta garantiscono a tale minore privarlo del rapporto con uno dei suoi genitori nell’ambito dell’esercizio del suo diritto di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri o rendergli de facto impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio di tale diritto per il fatto che i suoi genitori sono dello stesso sesso” (§ 65).
6. La proposta di Regolamento del Consiglio.
L’esigenza di tutelare, senza discriminazioni, i diritti dei figli, a prescindere dal modello familiare all’interno del quale sono nati, e le difficoltà che incontrano i minori in situazioni transfrontaliere rappresentano solo alcuni degli elementi presi in esame nel contesto della citata proposta di Regolamento del Consiglio presentata a Bruxelles il 7.12.2022. In particolare, nel “Contesto della Proposta” si legge che la stessa “si prefigge “l’obiettivo di rafforzare la tutela dei diritti fondamentali e degli altri diritti dei figli in situazioni transfrontaliere, compresi il diritto all’identità, alla non discriminazione, alla vita privata e alla vita familiare, i diritti di successione e il diritto agli alimenti in un altro Stato membro, considerando preminente l’interesse superiore del minore”. Viene, inoltre, ribadito che, le conclusioni del Consiglio relative alla strategia dell’UE sui diritti dei minori sottolineano che “i diritti dei minori sono universali, che ogni minore gode degli stessi diritti senza discriminazioni di alcun tipo e che l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente in tutte le azioni relative ai minori, siano esse intraprese da autorità pubbliche o da istituzioni private”. Ulteriori obiettivi della proposta sono poi la garanzia della certezza del diritto e della prevedibilità delle norme in materia di competenza internazionale e di legge applicabile all’accertamento della filiazione in situazioni transfrontaliere e in materia di riconoscimento della filiazione, nonché la riduzione dei costi e degli oneri legali per le famiglie e i sistemi giudiziari degli Stai membri in relazione ai procedimenti giudiziari per il riconoscimento della filiazione in un altro Stato membro.
Tanto premesso, ribadito che “il diritto dell’Unione non impone ancora agli Stati membri di riconoscere la filiazione accertata in un altro Stato membro per altre finalità”, viene sottolineato come il mancato riconoscimento “può avere notevoli conseguenze negative per i minori”, atteso che “impedisce loro di esercitare i diritti fondamentali in situazioni transfrontaliere”, “può comportare la negazione dei diritti derivanti dalla filiazione ai sensi del diritto nazionale”, può far sì che i minori perdano i loro diritti di successione o agli alimenti, ecc.
In particolare, nella proposta, sono introdotte disposizioni volte alla designazione della competenza (sono indicate le autorità giurisdizionali degli Stati membri competenti in materia di filiazione, allo scopo di garantire l’interesse superiore del minore) e della legge applicabile all’accertamento della filiazione (quella dello Stato di residenza abituale di colei che partorisce), norme per il riconoscimento della filiazione (all’art. 24 viene previsto che “le decisioni giudiziarie di filiazione pronunciate in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stai membri senza che sia necessario ricorrere a procedimenti particolari”), specifici motivi di diniego per il riconoscimento (l’art. 31 dispone che, tra gli altri casi, il riconoscimento di una decisione giudiziaria è negato se, “tenuto conto dell’interesse dei figli, è manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro in cui è invocato”…) e la creazione di un certificato europeo di filiazione.
Nella proposta di Regolamento, inoltre, si precisa che il principio di riconoscimento delle decisioni giudiziarie rese in un altro Stato membro di accertamento della filiazione si fonda “sul principio della fiducia reciproca nei rispettivi sistemi giudiziari” e che, con riferimento all’ordine pubblico, per essere negato il riconoscimento, esso deve essere valutato non in astratto (ad esempio nel caso di genitori dello stesso sesso), ma in concreto. Tale riconoscimento, in particolare, dovrebbe essere negato quanto “manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico dello Stato membro in cui è richiesto perché, ad esempio, i diritti fondamentali di una persona sono stati violati in fase di concepimento, nascita o adozione del figlio oppure di accertamento della violazione”.
7. La risoluzione della 4° Commissione permanente.
Ai sensi dell’art. 6 del protocollo n. 2 sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità [13], la 4° Commissione permanente del Senato, in data 16.3.2023, ha adottato una risoluzione sulla proposta di Regolamento sopra indicata, nella quale è stato sottolineato che la proposta “non rispetta i principi di sussidiarietà e di proporzionalità nella misura in cui consente di invocare il motivo dell’ordine pubblico solo caso per caso e in quanto non prevede di poterlo invocare per negate il riconoscimento del certificato europeo di filiazione”. Viene, inoltre, evidenziato come la proposta non prevede la possibilità per gli Stati membri “di assicurare il pieno rispetto dei diritti dei figli mediante strumenti diversi da quello del riconoscimento delle decisioni giudiziarie, di atti pubblici o di certificati europei di filiazione, quale per esempio l’istituto dell’adozione in casi particolari”.
Nella Risoluzione, dopo aver sottolineato che vengono condivise le finalità della proposta di Regolamento, viene compiutamente esaminata la citata sentenza delle Sezioni Unite n. 38162 del 2022 e le argomentazioni della Suprema Corte relative alla contrarietà della pratica della maternità surrogata all’ordine pubblico e alla possibilità di considerare l’adozione in casi particolari come strumento di tutela dei diritti del nato. In forza della decisione delle Sezioni Unite, la quarta commissione ha sottolineato che condizione essenziale è che la proposta di Regolamento “preveda esplicitamente la possibilità di invocare la clausola dell’ordine pubblico in via generale su tutti i casi di filiazione per maternità surrogata, a condizione di assicurare una tutela alternativa ed equivalente, quale quella del citato istituto dell’adozione in casi particolari, e che ciò valga esplicitamente anche con riguardo al certificato europeo di filiazione”.
Tanto premesso, si osserva come, a fronte del contenuto della proposta di Regolamento (volta, come detto, a semplificare il riconoscimento della filiazione tra Stati membri), appare non semplice comprendere le ragioni del richiamo, nella citata Risoluzione, delle motivazioni della sentenza delle Sezioni Unite sulla gestazione per altri. Tale decisione, infatti, si riferisce alla specifica e limitata fattispecie della surrogazione di maternità – espressamente consentita solo in 3 Stati membri[14] – e non riguarda, invece, le questioni relative alle forme di riconoscimento della filiazione in situazioni transfrontaliere derivante da tecniche di procreazione medicalmente assistita, oggetto della proposta di Regolamento.
8. Questioni aperte.
La Corte costituzionale da tempo ci ha ricordato come la Costituzione “non giustifica una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti” (Corte cost. sentenza n. 494 del 2002) e, più di recente, le Sezioni Unite hanno ribadito che “quando si ha a che fare con i diritti delle persone, l’interpretazione deve essere improntata ad un senso di umanità” (sentenza n. 38162 del 2022, § 2).
Le coordinate appena indicate fanno da sfondo ad un’evoluzione delle relazioni familiari nel mutato contesto sociale che, in assenza di un tempestivo e coordinato intervento del legislatore, chiama il giudice, secondo il criterio di “gradualità” necessario a far assorbire il cambiamento e le novità del sistema (indicato dalle Sezioni Unite nella sentenza del dicembre 2022), ad un intervento teso ad individuare, nel sistema, i rimedi più appropriati per garantire ai minori una tutela effettiva.
Molte le questioni aperte cui i giudici sono chiamati a fornire una risposta.
I diritti dei minori, concepiti all’estero con il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, e nati in Italia sono, fino ad ora, rimasti privi di tutela.
Bambini nati in famiglie che si trovano in situazioni transfrontaliere non vedono riconosciuto il loro diritto alla libera circolazione insieme ai propri genitori.
E, ancora, bambini nati da gestazione per altri che, a causa della durata del procedimento di adozione in casi particolari[15] o del rifiuto del genitore “committente” di procedere all’adozione, potrebbero restare privi di tutela per un tempo ben superiore a quello in cui il legame tra il bambino e il genitore d’intenzione si è concretizzato.
Con riferimento a tale ultimo aspetto, non si può non ricordare che il Parlamento europeo, riunito in sessione plenaria a Bruxelles, ha approvato un emendamento alla risoluzione sullo Stato di diritto, presentato dal gruppo Renew Europe, che esortava a chiedere al Governo italiano di revocare la decisione sulla trascrizione dei figli delle coppie omogenitoriali. In particolare, nel testo della risoluzione, si legge che il Parlamento “condanna le istruzioni impartite dal governo italiano al comune di Milano di non registrare più i figli di coppie omogenitoriali; ritiene che questa decisione porterà inevitabilmente alla discriminazione non solo di coppie dello stesso sesso, ma anche e soprattutto dei loro figli; ritiene che tale azione costituisca una violazione diretta dei diritti dei minori, quali elencati nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989; esprime preoccupazione per il fatto che tale decisione si iscrive in un più ampio attacco contro la comunità Lgbtq in Italia; invita il governo italiano a revocare immediatamente la sua decisione”.
Sino a quando si continuerà a declamare la natura “preminente” dell’interesse dei minori (interesse che, peraltro, sarebbe più opportuno chiamare “diritto”), senza prevedere un sistema di rimedi che ne presidi un’attuazione senza discriminazioni tra diritti dei figli in ragione della tipologia di famiglia all’interno della quale sono nati, non si realizzerà la tutela effettiva di quei diritti, primi tra tutti il diritto alla dignità e all’identità personale.
Martina Flamini, giudice di Cassazione, Ufficio del Massimario
[1] COM (2022) 695, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52022PC0695&from=EN.
[2] Così testualmente nella sezione “motivi e obiettivi della proposta” della Relazione alla proposta di Regolamento, pag. 1.
[3] RISOLUZIONE DELLA 4ª COMMISSIONE PERMANENTE del 14 marzo 2023, https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/1372325.pdf.
[4] L. LENTI, Note critiche in tema di interesse del minore, Riv. dir. civ., 2016, 86 ss.
[5] S. CELENTANO, “Tradizione”, “natura” e pregiudizio, Storie di figli nati a metà”, in https://www.questionegiustizia.it/articolo/tradizione-natura-e-pregiudizio-storie-di-figli-nati-a-meta_12-05-2020.php
[6] A diverse soluzioni è giunta, invece, la giurisprudenza di merito che, in più occasioni, ha riconosciuto la legittimità di atti di nascita relativi a minori nati in Italia, nell’ambito di progetti di genitorialità portati avanti tramite l’accesso, all’estero, a tecniche di procreazione medicalmente assistita (cfr. Tribunale di Cagliari decreto 1146 del 2020 del 28.4.2020, confermato dalla Corte d’Appello di Cagliari con decreto del 16.4.2021; Tribunale di Pistoia, decreto del 5.7.2018; Tribunale di Brescia, decreto dell’11.11.2020).
[7] F. PARUZZO, I nati non riconoscibili: il ruolo dei giudici nella persistente inerzia del legislatore, in https://www.questionegiustizia.it/articolo/i-nati-non-riconoscibili-il-ruolo-dei-giudici-nella-persistente-inerzia-del-legislatore
[8] Cfr. SS.UU. n. 9006 del 31.3.2021, §18.6.
[9] Cfr., per un’applicazione dei principi affermati dalla Corte costituzionale, Trib. Roma, sent. n. 2991 del 2020 e n. 3017 del 2020, in cui i giudici hanno rigettato l’impugnazione, ex art. 263 c.c., del riconoscimento per difetto di veridicità effettuato dalle madri intenzionali nei confronti di minori, nati all’estero mediante gestazione per altri, con seme dei mariti, ritenendo prevalente l’interesse dei minori al mantenimento della relazione genitoriale.
[10] Il Tribunale ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) e 250 del codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
[11] Corte eur. dir. uomo, 26.6.2014, ric. 65192/11, Mennesson c. Francia, e Corte eur. dir. uomo, 26.6.2014, ric. 65941/11, Labassee c. Francia
[12] Oltre alla causa C-490/2020, pende anche la causa C-2/21 K.S.
[13] L’art. 6 dispone che: “Ciascuno dei parlamenti nazionali o ciascuna camera di uno di questi parlamenti può, entro un termine di sei settimane a decorrere dalla data di trasmissione di un progetto di atto legislativo europeo, inviare ai presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione un parere motivato che espone le ragioni per le quali ritiene che il progetto in causa non sia conforme al principio di sussidiarietà. Spetta a ciascun parlamento nazionale o a ciascuna camera dei parlamenti nazionali consultare all’occorrenza i parlamenti regionali con poteri legislativi”.
[14] Cipro, Grecia, Portogallo sono gli unici tre Stati che hanno una legislazione che ammette la surrogazione di maternità. Danimarca, Belgio e Paesi Passi, pur in assenza di una previsione normativa generale, tollerano la pratica in presenza di determinate condizioni.
[15] Cfr., in particolare, i dati relativi al Tribunale dei Minorenni di Milano, dai quali emerge che un procedimento di adozione in casi particolari duri in media 529 giorni.