Law 162/21 e the role of the Equality Advisors
Lo scritto analizza sinteticamente l’impatto sulla figura della Consigliera di parità (organo monocratico che si occupa di monitorare e supportare l’attuazione della normativa in materia di pari opportunità di genere nel lavoro) della recente riforma attuata in Italia con la legge n. 162/2021, individuandone punti di forza e di debolezza (in particolare con riguardo al profilo del sostegno economico).
The article briefly analyzes the impact on the figure of the Councilor of Parity (monocratic organ that deals with monitoring and supporting the implementation of legislation on equal gender opportunities at the work) of the recent reform implemented in Italy by law n. 162/2021, identifying strengths and weaknesses (in particular with regard to the profile of economic support).
Mentre celebriamo l’8 marzo, voglio aggiungere un altro piccolo tassello ai contributi già pubblicati da IEN in merito alla recente legge n. 162/2021, recante modiche al Codice per le pari opportunità (d. lgs. 198/2006). Come è noto, il contesto nel quale il legislatore è intervenuto appare ancora assai critico; nell’ambito dell’Unione europea, infatti, l’Italia risulta essere uno dei Paesi con il maggior divario occupazionale tra uomini e donne, che si avvicina attualmente al 18% (contro una media europea che è inferiore al 12%), ed un tasso di occupazione femminile che, alla fine del 2021, era pari al 50,5%: sostanzialmente, solo una donna italiana su due risulta impiegata in un’attività lavorativa ‘esterna’ e l’impatto della pandemia, nell’ultimo biennio, ha penalizzato ulteriormente l’impiego femminile. Non stupisce dunque che il Global Gender Gap Index 2021 (elaborato dal World Economic Forum)abbia collocato il nostro Paese al 63° posto nella classifica generale (su 156 Paesi presi in considerazione); piazzamento, questo, già di per sé sconfortante, ma che poi vede l’Italia precipitare al 114° posto proprio in relazione all’indicatore relativo alla partecipazione delle donne in ambito economico ed alle relative opportunità.
In questo quadro, l’intervento del legislatore di fine anno ha operato su vari fronti, che vanno dalla ridefinizione della nozione di discriminazione, agli strumenti per favorire una maggiore trasparenza retributiva (quale chiave di contrasto al gender pay gap),a misure di premialità per le imprese ‘virtuose’ (anche attraverso nuovi strumenti di certificazione), alla ridefinizione/ampliamento di alcuni compiti attribuiti alle/ai Consigliere/i di parità.
Sebbene molto si potrebbe dire sui diversi profili cui si è appena fatto cenno, vorrei qui soffermarmi brevemente solo sull’ultimo, anche alla luce dell’esperienza maturata in passato come Consigliera di parità del Friuli Venezia Giulia, che mi ha consentito di toccare con mano – anche grazie al confronto periodico con le colleghe delle altre Regioni in sede di Conferenza nazionale – le potenzialità ma, allo stesso tempo, anche i limiti legati all’assetto regolativo ed al finanziamento dell’attività di questi soggetti istituzionali. Ricordo qui, brevemente, che alla figura della/del Consigliera/e di parità, regolata nel capo IV (art. 12-20) del d. lgs. 198/06 e prevista a livello nazionale, regionale e territoriale (città metropolitane ed enti di area vasta), sono affidati numerosi compiti legati all’attuazione (anche attraverso pratiche di dialogo sociale) e al monitoraggio dei principi di eguaglianza e di non discriminazione tra donne e uomini sul lavoro. Tale attività si esplica mediante molteplici modalità e strumenti operativi, che vanno – per fare solo qualche esempio – dalla promozione delle azioni positive e delle politiche di pari opportunità, mediante la relazione con gli organi di governo (nazionali e territoriali) ed il sostegno alle parti sociali, alla diffusione di conoscenze e buone prassi (con attività di informazione e formazione), ad attività consulenziali rese ‘a sportello’ per rispondere alle richieste di informazioni e/o supporto da parte dei singoli, alla promozione di ricorsi giudiziari a fronte di casi di discriminazioni collettive e individuali (in quest’ultimo caso, su delega della vittima o con un intervento ad adiuvandum). Queste sommarie indicazioni bastano per far comprendere l’impegno richiesto per svolgere al meglio tale incarico, al quale tuttavia si contrappone una significativa e cronica carenza dei fondi a disposizione, in particolare per le Consigliere che operano al livello territoriale di base (ex-provinciale), fortemente condizionate dalla disponibilità finanziaria dell’ente di riferimento e spesso chiamate ad operare in un quadro di sostanziale ‘volontariato’.
Proprio a tale proposito, se da un lato può dunque salutarsi senz’altro con favore l’allargamento, operato dalla legge n. 162, della platea dei datori di lavoro chiamati a presentare ogni due anni il rapporto sulla condizione del personale femminile e maschile (con l’abbassamento del parametro dimensionale da 100 a 50 dipendenti), delusione e più di una perplessità suscita la circostanza che non vi sia nel provvedimento approvato a fine anno alcuna specifica previsione in merito ad una rivisitazione delle misure di sostegno finanziario per le attività delle/dei Consigliere/i, con particolare riguardo proprio al livello territoriale regionale ed ex-provinciale, da sempre sotto questo profilo particolarmente penalizzato. Guardando infatti proprio alle nuove regole sui rapporti biennali, l’aumento dei dati che risulteranno accessibili, con la sensibile crescita dei datori di lavoro tenuti a presentarlo, chiama ancora di più in causa la necessità di assicurare alle/ai Consigliere/i una adeguata assistenza tecnica per l’elaborazione, non certo banale, delle informazioni ricavate dallo stesso: serve infatti avere un supporto competente ed esperto per questa importante attività, così come maggiori risorse appaiono indispensabili (in termini non solo economici, ma anche di personale ed uffici) laddove si voglia fare davvero decollare l’attività relativa alle azioni in giudizio, che non a caso risultano ancora limitate.
La sensazione complessiva, dunque, dalla lettura del nuovo apparato normativo, è che si sia persa ancora una volta un’importante occasione per valorizzare e rilanciare una figura che, proprio alla luce della sua articolazione pluralistica e territoriale, sarebbe certamente in grado – se maggiormente sostenuta dal punto di vista delle risorse economiche e materiali disponibili– di supportare con significativa efficacia il controllo sull’effettività della normativa contro le discriminazioni di genere sul lavoro. La mancanza di un’attenzione specifica al piano delle risorse economiche, in particolare per il livello territoriale ‘di prossimità’, rischia inoltre di vanificare la possibilità di quello che, a mio parere, dovrebbe essere un utile coinvolgimento delle/dei Consigliere/i – attese le molteplici e specifiche competenze di questi organismi di parità – nelle pratiche attuative del PNRR, del tutto auspicabile, in una logica di gender mainstreaming, alla luce della indicata trasversalità all’interno del Piano dell’obiettivo del contrasto alle discriminazioni di genere e del sostegno alle pari opportunità.
Come sempre accade, in definitiva, anche in questo caso il rischio, assai concreto, è che le buone intenzioni, se non supportate dalle risorse economiche necessarie per un vero ‘salto di qualità’, finiscano per restare sulla carta.
Roberta Nunin, professoressa ordinaria presso l’Università di Trieste