Intersectional discrimination and Directive 2023/970/EU on equal pay between men and women
di Barbara G. Bello e Letizia Mancini
La Direttiva 2023/970/UE introduce per la prima volta in un testo vincolante dell’UE l’approccio intersezionale, sottolineandone l’importanza “per comprendere e affrontare il divario retributivo di genere” (considerando 25). Questa innovazione è da inquadrare nella recente sensibilità dell’Unione europea (ad es. la Strategia per la parità di genere 2020-2025), per lungo tempo limitata al soft law.
Brevi cenni sulla discriminazione multipla erano già contenuti nei considerando n. 14 e n. 3, rispettivamente, della direttive 2000/43/CE (che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica) e della direttiva 2000/78/CE (che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro in relazione a religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale). Non vi è alcun cenno, invece, nella Direttiva 2006/54/CE riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione). Sebbene limitatamente alla parità di retribuzione, la Direttiva in esame colma tale lacuna, peraltro in modo più incisivo rispetto alle direttive del 2000. Essa, infatti, introduce due importanti innovazioni ai fini della tutela contro le discriminazioni intersezionali.
La prima innovazione è sul versante lessicale e concettuale. Il testo infatti nomina esplicitamente la discriminazione intersezionale, definendola all’art. 3 come “discriminazione fondata su una combinazione di discriminazioni fondate sul sesso e su qualunque altro motivo di cui alla direttiva 2000/43/CE o alla direttiva 2000/78/CE”; ed evidenza che la discriminazione retributiva basata sul genere “può implicare un’intersezione di vari assi di discriminazione o disuguaglianza qualora il lavoratore appartenga a uno o più gruppi protetti contro la discriminazione […]” (considerando 25) fondata su uno dei fattori previsti dalle Direttive 2000/43/CE e 2000/78/CE (razza o origine etnica, religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale).
In merito alla discriminazione retributiva basata sul genere, sempre nel considerando 25 la Direttiva chiarisce che tali combinazioni dovrebbero essere tenute in dovuto conto “a fini sostanziali e procedurali, compreso riconoscere l’esistenza di una discriminazione, decidere quali siano i lavoratori che devono servire da termine di paragone appropriato, valutare la proporzionalità e determinare, se del caso, il livello del risarcimento concesso o delle sanzioni imposte”. Il preambolo si sofferma, inoltre, sulle implicazioni relative alla trasparenza retributiva e sulle informazioni di cui le/i candidati/e dovrebbero disporre per compiere una decisione consapevole in sede contrattuale. Infatti “la mancanza di trasparenza nella determinazione delle retribuzioni lascia spazio a pratiche discriminatorie basate su diversi motivi” (considerando 32): pratiche discriminatorie basate sul genere, ma anche sull’intersezione tra diversi fattori.
La seconda innovazione introdotta dalla Direttiva 2023/970/UE è ancora più importante della prima: la discriminazione intersezionale trova spazio, infatti, anche nella parte vincolante.
L’art. 16 (Diritto al risarcimento) chiarisce, al par. 3, che nel calcolo del risarcimento o della riparazione siano ricompresi “il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus o pagamenti in natura, il risarcimento per le opportunità perse, il danno immateriale, i danni causati da altri fattori pertinenti che possono includere la discriminazione intersezionale, nonché gli interessi di mora”. L’art. 23 (Sanzioni), al par. 3, specifica che le sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, applicabili in caso di violazione dei diritti e degli obblighi connessi al principio della parità di retribuzione, “tengono conto di eventuali fattori aggravanti o attenuanti pertinenti applicabili alle circostanze della violazione, che possono includere la discriminazione intersezionale”.
A corredo di dette disposizioni, il par. 3 dell’art. 29 (Monitoraggio e sensibilizzazione) specifica che l’organismo preposto al monitoraggio, che gli stati devono designare in attuazione della Direttiva, deve “sensibilizzare le imprese e le organizzazioni pubbliche e private, le parti sociali e i cittadini al fine di promuovere il principio della parità di retribuzione e il diritto alla trasparenza retributiva, anche affrontando la discriminazione intersezionale in relazione alla parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore”.
Le novità contenute nella presente Direttiva costituiscono un passo importante della normativa antidiscriminatoria della UE. L’auspicio è che esse possano essere di impulso per l’adozione della tanto attesa “Direttiva orizzontale” – finalizzata ad ampliare l’ambito oggettivo di protezione contro le discriminazioni per i fattori previsti dalla Direttiva 2000/78/CE (orientamento sessuale, età, disabilità, religione e convinzioni personali) dal solo settore lavorativo a quelli dell’accesso e della fornitura di beni e servizi, dell’istruzione e della protezione sociale.
Barbara G. Bello, prof.ssa a contratto in filosofia del diritto presso l’Università degli studi della Tuscia
Letizia Mancini, prof.ssa associata di filosofia del diritto presso l’Università di Milano