The Court of Justice on the age limit for participation in the competition for Police Commissioners: it is direct discrimination
Il contributo analizza i principali snodi motivazionali della sentenza del 17 novembre 2022 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Con questa pronuncia è stata accertata l’incompatibilità del limite anagrafico, previsto dall’art. 3, co. 1, del d.lgs. 334/2000, ai fini della partecipazione al concorso pubblico indetto per l’assunzione di commissari della Polizia di Stato, con le disposizioni della dir. 2000/78. Nell’esporre i motivi della decisione, l’autore esamina con particolare attenzione tre punti fondamentali. In primo luogo, si sofferma sul passaggio della sentenza in cui emerge il carattere controverso della natura delle funzioni esercitate dai commissari di Polizia di Stato, in ciò ravvisando un elemento di discontinuità rispetto ai precedenti casi passati al vaglio della Corte. In secondo luogo, sottolinea le argomentazioni sulla base delle quali il giudice di Bruxelles, accertando il carattere non proporzionato del requisito anagrafico, dichiara l’incompatibilità dalla normativa nazionale con l’art. 4, par. 1, della dir. Infine, riporta le principali osservazioni e valutazioni con cui la Corte, individuata la finalità di politica sociale perseguita dalla normativa censurata, dichiara la incompatibilità di quest’ultima con l’art. 6, par. 1, della direttiva.
The article analyzes the main points of the judgment of 17 November 2022 of the Court of Justice of the European Union. With this ruling, it was ascertained the incompatibility of the age limit for the recruitment of police commissioners fixed by art. 3, co. 1 of Legislative Decree n. 334/2000, with Directive 2000/78. In explaining the reasons for the decision, the author examines three fundamental points. Firstly, he focuses on the passage of the judgment in which the controversial nature of the functions exercised by the Commissioners of Polizia di Stato emerges, recognizing in this a difference from the previous cases that have been examined by the Court. Secondly, points out the arguments on the basis of which the Court of Brussels, in determining the disproportionate nature of the age limit, finds that the national legislation is incompatible with Article 4, par. 2 of Directive 2000/78. Finally, it reports the main observations and assessments with which the Court identifies the social policy purpose of the censored legislation and declares its incompatibility with art. 6, par. 1 of Directive 2000/78.
1. La vicenda
Con sentenza del 17 novembre 2022[1], la settima sezione della Corte di Giustizia si è pronunciata sul tema delle discriminazioni per età in fase di accesso all’occupazione.
Il caso ha preso le mosse da un ricorso avverso un provvedimento implicito di non ammissione al concorso pubblico indetto, nel dicembre 2019, dal Ministero dell’Interno della Repubblica Italiana per il conferimento di 120 posti di commissario di Polizia di Stato.
Parte ricorrente vedeva tacitamente respinta la sua domanda di partecipazione alla procedura di selezione perché il bando, in applicazione dell’art. 3, co. 1, d.lgs. n. 334/2000, richiedeva ai candidati di non aver compiuto i trent’anni di età.
Giunta la controversia in fase d’appello, il Consiglio di Stato, ravvisando gli estremi di una ingiustificata discriminazione per età, sollevava questione pregiudiziale dinnanzi alla Corte di Giustizia chiedendo, in buona sostanza, se gli artt. 3, TUE, 10, TFUE, e 21 della Carta di Nizza ostassero alla normativa nazionale di cui al decreto legislativo n. 334/2000 e successive modifiche e integrazioni.
Dopo aver ridefinito i termini normativi della questione pregiudiziale[2], specificando che il rimando all’art. 21 della Carta di Nizza deve ritenersi attinente alle disposizioni contenute nella direttiva 2000/78, la Corte di Giustizia ha valutato la legittimità della normativa censurata alla luce dell’art. 4, par. 1 e, in subordine, dell’art. 6, par. 1, della dir. 2000/78[3].
Benché il caso in commento condivida numerose analogie con le vicende che hanno condotto all’adozione delle sentenze Wolf[4], Vital Pérez[5] e Sorondo[6], da esse diverge su di un aspetto rilevante, attinente all’individuazione delle funzioni concretamente svolte dai commissari della Polizia di Stato.
2. Il giudizio di compatibilità con l’art. 4, par. 1: la natura controversa delle funzioni svolte dai commissari della Polizia di Stato
L’art. 4, par. 1, della dir. 2000/78 prevede che la disparità di trattamento basata su di una caratteristica correlata ad uno dei ground indicati all’art. 1 non costituisca discriminazione laddove, per la natura o il contesto in cui è svolta l’attività lavorativa, tale caratteristica costituisca requisito essenziale e determinante per lo svolgimento della prestazione di lavoro, purché la finalità sia legittima ed il requisito proporzionato.
Atteso il riconoscimento della circostanza che il possesso di capacità fisiche particolari sia caratteristica effettivamente legata all’età, nonché della finalità legittima della normativa, in quanto tesa ad «assicurare il carattere operativo ed il buon funzionamento dei servizi di polizia», la CGUE procede all’accertamento del carattere essenziale e determinante del possesso di tali capacità ai fini dello svolgimento dell’attività di commissario di Polizia e, in subordine, della proporzionalità di tale requisito.
È sul primo di questi due punti che emergono le maggiori differenze tra il caso in commento e i precedenti sopra richiamati.
Difatti, mentre nei casi Wolf, V. Pérez e Sorondo non era controverso il carattere essenziale e determinante del possesso di specifiche capacità fisiche per lo svolgimento di «funzioni operative o di tipo esecutivo», nel caso in commento è dibattuta, innanzitutto, la natura delle funzioni esercitate dai commissari di polizia.
Mentre il giudice del rinvio sostiene che, alla stregua di quanto previsto dall’art. 2, co. 2, d.lgs. n. 334/2000, esse siano sostanzialmente «direttive e di carattere amministrativo», e che, per loro natura, non richiedano il possesso di particolari capacità fisiche per essere espletate, il Governo italiano eccepisce che anche i commissari svolgono funzioni operative che richiedono e giustificano «l’imposizione di un requisito di prestanza fisica».
Sul punto la Corte di Giustizia, non potendo interpretare in via diretta la normativa interna, rimette al giudice del rinvio l’individuazione dell’attività concretamente svolta dai funzionari commissari, dichiarando l’illegittimità delle disposizioni censurate «allorché le funzioni [da essi] effettivamente esercitate (…) non richiedono capacità fisiche particolari».
Pertanto, laddove il giudice nazionale accertasse la natura meramente direttiva ed amministrativa delle attività svolte dai funzionari commissari, il limite anagrafico fissato dall’art. 3, co. 1, d.lgs. n. 334/2000 risulterebbe incompatibile con gli artt. 2, par. 2, e 4, par. 1, dir. 2000/78, perché il possesso di particolari capacità fisiche non sarebbe condizione essenziale e determinante per il loro espletamento.
Nella diversa ipotesi in cui il giudice del rinvio, all’esito della valutazione demandatagli dalla Corte, dovesse qualificare il possesso di particolari capacità fisiche come requisito essenziale e determinante per l’espletamento delle funzioni attribuite ai commissari di polizia, dovrà poi verificare se il limite anagrafico di cui si tratta possa ritenersi proporzionato, ai sensi dell’art. 4, par. 1, dir. 2000/78.
Nonostante quest’ultimo rinvio, è la Corte stessa a valutare la proporzionalità della normativa, assumendo come primo criterio di giudizio il considerando 23 della dir. 2000/78, a tenore del quale è in «casi strettamente limitati [che] una disparità di trattamento può essere giustificata [perché] una caratteristica collegata (…) all’età costituisce un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa».
3. segue: il giudizio di proporzionalità del limite anagrafico
Nel dettaglio, secondo la Corte il limite massimo di età «potrebbe» considerarsi proporzionato solo ove si accertasse che i commissari di polizia svolgono funzioni operative ed esecutive che richiedono «capacità fisiche particolarmente elevate». Ma il test di proporzionalità non si esaurisce in questo accertamento. Infatti, i giudici di Bruxelles valutano la compatibilità della normativa italiana con l’art. 4, par. 1, della direttiva, alla luce di talune circostanze che, come ritenuto dal giudice a quo, corroborano il carattere non proporzionato del limite anagrafico.
In primo luogo, il fatto che l’art. 3, co. 4, del d.lgs. n. 334/2000, contempli una riserva di posti a favore degli agenti già in servizio che non abbiano più di quarant’anni, (evidente deroga alla soglia massima anagrafica) consente di affermare che il raggiungimento di tale età «non sia incompatibile con l’esercizio delle funzioni di commissario di polizia e, di conseguenza, che il limite [anagrafico] (…) sarebbe sproporzionato». A favore di tale ultimo approdo depone, peraltro, la non trascurabile circostanza per cui, in virtù dell’art. 3, co. 1, lett d), del bando di concorso, il limite di età fosse del tutto soppresso per i candidati già appartenenti al personale della Polizia di Stato.
In secondo luogo, si valorizza la previsione di una prova fisica eliminatoria, ritenuta misura più adeguata, meno restrittiva, e soprattutto, come puntualizzato dal giudice del rinvio, da sola sufficiente a garantire che gli idonei abbiano le capacità fisiche richieste per l’espletamento delle funzioni attribuite ai commissari di polizia.
Alla stregua di tali considerazioni, la Corte di Giustizia ritiene che il limite di età imposto dall’art. 3, co. 1, del d.lgs. n. 334/2000, costituisca un requisito sproporzionato, quand’anche le funzioni esercitate dai commissari della Polizia di Stato, all’esito dell’accertamento del giudice nazionale, dovessero richiedere particolari capacità fisiche. La previsione di una prova fisica eliminatoria, infatti, sarebbe in ogni caso misura più appropriata a garantire l’idoneità dei neo assunti allo svolgimento di funzioni che richiedono particolari condizioni fisiche.
In conclusione, a prescindere dall’esito dell’accertamento demandato al giudice del rinvio in merito alla natura delle funzioni esercitate dai commissari di polizia, e quindi, in definitiva, del carattere essenziale e determinante del possesso di particolari capacità fisiche per il loro espletamento, la normativa italiana risulta in ogni caso incompatibile con gli artt. 2, par. 2, e 4, par. 1, della dir. 2000/78, perché contempla un requisito anagrafico non proporzionato.
4. La compatibilità con la clausola di cui all’art. 6, par. 1.
La Corte procede poi al giudizio di compatibilità della normativa nazionale con la c.d. clausola di general defence[7] di cui all’art. 6, par. 1, in virtù della quale disparità di trattamento basate sull’età «non costituisc[o]no discriminazione laddove (…) siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate (…) da una finalità legittima, [purché] i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari».
In primo luogo, la Corte esclude che dalla normativa censurata emerga la finalità dalla stessa perseguita, precisando che ciò non solleva il giudice dal compito di identificarla alla stregua di «altri elementi, attinenti al contesto generale della misura interessata». Pertanto, muovendo dal presupposto che in virtù dell’art. 6, par. 1, possono ritenersi “legittime” solo finalità di politica sociale, i giudici di Bruxelles ipotizzano che il limite anagrafico fissato dall’art. 3, co. 1, del d.lgs. n. 334/2000, sia «basato sulla formazione richiesta per il lavoro in questione o sulla necessità di un ragionevole periodo di lavoro prima del pensionamento».
Atteso che le citate cause di giustificazione sono espressamente richiamate dall’art. 6, par. 1, lett. c), non è chiaro sulla base di quali elementi attinenti al contesto generale della misura interessata i giudici di Bruxelles giungano ad ipotizzarle come sottese al requisito censurato. Sul punto, la Corte parrebbe trarre spunto dal caso Pérez, in occasione del quale si è accertato che le finalità perseguite dalla normativa spagnola fossero effettivamente quelle di cui all’art. 6, par. 1, lett. c). In quel caso, però, la loro individuazione fu resa possibile «dalle considerazioni formulate dal giudice del rinvio, unico soggetto competente ad interpretare la normativa nazionale applicabile»[8], mentre nella vicenda in commento il Consiglio di Stato non ha elaborato osservazioni di alcun tipo sul punto.
Accertata la sussistenza di una finalità legittima, il giudice ad quem procede alla valutazione di appropriatezza e necessarietà del requisito anagrafico.
In merito, la Corte nega che il limite di età sia appropriato e necessario per il perseguimento delle finalità perseguite. Da un lato, infatti, nessun elemento consente di sostenere che il requisito anagrafico sia tale in relazione allo scopo di assicurare un congruo periodo di formazione per i funzionari commissari; dall’altro, la fissazione dell’età pensionabile del personale di Polizia di Stato ad anni sessantuno consente di scartare l’ipotesi che vede nel limite anagrafico contestato uno strumento necessario a garantire un ragionevole periodo di lavoro prima del pensionamento.
Alla luce di tali accertamenti, la Corte di Giustizia esclude che la soglia anagrafica contemplata dall’art. 3, co. 1, del d.lgs. n. 334/2000, sia giustificabile ai sensi dell’art. 6, par. 1, della dir. 2000/78.
5. Brevi conclusioni
La sentenza adottata dalla CGUE ha goduto di considerevole risonanza mediatica, che si spiega alla luce dell’attenzione del pubblico sulle condizioni di partecipazione ad un concorso di interesse e carattere generale, quale è quello indetto per l’assunzione di commissari della Polizia di Stato.
Nonostante il – tutt’altro che inedito – «atteggiamento di self-restraint»[9], giustificato dall’impossibilità di interpretare la normativa interna di contenuto controverso, la Corte ha dichiarato l’incompatibilità del limite anagrafico fissato dall’art. 3, co. 1, del d.lgs. n. 334/2000, con le disposizioni contenute nella direttiva 2000/78.
Esso, infatti, da un lato risulta non proporzionato, e quindi incompatibile con l’art. 4, par. 1, dir., a prescindere dal carattere essenziale e determinante del possesso di particolari capacità fisiche per l’espletamento delle funzioni esercitate dai commissari di polizia; dall’altro, non è idoneo ad assurgere a misura appropriata e necessaria al perseguimento di finalità di politica sociale, costituendo, piuttosto, un limite discriminatorio ingiustificabile ai sensi dell’art. 6, par. 1.
Agostino Fernicola
Leggi anche la nota di Federico Grillo Pasquarelli
[1] Corte giust., 17.11.2022, C-304/21, VT c. Ministero dell’Interno, qui in commento.
[2] Attesa, peraltro, la non pertinenza del richiamo degli artt. 3, TUE, e 10, TFUE, ai fini dell’esame della questione.
[3] Come ribadito dalla Corte, la questione attinente alla possibilità di giustificare la disparità di trattamento alla luce dell’art. 6, par. 1, rileva solo nell’ipotesi in cui la normativa nazionale risulti compatibile con quanto disposto dall’art. 4, par. 1.
[4] Corte giust., 12.01.2010, C-229/08, Wolf c. Stadt Frankfurt am Mainin, con nota di C. Spinelli, LG, n. 4, 2010.
[5] Corte giust., 13.11.2014, C-416/13, Mario Vital Pérez c. Ayuntamiento de Oviedo, con nota di V. Papa, RIDL, n. 2, 2015.
[6] Corte giust., 15.11.2016, C-258/15, Gorka Salaberria Sorondo c. Academia Vasca de Policia y Emergencia, con nota di R. Cosio, LG, n. 3, 2017.
[7] Come definita da B. Hepple, Age Discrimination in Employment: Implementing the Framework Directive 2000/78/EC, in S. Fredman – S. Spencer.
[8] Corte giust., 13.11.2014, C-416/13, Mario Vital Pérez c. Ayuntamiento de Oviedo, punto 64.
[9] V. Papa, Il fattore newcomer di discriminazione e il suo contemperamento con le politiche sociali nazionali, DLM, n. 1, 2011, cit. p. 86.