Con la sentenza 2.9.2021, la Corte di Giustizia ha posto (quasi) fine al lungo contenzioso italiano relativo all’accesso dei cittadini di paesi extra UE privi del permesso di lungo periodo all’assegno di natalità e all’assegno di maternità di base.
Come noto, tale contenzioso aveva visto la quasi totalità dei giudizi nazionali disapplicare la norma nazionale e riconoscere la prestazione ai titolari di permesso unico lavoro.
Giunta la vicenda in Cassazione, questa – pur riconoscendo l’esistenza del contrasto con l’art. 12 direttiva 2011/98 – aveva sollevato questione di costituzionalità (ordinanze 16164/19 e 16167/19 entrambe in www.asgi.it) rilevando ulteriori possibili profili di illegittimità, in particolare per contrasto con l’art. 117, 1^ comma , Cost. in relazione all’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali, nonché con gli artt. 3 e 31 Cost.
La Corte Costituzionale, a sua volta aveva disposto rinvio pregiudiziale alla Corte europea (ordinanza 182/2020) rilevando un dubbio interpretativo circa l’interpretazione dell’art. 34 e dell’art. 12 citati, in particolare per l’espressa qualificazione legislativa dell’assegno di natalità come “incentivo alla natalità”, che, in ipotesi, avrebbe potuto sottrarlo alla qualificazione di prestazione familiare come definita dal Regolamento 883/04 (al quale l’art. 12 citato rinvia).
Con la sentenza 2.9.21 la Corte UE ha sciolto ogni dubbio in proposito, in primo luogo rilevando che l’art.12 della citata direttiva costituisce attuazione dell’art. 34 della Carta, con la conseguenza che la questione deve risolversi esclusivamente alla luce del diritto derivato; in secondo luogo ribadendo la sua tradizionale giurisprudenza in tema di prestazioni di maternità, da intendersi come ogni contributo pubblico volto a sostenere la famiglia ed erogato sulla base di requisiti predeterminati.
Da rilevare che la Corte si è pronunciata anche sull’assegno di maternità pur dando atto che la vicenda giunta all’esame della Corte Costituzionale era antecedente l’entrata in vigore della direttiva 2011/98; pur escludendo qualsiasi ipotesi di far retroagire gli effetti della direttiva a una data antecedente la scadenza dell’obbligo di recepimento, la Corte ha rilevato che, provenendo il quesito dalla Corte Costituzionale, la pronuncia interpretativa era comunque doverosa e ammissibile.
Come noto, il giudizio è poi ripreso avanti la Corte Costituzionale che, a seguito dell’udienza 11.1.2022, ha deciso nel senso della incostituzionalità della limitazione contenuta nelle due norme e della conseguente estensione del diritto alla prestazione per i titolari del permesso unico lavoro. Tanto si apprende dal comunicato stampa della Corte.
Il nostro sito tornerà quindi in modo più approfondito sulla questione dopo il deposito delle motivazioni.
La Redazione