Di Stefania Scarponi,
Professoressa ordinaria di diritto del lavoro
Il tema del linguaggio inclusivo e rispettoso delle differenze di genere è considerato cruciale e, in campo giuridico, la questione del superamento del modello androcentrico che lo ispira è stata sollevata in più occasioni e ha dato luogo a documenti internazionali, europei e nazionali, pareri e raccomandazioni sull’uso non sessista della lingua italiana, tra cui da ultimo quello reso dall’Accademia della Crusca sulla parità di genere negli atti giudiziari su richiesta del Comitato Pari Opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione ( 9.3.2023 ).
In merito, sta facendo discutere la scelta lessicale adottata recentemente dall’Ateneo di Trento di declinare al femminile i nomi delle cariche istituzionali all’interno del Regolamento generale, scelta peraltro accompagnata dall’avvertenza che si intende utilizzare il “femminile esteso” ovvero come rivolto sia agli uomini sia alle donne. Nell’ incipit è stato infatti inserito un apposito comma: “I termini femminili usati in questo testo si riferiscono a tutte le persone” (Titolo1, art. 1, comma 5).
Pur trattandosi di un tema indubbiamente complesso, si può considerare per varie ragioni che si tratti di un esperimento lessicale utilmente provocatorio
1 – Tecnicamente, si tratta di una scelta simmetrica a quella del ricorso alla formula del “maschile esteso” , in auge da sempre nel linguaggio giuridico – istituzionale, e spesso utilizzata anche nelle offerte di lavoro per indicare le professionalità richieste. La formulazione prevalentemente al maschile, infatti, è ritenuta legittima se vi sia l’avvertenza in capo alla pagina che l’annuncio deve intendersi riferito ad entrambi i sessi /generi in conformità alla legge che impone che le offerte siano accompagnate dalla dicitura “dell’uno o dell’altro sesso” (art.27, c. 5, Codice di pari Opportunità). Da un punto di vista formale non si vede, dunque, per quale ragione debba ritenersi impraticabile il ricorso al “femminile esteso”.
Le due formulazioni, tuttavia, sono solo apparentemente equivalenti. La scelta operata dall’Ateneo trentino assume una portata provocatoria particolarmente efficace: a differenza del mantenimento del maschile esteso, essa comporta un vero e proprio salto di qualità cancellando l’antropologia della diseguaglianza femminile come intrinsecamente meno capace e di minor valore di quella maschile, in base alla quale si preferisce, anche da parte di molte donne, usare l’appellativo maschile nelle cariche e nelle professioni nella convinzione che a ciò corrisponda maggiore prestigio e maggiore credibilità.
2- Al contrario, la declinazione al femminile esprime un capovolgimento di prospettiva proponendo un diverso paradigma di eguaglianza che costringe a riflettere sugli ostacoli che tuttora persistono al raggiungimento da parte delle donne di una effettiva parità, come ricorda il documento dell’Ateneo emanato a sostegno di tale proposta, e testimoniato dai dati empirici sull’esclusione di fatto di molte dal ricoprire i ruoli apicali. Il segnale di discontinuità che si è voluto dare si salda con la volontà di evitare l’appesantimento che si sarebbe prodotto nello specificare i termini delle cariche e professionalità sia al maschile sia al femminile, che pure sarebbe stato più in linea con il documento contenente le linee guida che lo stesso Ateneo aveva introdotto nel 2017 sull’uso di un linguaggio rispettoso delle differenze, ma che in questo caso si è rivelato non semplice da applicare. A ciò si è aggiunta la volontà, espressa dal Rettore e condivisa dal Consiglio di amministrazione, di porre in evidenza ed evitare di riprodurre la sensazione di esclusione che “possono avere le donne quando non si vedono rappresentate nei documenti ufficiali”.
3 – La scelta lessicale non impedisce ovviamente l’utilizzo dell’appellativo al maschile o al femminile in relazione ai ruoli e alle cariche in concreto rivestiti dal personale dell’Ateneo, ma intende piuttosto rovesciare l’assunto per cui nel linguaggio giuridico il ricorso all’appellativo maschile tradizionalmente è inteso come “neutro – universale”. Infatti, come è noto, il linguaggio riflette le strutture sociali e le diverse sensibilità che emergono progressivamente e proprio per questo le regole lessicali si modificano nel tempo sebbene non trovino sempre una condivisione immediata. Le reazioni negative, provenienti soprattutto da parte maschile, denotano una suscettibilità che ricorda quanta resistenza abbiano incontrato le misure ispirate alla promozione dell’eguaglianza sostanziale nei confronti delle donne nel campo del lavoro, consistenti nelle “azioni positive”: basta pensare ai ricorsi proposti contro i provvedimenti legislativi di salvaguardia delle “quote” di partecipazione femminile alle commissioni di concorso, rigettati peraltro dalle supreme Corti.
La scelta dell’Ateneo trentino – che è stato fra i primi ad eleggere una Rettrice – dispiega in sostanza una fortissima valenza simbolica sul versante culturale, che ne conferma la sensibilità verso le tematiche “di genere” collocandosi in un quadro più ampio di politiche che comprendono anche misure concrete per promuovere le pari opportunità, come quelle tese a correggere la sottorappresentazione delle donne nel mondo accademico e istituzionale, smentendo così il rischio di esprimersi solo in termini astratti e poco efficaci.
Stefania Scarponi