Gender pay gay and pay transparency: UE proposals and legislative updates in the Italian model
La questione della trasparenza retributiva di genere è attualmente al centro di specifiche linee d’intervento a livello Ue ed interno. A marzo 2021 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità retributiva di genere attraverso la trasparenza delle retribuzioni. A livello interno, la l. 162/21 ha riformato la disciplina sul reporting aziendale e istituito un sistema di certificazione della parità di genere (anche retributiva), così come previsto dal PNRR.
The issue of gender pay transparency is currently the focus of specific lines of action at EU and national level. In March 2021, the European Commission presented a proposal for a directive aimed at strengthening the implementation of the principle of gender pay equality through pay transparency. At national level, legislation n. 162/21 reformed corporate reporting and established a system for certifying gender equality (including pay), as provided for in the Italian Recovery Plan.
1. Trasparenza retributiva di genere: raccomandazioni e proposte a livello Ue.
La questione della trasparenza retributiva di genere, tanto evocata quanto irrisolta, si pone oggi al centro di specifiche linee d’intervento a livello Ue ed interno.
A marzo 2021 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità retributiva di genere attraverso la trasparenza delle retribuzioni[1]. La proposta, attualmente in fase di prima lettura in seno al Consiglio, è significativa: a livello Ue, l’importanza del tema è sì evidenziata dalla Corte di giustizia sin da Danfoss[2], ma la dir. 2006/54/Ce non interviene specificatamente sul punto. Misure di dettaglio si rinvengono solo all’interno di fonti di soft law, in particolare, in una Raccomandazione della Commissione del 2014. In tale sede, si individuano, come strumenti di tutela da introdurre: il diritto dei lavoratori di «chiedere informazioni sui livelli salariali, ripartite per genere e in funzione delle categorie di lavoratori che svolgono uno stesso lavoro o un lavoro di pari valore. Oltre al salario di base fisso queste informazioni dovrebbero comprendere elementi complementari o variabili, come pagamenti in natura e bonus» (par. 3); un obbligo di reporting aziendale per i datori con almeno 50 dipendenti avente a oggetto informazioni sulla retribuzione media per categoria di dipendente o posizione, ripartita per genere (par. 4); la garanzia di audit salariali per i datori con almeno 250 dipendenti, in grado di fornire informazioni dettagliate sulle retribuzioni e sui differenziali di genere (par. 5); il coinvolgimento delle parti sociali, con discussione della questione, compresi gli audit salariali, al livello adeguato di contrattazione collettiva (par. 6)[3]. Il successivo report della Commissione del 2017 ha rilevato come solo undici stati membri avessero norme sulla trasparenza retributiva: sei le avevano adottate o migliorate in seguito alla Raccomandazione, soltanto la Svezia aveva recepito tutte e quattro le misure proposte[4]. In un Documento di lavoro dei servizi della Commissione pubblicato nel 2020, si segnala inoltre come, in alcuni casi, le misure siano state adottate con un ambito di applicazione o una portata non pienamente conformi alle indicazioni della Raccomandazione, ad es. per la previsione di soglie occupazionali molto più elevate o l’assenza di sanzione. A titolo esemplificato, la legge tedesca sulla trasparenza retributiva del 2017[5] ha introdotto, ma solo nelle aziende con più di 200 dipendenti, il diritto per i lavoratori di conoscere in forma anonima i dati delle retribuzioni dei colleghi assegnati a mansioni simili o di pari valore; la stessa legge ha previsto pay audit e reporting solo al superamento della soglia dei 500 dipendenti, senza stabilire alcuna sanzione in caso di mancato ottemperamento[6].
La proposta di Direttiva presentata nel 2021 prosegue sulla linea tracciata dalla Raccomandazione (pur non includendo, a differenza di quest’ultima, obblighi di reporting per le imprese sotto i 250 lavoratori[7]). In particolare, stabilisce, a monte e nella prospettiva della prevenzione, diritti soggettivi individuali di informazione e un processo di rendicontazione di dati aggregati. A seguire, prevede la possibilità per i lavoratori e i loro rappresentanti di chiedere chiarimenti e dettagli ulteriori, comprese spiegazioni su eventuali disparità, nonché l’effettuazione di una valutazione congiunta in cooperazione con i rappresentanti dei lavoratori, al ricorrere di un divario medio (su dati aggregati) pari almeno al 5%, non giustificato dal datore con fattori oggettivi e “neutri” sotto il profilo del genere (per un’analisi critica, cfr. Gottardi 2021b). La previsione di queste garanzie è tanto più rilevante nel momento in cui vi è agganciata un’inversione completa (e non solo parziale) dell’onere della prova. Segnatamente, si stabilisce che «qualora un datore di lavoro non abbia rispettato uno qualsiasi dei diritti o degli obblighi in materia di trasparenza retributiva […], gli Stati membri provvedono affinché spetti al datore di lavoro dimostrare, in qualsiasi procedimento giudiziario o amministrativo riguardante una discriminazione diretta o indiretta, che non vi è stata discriminazione» (art. 16, par. 2).
2. Le novità del modello italiano, dal PNRR alla l. 162/21.
Come anticipato in premessa, anche a livello interno vi sono delle novità.
Si parta dal presupposto che la normativa italiana in tema, pur tra le prime introdotte in Europa[8], si è a lungo confrontata con importanti rilievi critici. Da un lato, l’art. 46 d.lgs. 198/2006, versione previgente, circoscriveva l’obbligo di reporting biennale alle aziende con più di 100 dipendenti, quindi con soglia occupazionale più alta di quella raccomandata dalla Commissione europea (ma più bassa di quella indicata nella proposta di direttiva). Dall’altro, i dati sulle retribuzioni ivi richiesti erano molto aggregati e non consentivano un’analisi dettagliata delle differenze rispetto ai singoli elementi. Come specificato nel d.m. 3.5.2018, a dover essere indicato, infatti, era solo il monte retributivo annuo lordo, con distinzione, per ogni categoria e livello di inquadramento, tra quello complessivamente erogato all’insieme dei dipendenti e quello corrisposto al solo personale femminile. Tale ammontare era comprensivo di tutti gli elementi retributivi, inclusi gli straordinari, le indennità, i premi e le mensilità aggiuntive.
Varie sono state le proposte di legge presentate negli ultimi anni con l’obiettivo di superare le criticità evidenziate.
Molte di esse, tra cui quella di iniziativa Cnel, sono confluite nel testo della l. 162/21 [9].
La legge di riforma affronta il tema della parità di genere in una prospettiva più ampia di quella retributiva, pur compresa.
Richiederà, ad esempio, un’attenta riflessione la modifica apportata all’art. 25 del d.lgs. 198/06, disposizione che definisce la discriminazione nell’ambito del Titolo sulle pari opportunità tra uomo e donna nel lavoro. In particolare, la modifica apportata all’ultimo comma della disposizione, il 2-bis, correlato alla questione dei carichi di cura.
Già rispetto alla versione previgente, datata 2010, ci si poteva porre alcuni interrogativi, osservando la commistione, all’interno della stessa disposizione, tra la definizione di discriminazione di genere e discriminazioni connesse non soltanto allo stato di gravidanza, che sono intrinsecamente di genere, ma anche più in generale allo stato di maternità e paternità. Peraltro specularmente, nel Testo unico d.lgs. 151/01 si prevede una disposizione analoga, all’art. 3, che qualifica espressamente queste tipologie di trattamenti come discriminazioni per ragioni connesse al sesso.
Ci si poteva porre alcuni interrogativi perché laddove si parla di stato di maternità e paternità, il fattore di rischio si può ritenere sia la genitorialità, non il genere, per quanto la tutela del padre operi a vantaggio di una redistribuzione dei ruoli e quindi anche di pari opportunità tra uomini e donne sul lavoro. Ciò diventa palese nel contesto di coppie omogenitoriali, dove la questione della tutela del genitore nella fruizione dei congedi di cura dei figli prescinde del tutto dal tema della differenza di genere, agganciando eventualmente la questione della discriminazione per orientamento sessuale come testimoniato dal caso ATS Milano, deciso dal Tribunale di Milano con sentenza del 12/11/2020.
In tal senso, ci si poteva chiedere quanto l’ultimo comma dell’art. 25 consentisse di affrancare l’accertamento di una discriminazione connessa all’utilizzo di congedi di cura dei figli – come quelle che si possono verificare, ad es., quando la distribuzione dei premi di produttività si basa sul criterio della presenza – dalla prova, anche statistica, dell’impatto differenziato a svantaggio delle donne. In altre parole, in base all’art. 25 d.lgs. 198/06 (o art. 3 d.lgs. 151/01), la riduzione del premio sarebbe da ritenere una discriminazione non tanto perché a subirla sono in stragrande maggioranza le donne, quanto per il fatto che a subirla siano i lavoratori a causa del loro stato di maternità o paternità, ossia a causa del loro stato di genitorialità.
L’ambiguità o complessità normativa dell’art. 25 ora è ulteriormente incrementata, dal momento in cui nella lista dei fattori individuati per integrare una fattispecie di discriminazione nel contesto delle pari opportunità di genere sono inclusi, oltre allo stato di maternità o paternità, anche l’età anagrafica, le esigenze di cura personale e non solo familiare, e questo innesca una pericolosa e difficile commistione tra la disciplina prevista per il fattore genere e quella prevista per altri fattori, come ad esempio l’età e la disabilità.
Rispetto al tema che ci occupa, ossia la trasparenza retributiva, la l. 162 risponde ai rilievi critici avanzati nei confronti della versione previgente dell’art. 46 d.lgs. 198/06 abbassando la soglia dell’obbligo di reporting ai 50 dipendenti (con possibilità di presentazione volontaria per le aziende sotto-soglia) e richiedendo, tra i vari profili, che il rapporto, secondo le indicazioni che saranno fornite con decreto ministeriale, scorpori i dati sulle componenti accessorie del salario, sulle indennità anche collegate al risultato e sui bonus.
Al riguardo, si consenta di evidenziare come l’eventuale implementazione della nuova direttiva europea sulla trasparenza retributiva richiederebbe un ulteriore intervento sul versante dei report biennali, a integrazione di quanto già meritoriamente introdotto.
Come si è visto, infatti, la proposta di direttiva prevede diritti individuali di informazione e un sistema di valutazione congiunta con i rappresentanti dei lavoratori, all’emergere di un differenziale sentinella che il datore non riesca a giustificare sulla base di fattori oggettivi e neutri sotto il profilo del genere.
Questi diritti di informazione e obblighi di confronto sono molto importanti, perché, da un lato, il dato aggregato delle retribuzioni, per quanto distinto tra elementi fissi e accessori, non permette una lettura immediata del differenziale, se non incrociato con altri dati, come ad esempio il numero di occupati e di part-time per livello. Dall’altro, il dato che può emergere anche da una lettura incrociata risulta comunque un dato medio, che può fornire dei primi segnali sentinella ma non riesce necessariamente a restituire la portata del problema e a segnalarne le cause.
A incentivazione della trasparenza e delle buone prassi, la l. 162 prevede, altresì, con inserimento dell’art. 46-bis, che a decorrere dal 1° gennaio 2022 sia istituita la certificazione della parità di genere, riconosciuta alle aziende che, sempre sulla base di indicazioni che saranno fornite tramite decreto ministeriale, presenteranno determinati parametri minimi con particolare riferimento alla retribuzione corrisposta, alle opportunità di progressione in carriera e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Alle aziende private che, alla data del 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento, siano in possesso della certificazione della parità di genere saranno riconosciuti uno sgravio dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, punteggi premiali per la valutazione, da parte di Autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, di proposte progettuali ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti, nonché criteri premiali nei bandi di gara, negli avvisi o negli inviti delle pubbliche amministrazioni relativi a procedure per l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere.
Questa novità si colloca nel solco tracciato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR – Recovery Plan), che ha indicato tra le riforme da adottare proprio l’istituzione di un sistema di certificazione della parità di genere (anche retributiva) (cfr. Gottardi 2021a). Specificamente, l’«Investimento 1.3» prevede sia definito un Sistema nazionale di certificazione che accompagni e incentivi le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il gap di genere in tutte le aree maggiormente “critiche” (opportunità di crescita in azienda, parità salariale a parità di mansioni, politiche di gestione delle differenze di genere, tutela della maternità). Tre sono gli step dell’intervento: la definizione del sistema di certificazione e del meccanismo premiante da parte di uno specifico Tavolo di lavoro istituito presso il Dipartimento Pari Opportunità; la creazione di una piattaforma di raccolta di dati disaggregati per genere e di informazioni sulla certificazione, nonché dell’albo degli enti accreditati; l’attivazione del sistema di certificazione a partire dal Q2 2022. Si specifica che il sistema sarà aperto a tutte le imprese (anche micro) e nella fase sperimentale (fino al Q2 2026) la certificazione sarà agevolata per le pmi e accompagnata da servizi dedicati e assistenza.
Da segnalare, nel frattempo, la specifica rilevanza attribuita al rapporto di cui all’art. 46 d.lgs. n. 198/2006 – o comunque alla presentazione di una relazione di genere per gli operatori economici con un numero di dipendenti compreso tra 15 e 100 – nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici PNRR e PNC (art. 47 d.l. n. 77/2021, conv. l. n. 108/21).
Marco Peruzzi, prof. associato dell’Università di Verona
Riferimenti bibliografici
Ballestrero, M. V. (1992), Legislation in Italian Equality Law Act 125 of 10 April 1991 (the Positive Action Act), in ILJ, p. 152 ss.
Burri S. (2019), National cases and good practices on equal pay, Luxembourg: Publications Office of the European Union.
De Simone G., Rivara, A. (2007), Italy, in Prechal S., Burri S., van Seggelen I., de Graaff G. (a cura di), Legal Aspects of the Gender Pay Gap. A Report by the Commission’s Network of Legal Experts in the Field of Employment, Social Affairs and Equality between Men and Women. Luxembourg: Publications Office of the European Union, p. 53 ss.
Gottardi D. (2021a), Recovery Plan e lavoro femminile, in DLM, p. 261.
Gottardi D. (2021b), Giustizia retributiva e trasparenza, in Studi in Memoria di Massimo Roccella, ESI, in corso di pubblicazione.
Gottardi D., Peruzzi M., a cura di (2018), Differenziali retributivi di genere e contrattazione collettiva. Risultati del progetto europeo «Close the deal, fill the gap», Giappichelli.
Torbus U., Conley H. (2019), Transparency and the GPG, in Conley H., Gottardi D., Healy G., Mikołajczyk B., Peruzzi P. (a cura di), The Gender Pay Gap and Social Partnership in Europe. Findings from “Close the Deal, Fill the Gap”, Routledge, p. 145 ss.
Veldman A. (2017), Pay transparency in the EU. A legal analysis of the situation in the EU Member States, Iceland, Liechtenstein and Norway,Luxembourg: Publications Office of the European Union.
[1] Commissione europea, Proposta di direttiva volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza delle retribuzioni e meccanismi esecutivi, Bruxelles, 4.3.2021 COM(2021) 93 final.
[2] Cfr. European Commission, Equal Pay. Overview of landmark case-law of the Court of Justice of the European Union, Luxemburg, 2019.
[3] Commissione europea, Raccomandazione 7 marzo 2014 sul potenziamento del principio della parità retributiva tra donne e uomini tramite la trasparenza, 2014/124/UE.
[4] Commissione europea, Relazione sull’attuazione della raccomandazione della Commissione sul potenziamento del principio della parità retributiva tra donne e uomini tramite la trasparenza, Brussels, 20.11.2017, COM(2017) 671 final; cfr. Veldman 2017.
[5] Gesetz zur Förderung der Transparenz von Entgeltstrukturen, BGBl, Nr. 44, vom 5.7.2017 (www.bgbl.de).
[6] Cfr. Commission staff working document, Evaluation of the relevant provisions in the Directive 2006/54/EC implementing the Treaty principle on ‘equal pay for equal work or work of equal value’, Brussels, 5.3.2020, SWD(2020), 50 final, 13 ss.; Burri 2019. Criticità rispetto al grado di effettività della normativa sono evidenziate anche dal governo federale tedesco in un report pubblicato a febbraio 2020 (Report by the Federal Government on the effectiveness of the Act to Promote Transparency in Wage Structures among Women and Men, www.bmfsfj.de).
[7] Nella relazione accompagnatoria, si spiega che «la Commissione ha esaminato le modalità per semplificare e ridurre gli oneri, in particolare per le imprese di piccole dimensioni. Le misure contenute nella presente proposta, basate sulle prassi nazionali nell’UE e altrove, sono intese a rafforzare il diritto alla parità retributiva limitando nel contempo i possibili costi e oneri e tenendo conto della difficile situazione economica nell’UE a causa della pandemia di COVID-19. La proposta tiene quindi conto del principio di proporzionalità. In particolare, dato il potenziale sforzo richiesto per raccogliere e comunicare le informazioni sulle retribuzioni, l’obbligo di presentare relazioni si applica solo ai datori di lavoro con almeno 250 lavoratori» (p. 9).
[8] Cfr. ex multis Ballestrero 1992; De Simone, Rivara, 2007.
[9] Il disegno di legge, che ha visto come Relatrice l’on. Gribaudo, unificava in un unico testo i disegni C 522, C.615, C.1320, C.1345, C.1675, C.1732, C.1925, C.2338, C.2424, C. 2454.