nota di redazione a cura di Maura Ranieri
La giudice meneghina è chiamata a decidere sul caso di una lavoratrice assunta con contratto di lavoro somministrato a tempo parziale e determinato quale addetta all’appalto del servizio di pulizia di uno stabile cui, a seguito dell’intervenuto stato di gravidanza, non viene rinnovato il contratto.
L’individuazione del fattore protetto, così come la qualificazione della fattispecie discriminatoria non pongono particolari problemi e sono agevolmente affrontati nella pronuncia attraverso il richiamo delle disposizioni nazionali ed europee di riferimento (in specie art. 25 del d. lgs. 11 aprile 2006, n. 198 e direttiva 2006/54/Ce).
La decisione, invece, merita segnalazione sul piano probatorio posto che la giudice ha riconosciuto la sussistenza di una discriminazione diretta a fronte, in sostanza, di una mail in cui la società, appreso dalla lavoratrice della sopravvenuta gravidanza, preannunciava il mancato rinnovo del contratto (per di più in un contesto ove i contratti a termine erano di breve durata e rinnovati all’ultimo momento, sulla base delle richieste dell’utilizzatore) e del dato statistico emerso, vale a dire un rinnovo contrattuale garantito a due lavoratrici su cinque, esclusa la ricorrente.
La giudice motiva questa scelta valorizzando le norme sulla attenuazione del regime probatorio (rispettivamente art. 19 direttiva 2006/54/Ce e art. 40 d. lgs. 11 aprile 2006, n. 198) e l’interpretazione resa a livello europeo e nazionale. Così, secondo una recente Cassazione, la normativa vigente introduce “un’attenuazione del regime probatorio ordinario in favore della parte ricorrente […] tenuta solo a dimostrare una ingiustificata differenza di trattamento o anche solo una posizione di particolare svantaggio dovute al fattore di rischio […] in termini tali da integrare una presunzione discriminatoria”, mentre spetterà al datore di lavoro “dimostrare le circostanze inequivoche, idonee ad escludere, per precisione gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria della condotta” (Cass. 3 febbraio 2023, n. 3361).
Infine, sul piano sanzionatorio il decreto accoglie la richiesta di risarcimento del danno, stante l’esaurimento della situazione sostanziale che non rende possibile disporre la cessazione del comportamento illegittimo: da questo punto di vista il giudice ha considerato che il “bene della vita” perso dalla ricorrente per effetto della discriminazione non era la proroga (tanto è vero che non tutti i dipendenti addetto al medesimo appalto erano stati prorogati), ma la possibilità di essere “valutata”, come gli altri dipendenti, ai fini di una eventuale proroga; ha quindi qualificato il danno come “perdita di chances”, quantificandolo nel 50% della retribuzione percepita dai dipendenti prorogati, detratto l’aliunde perceptum.
Maura Ranieri, prof.ssa associata di diritto del lavoro presso l’Università “Magna Graecia” di Catanzaro