Ci eravamo già occupati della vicenda del licenziamento della lavoratrice, ceduta quando ancora in prova ad altro datore di lavoro, il cui rapporto era stato bruscamente interrotto da parte del datore di lavoro cedente, di cui era ancora formalmente dipendente, dopo aver comunicato al cessionario l’intenzione di voler posticipare l’inizio del congedo obbligatorio.
In particolare, numerose perplessità erano state sollevate sulle argomentazioni del giudice di prime cure (Trib. Bologna 13.9.2023, su cui si rinvia al commento critico di Stefania Scarponi, Licenziamento della lavoratrice in gravidanza al termine del periodo di prova, in https://www.italianequalitynetwork.it/licenziamento-della-lavoratrice-in-gravidanza-al-termine-del-periodo-di-prova-t-bologna-rg-717-23/), che aveva respinto il ricorso affermando che la telefonata della dipendente alla società cessionaria non avrebbe provato la conoscenza dello stato di gravidanza anche da parte del datore cedente e che avrebbe prevalso dunque la condizione di libera recedibilità, tipica del periodo di prova.
In maniera più opportuna e convincente, la Corte d’Appello di Bologna, con la sentenza dell’11 aprile 2024, ribalta tale prospettiva, in ragione della formulazione dell’art. 54, comma 2, d.lgs. n. 151/2001, che, pur consentendo il recesso datoriale durante il periodo di gravidanza in ipotesi eccezionali come l’esito negativo della prova, mantiene però fermo il divieto di discriminazione e, per conseguenza, anche il riparto dell’onere probatorio, secondo l’art. 40 del Codice delle pari opportunità.
Se, dunque, la lavoratrice ha fornito indizi precisi e concordanti alla presunzione di discriminazione – la comunicazione dello stato di gravidanza al datore di lavoro subentrante, l’assenza di episodi di insoddisfazione datoriale e persino la proposta di prosecuzione del rapporto, al termine della prova con altra società – la corretta applicazione della regola dell’alleggerimento dell’onere comporta che sia il datore a dover dimostrare non solo l’(asserita) ignoranza dello stato di gravidanza della dipendente, ma più ancora le ragioni del mancato superamento della prova. In assenza di alcuna spiegazione su entrambi i profili, il recesso non può che essere dichiarato illegittimo e, trattandosi di un rapporto a tempo determinato, sanzionato con un indennizzo economico, che nel caso di specie, include anche il danno non patrimoniale, fissato in misura pari alla retribuzione perduta.
Giuseppe Antonio Recchia, professore associato dell’Università di Bari