La scelta di alcune amministrazioni comunali di “disincentivare” la presenza di stranieri mediante l’incremento della tassa sulla idoneità alloggiativa era già giunta all’attenzione dei giudici lombardi con esiti identici a quelli di cui alla ordinanza qui pubblicata (cfr. Trib. Bergamo 6.8.14 est. Carli, ASGI c. Comune di Bolgare; Corte Appello Brescia 25.2.2019, pres. Pianta, rel. Tulumello, entrambe in www.asgi.it).
Già in queste prime pronunce, questo piccolo “filone” giurisprudenziale risultava meritevole di attenzione sotto vari profili. In primo luogo per l’applicazione della nozione di discriminazione indiretta, posto che il certificato di idoneità alloggiativa non è di per sé riservato, sul piano normativo, ai soli cittadini stranieri, ma di fatto gli stranieri ne sono gli unici fruitori in quanto trattasi di documento indispensabile per attivare (in particolare) il procedimento di ricongiungimento familiare ex art. 29 TU immigrazione. In secondo luogo per la difficoltà di individuare il tertium comparationis senza debordare in una eccessiva intromissione nella discrezionalità amministrativa: il ricorrente aveva cioè l’onere di dimostrare, se pure nei limiti del giudizio antidiscriminatorio, che l’aumento della tassa sul certificato era sproporzionato rispetto al costo di certificati analoghi, potendo a tal fine fare riferimento, sul punto, ad una vicenda del tutto analoga come quella dell’incremento della tassa sui permessi di soggiorno, per la quale la CGUE (sentenza 2.9.2015 C-309/14) e poi i giudici civili investiti da azioni antidiscriminatorie[1] avevano utilmente fatto riferimento al costo di un documento analogo come la carta di identità rilasciata al cittadino italiano.
La pronuncia qui commentata si segnala invece per un dato di ordine processuale relativo al piano di rimozione: il giudice, benché l’azione fosse stata promossa da singoli cittadini stranieri, ha ritenuto di poter adottare un piano di rimozione riguardante la collettività interessata, ordinando al Comune la restituzione dell’importo pari all’illegittimo incremento a tutti gli stranieri (anche non ricorrenti) che nel periodo di vigenza dell’ordinanza comunale avessero dovuto sobbarcarsi l’onere aggiuntivo.
In effetti l’art. 28, comma 5, d.lgs. 150/11 non sembra vincolare l’adozione del piano di rimozione alla sola azione collettiva; anzi, precisando all’ultimo periodo che “Nei casi di comportamento discriminatorio di carattere collettivo, il piano è adottato sentito l’ente collettivo ricorrente” presuppone appunto che il piano di rimozione possa essere adottato anche su ricorso di persone fisiche ; il che però non chiarisce se, in questi casi, stante la finalità di “impedire la ripetizione della discriminazione”, il piano debba comunque riguardare eventuali situazioni future relative comunque a colui che ha proposto ricorso (ad esempio, nella vicenda in esame, le future domande di certificazione di idoneità alloggiativa proposte dai medesimi ricorrenti) o possa riguardare la collettività di coloro che si sono trovati o si troveranno nella medesima situazione. Il Tribunale di Bergamo opta correttamente per questa seconda ipotesi, il che pare coerente con l’attribuzione al giudice di una sorta di “potere d’ufficio” volto a garantire al massimo grado il ripristino della parità di trattamento (anche nell’interesse comune di evitare la moltiplicazione del contenzioso), pur nel rispetto del principio della domanda e del vincolo imposto dall’art. 100 cpc.
Resta però da considerare in che modo lo straniero-non-ricorrente possa far valere la pronuncia nei propri confronti per chiedere e ottenere la restituzione dell’importo dovuto in forza della pronuncia emessa in un giudizio al quale non ha partecipato e rispetto al quale non potrà ottenere una copia esecutiva dell’ordinanza per procedere direttamente all’esecuzione forzata. Dovrà dunque agire nuovamente (eventualmente in via monitoria) per ottenere un titolo in suo favore facendo valere eventualmente, nel nuovo procedimento, il giudicato formatosi nel precedente giudizio, i cui effetti tuttavia – pur assistiti dalla peculiare forza attribuita agli ordini in materia di discriminazione dall’art. 44, comma 4, TU immigrazione – potrebbero rivelarsi ex art. 2909 c.c. non vincolanti per chi non aveva partecipato al precedente giudizio, attenuando fortemente, proprio nel caso patologico della mancata ottemperanza, l’efficacia del piano di rimozione.
L’intreccio tra diritto antidiscriminatorio e “diritto comune” si rivela cosi, ancora una volta, particolarmente complesso.
Marta Lavanna – avvocata del foro di Torino
[1] Tribunale Milano 8.7.2016 est. Flamini in causa Chamorro e altri c. Ministero dell’Interno, confermata in appello, relativa alla tassa per la domanda di rinnovo o rilascio del permesso di soggiorno, in www.asgi.it; cfr. anche Trib. Lecco 14.10.2020, est. Boerci, in www.cgil.lombardia.it.