In Groff, una unanime Corte Suprema ha stabilito che il datore di lavoro deve accomodare ragionevolmente le richieste su base religiosa avanzate dal lavoratore, a meno che questo non implichi un onere eccessivo, alla luce dell’organizzazione d’impresa. Il giudice deve applicare il suddetto standard, tenendo in considerazione tutti i pertinenti elementi fattuali, tra i quali la natura, la grandezza dell’impresa e i costi. Con tale decisione, la Corte Suprema ha di fatto accantonato, pur formalmente non dichiarandolo superato, il precedente Hardison secondo cui un datore di lavoro, laddove sia chiamato a soddisfare una pretesa a base religiosa del lavoratore, è tenuto a sopportare solo un costo minimo.
Comparative and supranational law
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L’Autrice esamina il ruolo svolto dalle norme internazionali del lavoro adottate dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) e dalle pronunce degli organi di supervisione dell’OIL nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia di discriminazione. Il contributo si conclude con una riflessione sui vantaggi, e le relative ragioni, dell’integrazione di tali fonti nel processo decisionale della Corte di Strasburgo e nell’interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
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L’Autrice ricostruisce gli standard nazionali e sovranazionali inerenti al riconoscimento della bigenitorialità per le coppie di genitori dello stesso sesso, alla luce anche dei principi del best interest of the child e alla continuità degli status familiari.
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Il contributo analizza l’ordinanza del 15 aprile 2022 pronunciata dal Tribunale di Ferrara sezione Lavoro, con la quale viene accolto il ricorso ex art. 28 d. lgs. 150/2011 con cui venivano fatte valere simultaneamente due distinte azioni relativamente all’obiezione di coscienza al porto ed uso dell’arma da parte di agenti di polizia. Esaminati i principali passaggi motivazionali della pronuncia, l’autrice si interroga infine sulle ricadute che potrebbe avere sulla nozione di discriminazione per opinioni personali, così come affermatasi nella giurisprudenza del giudice nazionale, la sentenza del 13 ottobre 2022 C-344/20 L. F. contro S.C.R.L. della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, per la quale l’espressione religione o convinzioni personali contenuta nell’art. 1 della Direttiva 2000/78/CE costituisce un solo ed unico motivo di discriminazione, comprendente tanto le convinzioni religiose quanto le convinzioni filosofiche e spirituali.
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Il contributo analizza i principali snodi motivazionali della sentenza del 17 novembre 2022 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Con questa pronuncia è stata accertata l’incompatibilità del limite anagrafico, previsto dall’art. 3, co. 1, del d.lgs. 334/2000, ai fini della partecipazione al concorso pubblico indetto per l’assunzione di commissari della Polizia di Stato, con le disposizioni della dir. 2000/78.
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Per la Corte di giustizia il lavoratore autonomo non può essere escluso da un rapporto di collaborazione in atto a causa del suo orientamento sessuale, né tale orientamento può essere la ragione per il mancato rinnovo del contratto di lavoro.
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La presente rubrica si propone di fornire informazioni periodiche circa l’evoluzione della giurisprudenza CEDU in materia di diritto antidiscriminatorio. Come noto le disposizioni interessate sono l’art. 14 della Convenzione, che prevede il divieto di discriminazione nel godimento dei diritti garantiti dalla stessa Convenzione, ed il protocollo 12 art. 1 (generale divieto di discriminazione). Quest’ultimo ha spettro applicativo più ampio (facendo riferimento al godimento di qualsiasi diritto previsto dalla legge), ma è stato ratificato da un numero ristretto di Stati, di cui non fa parte l’Italia.
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La presente rubrica si propone di fornire informazioni periodiche circa l’evoluzione della giurisprudenza CEDU in materia di diritto antidiscriminatorio. Come noto le disposizioni interessate sono l’art. 14 della Convenzione, che prevede il divieto di discriminazione nel godimento dei diritti garantiti dalla stessa Convenzione, ed il protocollo 12 art. 1 (generale divieto di discriminazione). Quest’ultimo ha spettro applicativo più ampio (facendo riferimento al godimento di qualsiasi diritto previsto dalla legge), ma è stato ratificato da un numero ristretto di Stati, di cui non fa parte l’Italia.
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The Author examines the main differences between the CJEU decisions in the Achibita and WABE cases, both of which relate to neutrality policies pursued by private employers that prohibit employees from displaying religious or political symbols. The A. argues that in the WABE decision, the Court: (1) requires for the neutrality policy to meet a genuine need on the part of that employer, which it is for the employer to demonstrate, taking into consideration the legitimate wishes of those customers or users and the adverse consequences that that employer would suffer in the absence of that policy, given the nature of its activities and the context in which they are carried out; (2) considers that such difference of treatment is appropriate for the purpose of ensuring that the employer’s policy of neutrality is properly applied, entailing such policy to be pursued in a consistent and systematic manner; (3) requires that the prohibition on displaying religious or political symbols is limited to what is strictly necessary having regard to the actual scale and severity of the adverse consequences that the employer is seeking to avoid by adopting that prohibition.
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This paper examines the WABE judgment of the Court of Justice. The Author finds in the ruling a greater leeway awarded to national courts in balancing fundamental freedoms, while respecting the standards of equality set by EU law. Moreover, in the proportionality assessment, the relevance of freedom of enterprise to justify neutrality policies is decreased: such freedom prevails over the workers’ religious freedom only when, in the absence of a neutrality policy, the employer would suffer economic damages that must however be demonstrated. If such negative consequences are not proven, the neutrality policy is not objectively justified.