Continua la infinita querelle tra le Alte Corti (e non solo) sulla questione disapplicazione/controllo accentrato. Dopo che le sentenze della Corte Costituzionale 11.3.2022 n. 67 e 12.2.2024 n. 15[1] sembravano aver dato alla vicenda un assetto definitivo, i giochi sono stati riaperti dall’ordinanza della Cassazione, sezione lavoro, 8.3.2023 in tema di assegno sociale agli stranieri. Questa, motivando col tradizionale argomento del “cumulo” di più violazioni (quelle del diritto dell’Unione e quelle di norme costituzionali) ha sollevato eccezione di costituzionalità per violazione di una norma UE di diritto derivato e in particolare per violazione di un obbligo di parità di trattamento previsto dalla direttiva 2011/98 (art. 12); ottenendo però non una pronuncia di costituzionalità o incostituzionalità, ma un ulteriore rinvio dalla Consulta alla CGUE al fine di avere da Lussemburgo la corretta interpretazione del predetto art. 12 (ordinanza 27.2.2024 n.29,[2]).
Ora la questione viene ulteriormente complicata dall’ordinanza della Cassazione n. 9059 del 5.4.2024.
I giudici di legittimità erano chiamati a decidere un ricorso della Provincia Autonoma di Trento contro la decisione dei giudici trentini che, sia in primo che in secondo grado, avevano accolto la domanda di una associazione rappresentativa dei cittadini extra UE disapplicando, in quanto indirettamente discriminatoria, la norma di legge provinciale che prevedeva – sia per l’accesso agli alloggi pubblici, sia per l’accesso a una prestazione (alternativa) di sostegno al pagamento del canone – il requisito di 10 anni di residenza in Italia in aggiunta al requisito di tre anni di residenza nella Provincia.
La Corte è ben ferma nel ritenere che la previsione in esame è in contrasto sia con l’art. 3 Cost., sia con l’art. 117, primo e quinto comma Cost (questi ultimi in riferimento all’art. 11 Direttiva 2009/103) e per questo solleva appunto l’incidente di costituzionalità. Tuttavia ritiene, in contrasto con i giudici di merito, che tale ultimo contrasto non possa dar luogo a disapplicazione.
Ora, se ci si dovesse attenere alla sentenza Corte Cost. n. 15/24 citata, l’opzione sarebbe convincente perché anche nel caso in esame, si è in presenza di una norma secondaria esattamente riproduttiva di una norma di legge e dunque si è in una situazione in cui – per usare le parole della Corte Cost. – l’attività discriminatoria è ascrivibile alla PA “solo in via mediata”, sicchè il Giudice comune non può ordinare la modifica dell’atto amministrativo senza aver previamente sollevato l’incidente di costituzionalità.
La particolarità della vicenda risiede tuttavia nel fatto che la Cassazione non ha affatto intrapreso l’iter argomentativo indicato dalla sentenza n.15 (l’udienza di discussione si è peraltro tenuta prima del deposito di quest’ultima) e ha motivato “l’impossibilità” di accedere alla disapplicazione con argomenti che lasciano fortemente perplessi.
In primo luogo la Corte sembra tornare sull’argomento secondo il quale il diritto dell’Unione non disciplina nel merito il sistema di sicurezza sociale dei Paesi dell’Unione il che, sembra di capire, farebbe venir meno i requisiti per la diretta applicabilità: dimenticando che identico argomento era già stato sollevato nelle due ordinanze 8.4.2021 in materia di ANF alle quali ha replicato la Corte Costituzionale con la sentenza 67/2022; laddove è affermato che se è ben vero che l’ordinamento dell’Unione non disciplina il sistema di sicurezza, purtuttavia disciplina gli obblighi di parità di trattamento: e alla violazione di tali obblighi il giudice comune deve porre rimedio, non sollevando questione di costituzionalità, ma attribuendo ai soggetti discriminati il medesimo trattamento attribuito ai soggetti favoriti dalla discriminazione. Sicchè l’assenza di un sistema unitario di sicurezza sociale non è affatto di ostacolo all’efficacia diretta del diritto derivato laddove impone la parità di trattamento; sicchè lo stesso deve valere per la parità di trattamento nell’accesso agli alloggi.
In secondo luogo, la Corte accenna al fatto che il requisito è richiesto indifferentemente a italiani e lungosoggiornanti (la legge provinciale prevede che alle prestazioni in questione accedano solo i titolari di permesso di lungo periodo, sicchè l’unica direttiva che viene in gioco è appunto la n. 2003/109) e costituisce dunque, in ipotesi, una discriminazione indiretta: ma appurato ciò conclude rapidamente che “l’opzione per la disapplicazione non appare convincente”. Dal che sembra doversi dedurre, pur nella brevità della motivazione, che gli obblighi di parità di trattamento previsti in sede UE non sarebbero mai suscettibili di diretta applicazione allorchè sono violati mediante una discriminazione indiretta: conclusione che non è supportata da alcun dato normativo.
Infine la Corte motiva con il fatto che il requisito “consegue al recepimento” delle norme sul reddito di cittadinanza (in effetti la norma provinciale dichiara di voler applicare i requisiti di cui al DL 4/19) “non attinto -dice la Corte – da alcuna valutazione di incompatibilità con la legislazione eurounitaria o di illegittimità costituzionale” : sennonché era certamente ben noto alla Corte che i giudizi sul punto sono in corso avanti entrambe le Corti (anzi, il primo si concluderà il 29.7.2024 con il deposito della sentenza riguardante proprio i titolari di permesso di lungo periodo) ed era altrettanto chiaro alla Corte che, a prescindere da tali giudizi, il contrasto con la direttiva andava vagliato con riferimento alle prestazioni di cui si tratta, a prescindere da norme analoghe che la Provincia abbia ritenuto di “recepire”.
La Consulta si troverà quindi di fronte all’interrogativo se correggere d’ufficio la motivazione al fine di concludere per la rilevanza. In ogni caso, la scelta di rivolgersi a Roma anziché a Lussemburgo, in quanto accompagnata da una motivazione cosi claudicante, difficilmente segnerà un punto a favore del “controllo accentrato”: sicché la partita rimane aperta.
La Redazione
[1] In questo sito con nota redazionale : https://www.italianequalitynetwork.it/sentenza-n-15-del-23-11-2023-della-corte-costituzionale-nota-redazionale/
[2] In questo sito, con nota redazionale https://www.italianequalitynetwork.it/la-corte-costituzionale-rinvia-alla-corte-di-giustizia-la-esclusione-dei-titolari-di-permesso-unico-lavoro-dallassegno-sociale/