L’autore rileva che la suddivisione dei poveri in una infinità di sottocategorie – già avviata dalla legge istitutiva dell’Assegno di inclusione (DL 48/2023) e portata all’eccesso dal D.M. del Ministero del Lavoro del 13.12.2023 – contrasta con la necessaria universalità delle prestazioni di contrasto alla povertà e, per i cittadini di paesi non-UE, crea contraddizioni insanabili con i requisiti del permesso di lungo periodo e della pregressa residenza quinquennale.
Alberto Guariso
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L’autore esamina le disposizioni contenute nei primi 12 articoli del cd “decreto lavoro” n. 48/2023 relative all’assegno di inclusione e del “supporto per la formazione e il lavoro”, rilevando i punti di contrasto con il criterio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. e, per quanto riguarda l’accesso alle prestazioni dei cittadini extra UE, anche con il diritto dell’Unione.
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L’autore ricostruisce brevemente i precedenti che hanno condotto ad una nuova affermazione della illegittimità di requisiti di lungo residenza nell’accesso agli alloggi pubblici, sottolienando in particolare i passaggi della Corte sul rapporto tra controllo di ragionevolezza e controllo di uguaglianza.
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L’Autore esamina l’eccezione di incostituzionalità sollevata dalla Cassazione con riferimento alla esclusione dei cittadini extra UE titolari di permesso unico lavoro dalla prestazione “assegno sociale”; la disamina considera sia il rapporto con la precedente sentenza n.50/2019, che aveva escluso un contrasto tra detta esclusione e il diritto dell’Unione, sia il tema della “doppia pregiudizialità” che la Cassazione risolve privilegiando “in prima battuta” la questione di costituzionalità rispetto al rinvio pregiudiziale.
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L’Autore ricostruisce la vicenda delle norme regionali della Regione Friuli Venezia Giulia in tema di accesso degli stranieri agli alloggi di edilizia pubblica e ai contributi pubblici per la locazione o l’acquisto. La vicenda è particolare per la resistenza opposta dalla Regione alle pronunce giudiziarie e perché evidenzia la funzione del diritto antidiscriminatorio nel correggere le decisioni di assemblee elettive quando queste siano in contrasto con norme di tutela delle componenti più deboli della società.
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L’entrata in vigore, quasi in contemporanea, della legge europea 2019/2020 e delle norme sull’assegno unico universale ha decretato la fine della limitazione delle prestazioni sociali ai soli stranieri titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo; al contempo ha aperto nuove contraddizioni, che vengono esaminate nell’articolo. Numerose categorie di stranieri restano infatti ancora oggi esclusi sia dalla prestazione “universale” di famiglia, sia dalle altre prestazioni sociali.
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La legge europea 2019/2020 ha aggiunto il fattore “nazionalità” ai fattori di discriminazione vietati contenuti nel d.lgs. 216/03 – attuativo della direttiva 2000/78 – ed ha esteso il campo di applicazione di quest’ultimo al di là dell’ambito lavorativo che costituiva l’originario settore di applicazione di tale direttiva.
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L’autore segnala la rilevanza della sentenza commentata (Corte Giust. UE, 28.10.2021, C-462/20), sia perché riguarda l’accesso dei cittadini extra UE a beni e servizi a disposizione del pubblico, che è problema poco considerato dalla giurisprudenza, sia perché considera analiticamente il significato delle clausole di parità di trattamento in materia sociale contenute nelle direttive relative ai titolari di permesso unico lavoro, di permesso di lungosoggiorno, di permesso per protezione internazionale e di carta blu.
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Commento alla sentenza della Corte di Giustizia 10.6.2021 KV in tema di parità di trattamento per i cittadini di paesi terzi lungosoggiornanti e prestazioni essenziali.