Family allowance (ANF) for family members residing abroad: the uncertain end of discrimination
di Laura Ricci
L’ Autrice esamina le nuove problematiche relative al riconoscimento ed erogazione degli ANF per i familiari residenti all’estero di cittadini extra- UE, sorte in seguito all’emanazione della circolare INPS 95 del 2.8.2022, con particolare attenzione alle difficoltà di ordine pratico nel reperire la documentazione richiesta dalla circolare, alla disparità di trattamento in punto di richiesta documentale e ai più recenti orientamenti della giurisprudenza in materia di prova dei requisiti per l’erogazione della prestazione.
The Author examines the new issues related to the recognition and payment of ANF for family members residing abroad of non-EU citizens, which have arisen following the issuance of INPS circular 95 of 8.2.2022, with particular attention to the practical difficulties in finding the documentation required by the circular, to the unequal treatment in point of documentary request, and to the most recent orientations of jurisprudence on the issue of proof of the requirements for the recognition of the benefit.
- ANF: dove eravamo rimasti.
La vicenda che da lungo tempo ha interessato gli assegni per il nucleo familiare (ANF) non è ancora giunta a conclusione, nonostante la prestazione abbia terminato con il 28.2.2022[1] la sua lunga (e abbastanza gloriosa) esistenza.
Come noto, la CGUE, decidendo su rinvio pregiudiziale della Corte di Cassazione[2], con le sentenze gemelle del 25.11.2020 (relative alle cause C-302/19 e C-303/19) ha riconosciuto il contrasto con le direttive europee 2003/109/CE e 2011/98/CE della normativa italiana in materia di ANF, nella parte in cui detta normativa escludeva, per i soli cittadini stranieri, la possibilità di computare nel nucleo familiare i familiari residenti all’estero, che i cittadini italiani potevano invece includere.
Le due sentenze hanno confermato la correttezza delle numerose decisioni di merito che, già negli anni precedenti, avevano accolto i ricorsi presentati da cittadini stranieri titolari di permesso unico lavoro o di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, i quali invocavano, appunto, l’erogazione degli ANF anche in relazione ai familiari residenti all’estero.
Ripreso il giudizio davanti alla Cassazione, questa non ha ritenuto di poter procedere alla disapplicazione della norma nazionale in contrasto con il diritto derivato dell’Unione, ritenendo che solo la dichiarazione di incostituzionalità potesse garantire l’adeguamento del diritto interno a quello eurounitario[3]. La tesi è risultata completamente smentita dalla Corte Costituzionale con la sentenza 11.3.2022 n. 67, ma il passaggio tra le Alte Corti ha dato occasione all’INPS di ritardare ulteriormente l’adeguamento alle sentenze europee, giustificando il differimento con l’attesa della pronuncia della Consulta.
Solamente in seguito a detta sentenza, l’INPS – a oltre 15 anni dalla scadenza del termine per il recepimento delle direttive e a un anno e otto mesi dalle sentenze della CGUE – ha posto (parzialmente) fine alla vicenda con circolare n. 95 del 2.8.2022[4], parificando per italiani e stranieri le modalità di computo del nucleo familiare ai fini degli ANF.
- Gli oneri documentali previsti dalla circolare INPS 95 del 2.8.2022.
Si è aperta così una nuova questione, quella cioè di come verificare legami familiari e situazione reddituale di soggetti residenti all’estero.
Come vedremo subito, la questione – in realtà – non poteva affatto ritenersi una novità, posto che il “nuovo” problema non poteva considerarsi diverso da quello già affrontato per gli italiani con familiari all’estero.
Ma consideriamo prima il contenuto della circolare 95/2022.
Secondo INPS, la documentazione da allegare nell’ipotesi – che si potrebbe definire “base” – di domanda presentata da cittadino straniero con coniuge e figli all’estero, deve attestare i seguenti requisiti:
- lo stato civile del richiedente;
- lo stato di famiglia con l’indicazione dei rapporti di parentela dei componenti il nucleo familiare dichiarato ai fini dell’ANF;
- il legame di parentela (paternità/maternità dei minori, o maggiorenni inabili, componenti il nucleo per i quali si richiede l’ANF);
- i redditi dei familiari prodotti all’estero, espressi in euro, che se fossero prodotti in Italia sarebbero assoggettati al regime italiano dell’imposta sui redditi, per il periodo di riferimento della domanda di ANF;
- l’eventuale situazione di inabilità di uno o più componenti del nucleo.
Il paragrafo 3 della circolare specifica poi le forme che tali documenti devono rivestire. In particolare, l’Istituto – richiamando il D.P.R. n. 445/2000 – ha previsto che siano ritenuti validi solamente i certificati rilasciati da Autorità estere, purché tradotti e legalizzati (o apostillati, in caso di adesione del paese alla Convenzione dell’Aia del 5 ottobre 1961, ratificata con la legge 20 dicembre 1966, n. 1253, relativa all’abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri) da rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all’estero, ovvero i documenti rilasciati da una rappresentanza diplomatica o consolare estera in Italia, purché legalizzati in Prefettura.
Come spesso accade, la rigidità con cui le indicazioni appena richiamate sono applicate nella prassi varia da sede territoriale a sede territoriale: sia con riferimento alle certificazioni attestanti lo stato di famiglia, sia con riferimento a quelle riguardanti i redditi dei familiari residenti all’estero, vi sono Uffici che hanno ritenuto sufficiente la dichiarazione che il familiare è “fiscalmente a carico” del richiedente, altri che accettano una generale dichiarazione di assenza di redditi o di lavoro, altri che richiedono singole dichiarazioni per ciascun anno oggetto di domanda, che quasi nessun paese rilascia.
A queste difficoltà si aggiunge la questione della tempistica: infatti, da un lato il richiedente ha interesse a presentare quanto prima la domanda di prestazione, al fine di interrompere la prescrizione quinquennale prevista dall’art. 23, comma 1, D.P.R. 797/1966 e non perdere il diritto alle mensilità più risalenti; dall’altra, il breve termine di decadenza annuale per l’azione giudiziaria stabilito dall’art. 47, comma 3, D.P.R. 639/1970 comporta il rischio (elevatissimo) di non riuscire a procurarsi la documentazione richiesta per ottenere il riconoscimento del proprio diritto in via amministrativa.
Certo è che, in ogni caso, che l’onere documentale previsto dalla circolare – se applicato letteralmente – può comportare ostacoli notevoli all’accesso alla prestazione, se non addirittura determinare l’impossibilità di vedersi riconosciuto il diritto agli assegni, impedendo di fatto di godere di quei benefici il cui diritto è stato riconosciuto dalle più alte Corti.
2.1 – Le difficoltà di ordine pratico.
La ricerca dei documenti in questione presenta infatti innumerevoli difficoltà pratiche, che meritano di essere brevemente richiamate.
Tali certificati raramente possono essere rilasciati dai Consolati dei Paesi d’origine in Italia, dal momento che le Autorità consolari sovente non hanno la possibilità di accedere a banche dati per la verifica della composizione del nucleo familiare ovvero dell’ammontare dei redditi dei familiari residenti all’estero[5]. Dall’altra parte, negli Stati di provenienza non sempre è presente un’Autorità in grado di attestare i requisiti richiesti da INPS, nei modi prescritti dall’Istituto: spesso, infatti, manca un registro informatico centralizzato presso cui estrarre i dati relativi ad annualità passate, così come mancano dei modelli di certificazioni che attestino i dati richiesti da INPS.
Tra le ulteriori problematiche più comuni, si segnalano le seguenti:
- in molti casi le Autorità estere non rilasciano documentazione attestante l’assenza di redditi dei componenti minorenni del nucleo familiare sulla base del presupposto che i minori, in quanto tali, non producano redditi (è il caso riscontrato, ad esempio, per il Senegal, paese in cui le “attestation de non imposition” e le “attestation de non travail” non vengono rilasciate per i minori);
- nei paesi ove sussistono gravi situazioni di conflitto interno (si pensi all’Afganistan o al Sudan) procurarsi documenti è ovviamente impossibile, ma cionondimeno l’INPS non prevede, quantomeno in via ufficiale, una esenzione dall’onere;
- spesso il nucleo familiare si è poi ricongiunto con il richiedente e non ha più legami con il paese di origine sicché per la ricerca dei documenti il ricorrente dovrebbe recarsi fisicamente in Patria, affrontando costi del tutto sproporzionati;
- le Ambasciate italiane nei paesi d’origine richiedono, solitamente, molti mesi di attesa per la legalizzazione dei documenti ottenuti all’estero.
A fronte delle problematiche appena elencate, l’Istituto non ha tuttavia previsto alcun correttivo per le ipotesi di impossibilità di ottenere la documentazione prescritta, né ha dimostrato – in molti casi – di valutare in modo elastico i certificati presentati[6].
2.2 – Una nuova discriminazione? I precedenti.
Indipendentemente dai profili di oggettiva difficoltà – o impossibilità – sopra descritti, le richieste documentali prescritte dalla circolare INPS pongono nuove questioni giuridiche.
Innanzitutto va rilevato che la questione dell’accertamento del reddito globale di un nucleo, anche con riferimento ai redditi o patrimoni esteri, si è ripetutamente posta in giurisprudenza: si ricorderà, infatti, che già in passato talune amministrazioni locali avevano preteso di escludere i cittadini extra UE dall’accesso a prestazioni sociali, salva la dimostrazione (con documenti analoghi a quelli di cui ora si discute e basandosi sullo stesso D.P.R. 445/00 ora invocato dall’INPS) dei redditi nel paese di origine e di provenienza.
La tesi è stata smentita dalla giurisprudenza di merito (cfr., tra le molte, Trib. Milano, ord. 13.12.2018, est. Di Plotti, in causa ASGI e NAGA c. Comune di Lodi, confermata da C.d.A. Milano, sent. 29.12.2020, est. Vicidomini) ed è poi giunta – se pure sotto il diverso profilo della dimostrazione della “impossidenza” di immobili all’estero ai fini dell’accesso agli alloggi ERP[7] – al vaglio della Corte Costituzionale. Nell’occasione la Consulta, nel dichiarare l’incostituzionalità del diverso regime documentale per italiani e stranieri, ha constatato che le possibilità di controllo delle proprietà all’estero da parte di un italiano o di uno straniero residente in Italia sono assolutamente le medesime e dunque, anche sotto questo profilo, non ha giustificazione la differenza di regimi.
Occorre dunque chiedersi se questi principi, ormai consolidati nella giurisprudenza, possano trovare applicazione anche nella vicenda degli ANF e si vedrà subito che la giurisprudenza maggioritaria si è orientata in questo senso.
Una seconda questione (che potrebbe porsi in via subordinata rispetto alla precedente) riguarda il “documento impossibile”.
Come noto la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 157/2021, ha affrontato il tema delle certificazioni consolari richieste per l’accesso al gratuito patrocinio, censurando l’assenza di un meccanismo che “consenta di reagire alla mancata collaborazione dell’autorità consolare, così bilanciando la necessità di richiedere un più «rigoroso accertamento dei redditi prodotti in Paesi non aderenti all’Unione europea, per i quali è più complesso accertare la veridicità di quanto dichiarato dall’istante, con l’esigenza di non addebitare al medesimo richiedente anche il rischio dell’impossibilità di procurarsi la specifica certificazione richiesta” e dunque la mancata previsione di un correttivo che consenta di superare l’ostacolo creato dalla condotta omissiva, o in generale non collaborativa, dell’autorità consolare[8].
Analoghi principi si ritrovano anche nella seconda parte della citata sentenza Corte Cost. n. 9/2021 riferita all’ipotesi (del tutto diversa da quella qui in esame) del cittadino presente in Italia, ma con residenza fiscale all’estero. Anche con riferimento a tale ipotesi, la previsione regionale esaminata dalla Corte, secondo la quale l’onere di fornire documentazione estera non trova applicazione “«qualora le rappresentanze diplomatiche o consolari dichiarino l’impossibilità di acquisire tale documentazione nel Paese di origine o di provenienza», deve essere interpretata in modo da non far gravare sul richiedente le conseguenze del ritardo o delle difficoltà nell’acquisire la documentazione in parola, ciò che la renderebbe costituzionalmente illegittima in quanto irragionevolmente discriminatoria. Solo assimilando all’«impossibilità di acquisire tale documentazione» anche l’estrema difficoltà di acquisirla ovvero la mancata risposta entro un termine congruo da parte delle autorità competenti, infatti, si può ritenere che al cittadino extracomunitario, al quale per regola non può essere riservato, nei rapporti con l’amministrazione, un trattamento meno favorevole di quello riservato agli altri cittadini, non sia imposto un aggravio procedimentale vessatorio”.
In adesione a tali principi – integrati con quello della leale collaborazione tra amministrazione e cittadino sancito dal comma 2bis art. 1 L. 241/90 – dovrebbe sempre spettare all’amministrazione verificare quali documenti esteri siano effettivamente richiedibili e quali siano del tutto impossibili o estremamente difficili da produrre e modulare quindi le richieste sulla base di tale verifica, disponendo le necessarie limitazioni dell’onere.
2.3. Una nuova discriminazione? Il caso ANF.
Tornando ora al caso al nostro caso, la questione – come anticipato – non poteva considerarsi nuova, perché si pone esattamente negli stessi termini con i quali si poneva in precedenza per i soli cittadini italiani. Come si è detto, infatti, sin dalla introduzione del comma 6bis, art. 2, D.L. 13.3.88 n. 69 (convertito in L. 13.5.88 n. 153) i cittadini italiani potevano e dovevano computare nel nucleo (sia ai fini del calcolo del reddito complessivo, sia ai fini della erogazione dell’ANF) i familiari residenti all’estero: ma le possibilità di controllo sui redditi di questi ultimi erano e sono le medesime di quelle di cui dispone l’erario nei confronti dei cittadini stranieri con familiari residenti all’estero.
Ebbene, come è evidente nel testo della circolare 95 del 2.8.2022, la documentazione prescritta da INPS è richiesta solo nelle ipotesi di domanda presentata da cittadini stranieri con familiari residenti all’estero. Non è invece previsto alcun onere documentale per i cittadini italiani (né per quelli europei) con familiari all’estero, ai quali è riconosciuta la possibilità di autocertificare sia la composizione del nucleo sia i redditi del medesimo [9].
La differenza di trattamento risulta altresì:
– dal modulo telematico predisposto dall’INPS per la domanda di cittadini italiani (modello Anf-Dip);
– dal modello Anf42, che consente al solo cittadino italiano o comunitario di attestare il proprio nucleo familiare mediante la sola “dichiarazione di responsabilità”.
– dalle indicazioni date da INPS in sede di compilazione della domanda di autorizzazione ANF nella sezione “allegati”, dove l’onere documentale è espressamente distinto tra cittadini italiani, cittadini comunitari e cittadini extracomunitari, essendo richiesto solo a questi ultimi di allegare le certificazioni di cui sopra, in luogo della semplice dichiarazione di responsabilità prescritta per i cittadini italiani.
La disparità di trattamento è inoltre divenuta evidente, in alcuni casi, nel diverso trattamento applicato da INPS nei confronti di uno stesso soggetto prima e dopo l’acquisto della cittadinanza italiana: l’Istituto ha infatti richiesto la documentazione prescritta dalla circolare solo con riferimento ai periodi antecedenti l’acquisto della cittadinanza, mentre per i periodi successivi non ha ritenuto necessaria la trasmissione di certificazioni di alcun tipo, reputando sufficienti le autocertificazioni compiute dal richiedente in fase di presentazione delle domande.
Non riconoscere ai cittadini stranieri la stessa possibilità di autocertificare i requisiti per l’accesso alla prestazione – al pari dei cittadini italiani – costituisce, tuttavia, un trattamento differenziato e svantaggioso fondato sulla nazionalità del richiedente. Pare pertanto di essere in presenza di una discriminazione per violazione del diritto alla parità di trattamento fra italiani e stranieri nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, sancito dall’art. 2, comma 5 D.Lgs. 286/98, nonché – tenuto conto degli effetti sostanziali del descritto aggravio procedurale – del diritto alla parità di trattamento nell’accesso alle prestazioni sociali e di sicurezza sociale fra italiani da un lato, e stranieri lungo-soggiornanti o titolari di permesso unico lavoro dall’altro lato, previsto dalle già citate direttive 2003/109 e 2011/98.
Una siffatta prassi determina in molti casi l’impossibilità di accedere alla prestazione in via amministrativa, rendendo pertanto vano l’intervento con cui la Corte di giustizia ha riconosciuto il diritto alla parità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri nel riconoscimento e nell’erogazione degli assegni per il nucleo familiare.
È ben vero che secondo un orientamento della Cassazione, la questione dell’autocertificazione rileva solo nel processo amministrativo ma non nella fase giudiziale[10] tuttavia, nel caso in esame, la discriminazione censurata in giudizio si pone proprio nella fase amministrativa e sarebbe illogico se il Giudice non potesse attribuire all’interessato quel medesimo bene che, se la “discriminazione documentale” non vi fosse stata, sarebbe stato attribuito già in fase amministrativa.
3. La giurisprudenza.
La giurisprudenza ha affrontato solo di recente la questione dei documenti. Nella prima fase del contenzioso il dibattito era infatti focalizzato sul contrasto o meno della disciplina interna con le direttive europee, sicché l’accoglimento dei ricorsi avveniva senza che vi fosse una indagine approfondita circa la documentazione prodotta e i requisiti attestati. In ogni caso, sono sempre stati ritenuti sufficienti, ai fini della certificazione dei requisiti anzidetti, i documenti rilasciati dai Consolati attestanti lo stato e il carico di famiglia, senza peraltro che sia mai stato richiesto che tali attestazioni fossero presentate con riferimento a ogni annualità oggetto di prestazione[11].
Anche quando la questione è stata meglio focalizzata, dopo l’emanazione della circolare INPS 95/2022, la giurisprudenza di merito ha tuttavia continuato a ritenere sufficienti – nella maggior parte dei casi – attestazioni che, pur non rivestendo a pieno gli specifici requisiti descritti nella predetta circolare, siano comunque idonee a costituire un principio di prova, dal quale inferire la composizione del nucleo familiare e l’ammontare (o più spesso l’assenza) dei redditi prodotti dai familiari all’estero.
Così, ad esempio, il Tribunale di Bergamo ha ritenuto che il certificato di stato di famiglia rilasciato dall’Ambasciata della Costa d’Avorio in Italia, unitamente ai 730 e alle CU (da cui risultava che i familiari residenti all’estero fossero stati a carico fiscale del ricorrente per diversi anni) costituissero documentazione “che presuntivamente consente di ritenere che i familiari in questione fossero e siano tutt’ora a carico del richiedente”[12].
Numerose altre pronunce di merito hanno ritenuto sufficienti attestati di carico di famiglia, certificati di disoccupazione, dichiarazioni di stato di famiglia che, pur non avendo tutti i requisiti richiesti dall’Istituto (es. mancanza dell’indicazione relativa allo stato di disoccupazione o all’assenza di reddito per tutte le annualità relative alla prestazione, mancanza dell’indicazione specifica dei rapporti di parentela all’interno dello stato di famiglia, mancanza di dichiarazioni relative ai redditi prodotti dai figli di minore età), sono state comunque ritenute idonee a fondare presunzioni gravi, precise e concordanti circa la prova dei presupposti per l’erogazione dell’assegno[13].
Rispetto alla rigidità della fase amministrativa, dunque, la fase giudiziale, regolata dal principio del libero apprezzamento delle prove da parte del giudice, ha avuto il pregio di dare rilevanza – spesso in modo implicito – a elementi idonei a fondare presunzioni grazie alle quali è stato possibile superare quell’empasse generato dall’impossibilità, o eccessiva difficoltà, nel reperire la documentazione rigidamente attestante i requisiti richiesti da INPS. Tra gli ulteriori elementi a cui è stato dato rilievo, si evidenziano l’attribuzione dei codici fiscali da parte dell’Agenzia delle Entrate (che presuppone il già avvenuto controllo sulla sussistenza dei legami familiari)[14], la minore età dei figli, le condizioni del Paese di origine[15], il già richiamato carico fiscale riconosciuto nelle certificazioni uniche e nei 730[16].
Se, dunque, l’accoglimento dei ricorsi è avvenuto, in molti casi, ritenendo sufficienti a provare i requisiti necessari per l’accesso alla prestazione documenti di minor rigore – sia formale che contenutistico – anche in applicazione degli art. 116 c.p.c. e 2729 c.c., nondimeno le Corti di merito hanno altresì avuto l’occasione di affrontare la questione relativa alla discriminatorietà della prassi relativa all’impossibilità per i cittadini stranieri di autocertificare la sussistenza dei requisiti per l’accesso alla prestazione, al pari con i cittadini italiani.
Sul punto la C.d.A. di Milano ha ripetutamente riconosciuto la possibilità per i cittadini stranieri di autocertificare i redditi esteri mediante dichiarazione sostitutiva di certificazione. Si veda la recente pronuncia del 30.11.2022, n. 968 in materia di ANF.
“Alla luce di tali principi, va riconosciuto, in riforma del Decreto impugnato, il diritto degli odierni appellanti al percepimento dell’assegno per il nucleo familiare, essendo essi in possesso altresì dei requisiti reddituali attestati dalla documentazione allegata relativa ai redditi prodotti in Italia (CUD, 730, Estratto conto previdenziale, doc. 12 e 13) e dalle certificazioni dei rispettivi consolati (la cui provenienza non è stata specificamente contestata) relative ai familiari residenti all’estero, considerato, peraltro, che – per costante giurisprudenza (vedi C.d’A. Milano, n. 239/22 rel. Casella) – i cittadini extracomunitari possono attestare, al pari dei cittadini europei, i redditi esteri mediante autocertificazione”[17].
Del medesimo orientamento anche la C.d.A. di Torino, che nella sentenza 23.9.2021, che ha così argomentato:
“L’INPS, nelle note autorizzate, ha contestato la sufficienza di siffatta documentazione, sostenendo che non è provato nè il possesso o meno di redditi della moglie del LY in Senegal (ad es. immobili) né la situazione reddituale dei figli rimasti in Senegal, ma si tratta di argomentazioni che non possono essere condivise poiché, anche a prescindere dal ben poco verosimile possesso di redditi in Senegal da parte sia della sig.ra BA che dei figli minori dei coniugi, è lo stesso ISTITUTO appellante che nella Comunicazione 002848 del 6.8.2021 (prodotta dalla difesa dell’appellato all’udienza di discussione del 23.9.2021) ha ritenuto di estendere alle prestazioni di invalidità civile quanto previsto, in materia di reddito e pensione di cittadinanza, dal D.I. 21.10.2019, il quale, con riferimento ai cittadini degli Stati o territori non inclusi nell’elenco allegato, ha previsto che la certificazione circa i requisiti patrimoniali e reddituali rilasciata dai competenti organismi esteri possa essere sostituita da autocertificazione da parte dell’interessato.
Il Senegal non figura nell’elenco dei Paesi individuati dal D.I. cit. e benchè la Comunicazione INPS faccia testuale riferimento alle prestazioni di invalidità civile non v’è motivo per non estendere lo stesso principio ad altre prestazioni (come l’ANF) aventi parimenti natura assistenziale e la cui erogazione è subordinata al possesso di determinati requisiti reddituali (…)”[18].
E ancora, il Tribunale di Bergamo, con ordinanza 10.11.2022, ha precisato che:
“Ai fini dell’attribuzione della qualifica di coniuge o di figlio l’art. 46 del D.P.R. n. 445 del 28/12/2000 prevede che “Sono comprovati con dichiarazioni, anche contestuali all’istanza, sottoscritte dall’interessato e prodotte in sostituzione delle normali certificazioni i seguenti stati, qualità personali e fatti: […] e) stato di celibe, coniugato, vedovo o stato libero; f) stato di famiglia; […] h) nascita del figlio, decesso del coniuge, dell’ascendente o discendente”.
Non si vede dunque il motivo per cui l’attestazione consolare, basata sulla dichiarazione del ricorrente, non dovrebbe essere fonte di prova, richiedendo la legge proprio detta dichiarazione ai fini del riconoscimento del diritto alla percezione degli ANF.
Ad analoga conclusione di non accoglimento si giunge in merito all’eccezione riguardante l’assenza di prove inerenti allo stato reddituale del nucleo familiare.
L’art. 2 comma 9, D.Lgs. 69/1988 statuiva che “L’attestazione del reddito del nucleo familiare è resa con dichiarazione, la cui sottoscrizione non è soggetta ad autenticazione, alla quale si applicano le disposizioni di cui all’articolo 26 della legge 4 gennaio 1968, n. 15” ora trasfuso in combinato disposto art. 3, 46 e 47 DPR 445/2000”. Si evince quindi come non vi sia carenza di prova in merito ai redditi prodotti dal nucleo familiare: ciò in quanto ai fini del riconoscimento del diritto contestato è sufficiente la presentazione, avvenuta nel caso concreto, di una dichiarazione non soggetta ad autenticazione”[19].
Sul punto si è espresso anche il Tribunale di Lodi, con ordinanza 11.5.2023 (est. Manfredi):
“Infatti, la richiesta di ulteriore documentazione in relazione alla maternità dei figli ed allo stato civile del ricorrente, secondo I.N.P.S. necessaria per la verifica del diritto all’A.n.f., trova riscontro unicamente in quanto previsto dalla Circolare n. 95 del 2 Agosto 2022 (prodotta dal ricorrente sub doc. n. 9) che richiama una normativa secondaria (d.p.r. n. 445/2000), che da ultimo non potrebbe derogare ad una fonte primaria espressiva di un principio (il menzionato art. 2 comma 5 del d.lgs. n. 286 del 1998).
Si tratta, invero, di una condizione non richiesta dalla fonte primaria, introdotta unilateralmente dall’Istituto in virtù di una normativa interna (circolare), che in ultima analisi è foriera di condizioni deteriori per i cittadini extra-UE regolarmente soggiornanti in territorio italiano, rispetto a quelle previste per i cittadini italiani.
In ragione di ciò, deve ritenersi che i cittadini extracomunitari possano attestare, al pari dei cittadini europei, lo stato di famiglia residente all’estero mediante autocertificazione”.
Ulteriori argomenti sono stati offerti dal Tribunale di Busto Arsizio[20], che richiamandosi alla sentenza C.d.A. Milano del 22.12.2020, n. 865, ha statuito che la deroga alla parità di trattamento introdotta dall’art. 3, D.P.R. 445/2000 in materia di autocertificazioni è in contrasto con l’art. 2, c. 5, D.Lgs. 286/98, norma di fonte primario, destinata pertanto a prevalere in base al principio di gerarchia delle fonti.
Di segno diverso altre pronunce che, tuttavia, solo apparentemente possono ritenersi di segno opposto.
Nel caso del Tribunale di Firenze[21], ad esempio, motivo del rigetto è la mancata specifica allegazione nel ricorso introduttivo del giudizio del possesso dei requisiti reddituali stabiliti dall’art. 2, c. 9 e 10, D.L. 69/1988, sia in relazione al reddito del richiedente, sia in relazione a quello degli altri membri del nucleo familiare: si tratta quindi di un caso non di mancata prova documentale, ma di assenza di allegazione del fatto costitutivo della pretesa, omissione che, quindi, si pone su un piano del tutto diverso e preliminare.
Nel caso deciso da Corte di Cassazione sez. lavoro, sent. 8.3.2023, n. 6953, il motivo di ricorso del lavoratore era l’asserito errore in cui sarebbe incorsa la Corte di merito nel ritenere insufficiente le certificazioni uniche del lavoratore al fine di attestare il reddito complessivo del nucleo: dalla narrativa sembra dunque di capire che il richiedente non avesse nemmeno allegato l’inesistenza di altri redditi del nucleo. La Corte ha quindi avuto gioco facile nel rigettare il motivo, essendo evidente che la certificazione unica attesta i soli redditi del lavoratore e non quelli degli altri componenti della famiglia. Rileva semmai che la Corte ammette che la prova circa il possesso di tale requisito possa essere fornita dal richiedente “attraverso un’attestazione la quale, pur se non sottoponibile ad autenticazione, è sanzionabile, anche penalmente, a norma del D.P.R. 445 del 2000, art. 76”[22], e dunque attraverso una autocertificazione.
4. Conclusioni.
Allo stato, dunque, la posizione dell’INPS come espressa dalla citata circolare, appare smentita dall’orientamento giurisprudenziale maggioritario, teso a garantire l’effettivo riconoscimento del diritto sancito dalla Corte di giustizia e a scongiurare il pericolo che, dietro una apparente equiparazione, si celi una nuova discriminazione e un nuovo impedimento nell’accesso alla prestazione.
Sarebbe quindi quanto mai auspicabile che l’INPS, alla luce del primo anno di vigenza della circolare, mettesse a punto la propria posizione modulando la richiesta dei documenti in relazione alla esperienza e considerando espressamente quantomeno l’ipotesi di impossibilità o grave difficoltà nel reperimento della documentazione.
Laura Ricci, praticante avvocata del foro di Milano
[1] Come noto, a decorrere dal 1.3.2023 la prestazione è stata sostituita dall’assegno unico universale, cfr D.Lgs. 21 dicembre 2021, n. 230, in attuazione della legge 1° aprile 2021, n. 46.
[2] C. Cass., ordinanze di rinvio pregiudiziale n. 9021 e n. 9022 dell’1.4.2019.
[3] C. Cass., ordinanze n. 9378 e 9379 dell’8.4.2021.
[4] La circolare si può leggere al seguente link:
[5] Né – peraltro – le autorità consolari rilasciano dichiarazioni di carico fiscale riferite ad anni antecedenti rispetto a quello in cui la dichiarazione viene richiesta.
[6] Vi sono stati, ad esempio, casi di rigetti in via amministrativa per assenza di documentazione relativa ai redditi prodotti all’estero da figli minori di 10 anni, anche quando provenienti da Stati firmatari della Convenzione n. 138 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), che fissa il limite minimo per l’impiego di minori a 15 anni.
[7] Quasi tutte le leggi regionali prevedono infatti che, al fine di accedere alle graduatorie ERP (e in alcuni casi anche al fine di accedere al contributo di sostegno alla locazione) il richiedente debba dimostrare di non essere proprietario di altro alloggio né in Italia, né all’estero; ma nella pratica, anche in questo caso, l’italiano viene ammesso alla prova della impossidenza mediante autocertificazione, mentre lo straniero no. Questa differenza di trattamento è stata censurata da tutti i Tribunali e le Corti di merito che hanno esaminato la questione cfr. per tutte Tribunale Milano, ord. 20.3.2020, est. Micchichè, in causa ASGI e APN Onlus c. Comune di Sesto San Giovanni, confermata ancora in materia di accesso alloggi ERP, confermata da C.d.A. Milano, sent. 21.7.2021, rel. Tamara.
[8] “Più precisamente, la norma censurata sottende, secondo il diritto vivente, una presunzione che lo straniero abbia redditi all’estero (…). Tale presunzione implica un onere gravoso, specie quando la prova abbia un contenuto negativo, poiché tali redditi in effetti non sussistono, il che può ritenersi ipotesi non rara, se è vero che spesso è proprio lo stato di indigenza ad indurre le persone ad emigrare. Inoltre, sempre la norma censurata consente di vincere la presunzione solo con le forme documentali da essa previste, vale a dire con la certificazione dell’autorità consolare competente, prescindendo dall’eventuale esistenza di altre prove circa l’effettiva consistenza dei propri redditi all’estero. Ma soprattutto, e questo è il profilo che palesa nella maniera più evidente il vulnus costituzionale, l’art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia fa gravare sull’istante il rischio del fatto del terzo (ossia l’autorità consolare), la cui eventuale inerzia o inadeguata collaborazione rendano impossibile produrre tempestivamente la corretta certificazione richiesta.”
[9] Al paragrafo 3 della circolare, dopo aver premesso che “in gran parte dei casi” l’acquisizione della documentazione necessaria al rilascio degli ANF avviene mediante le autocertificazioni del richiedente la prestazione, l’Istituto precisa che, al di fuori delle ipotesi relative a qualità personali e ai fatti certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici italiani ovvero nei casi di convenzioni internazionali fra l’Italia e il Paese di provenienza del dichiarante, per i cittadini extracomunitari titolari di permesso unico lavoro o di permesso di soggiorno di lungo periodo non è possibile ricorrere alle autocertificazioni per l’accesso alla prestazione. E prosegue stabilendo che “Alla luce di quanto esposto, laddove non risulti possibile il rilascio di autocertificazioni attestanti gli stati, le qualità personali e i fatti dei familiari residenti all’estero del lavoratore soggiornante di lungo periodo o titolare di un permesso unico di soggiorno, richiedente l’Assegno per il nucleo familiare, questi dovranno essere documentati mediante certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, corredati di traduzione in lingua italiana autenticata dall’Autorità consolare italiana, che ne attesta la conformità all’originale o mediante apposizione di “apostilla”.
[10] Cfr. Cass. civ., sez. III, sent. 20.9.2004, n. 18856.
[11] Si vedano ex multis: Trib. Milano, ord. 31.3.2022, n. 8221, est. Capelli; Trib. Milano, ord. 6.4.2022, n. 8753, est. Ghinoy; Trib. Milano, ord. 22.4.2022, n. 10113, est. Porcelli; Trib. Milano, ord. 7.6.2022, n. 14371, est. Caroleo; Trib. Bergamo, ord. 7.6.2022, est. Cassia; Trib. Milano, ord. 10.6.2022, n. 14644, est. Gigli; Trib. Alessandria, ord. 10.6.2022, n. 1677, est. Moltrasio; Trib. Busto Arsizio, ord. 30.6.2022, n. 2033, est. La Russa;
[12] Trib. di Bergamo, ord. 19.12.2022, est. Bertoncini.
[13] Ex multis Trib. Alessandria, ord. 14.2.2023, n. 496, est. Moltrasio; Trib. Busto Arsizio, ord. 4.1.2023, n. 24, est. La Russa; Trib. Bergamo, ord. 17.2.2023, n. 967, est. Bertoncini; Trib. Lodi, ord. 10.3.2023, n. 392, est. Manfredi; Trib. Pavia, ord. 11.1.2023, n. 61, est. Ferrari.
[14] Circolare Ag. Entrate 14.6.2001, n. 55.
[15] C.d.A. Torino, sent. 23.9.2021, rel. Mancuso.
[16] Cfr. Trib. Lodi, ord. 10.3.2023, n. 392, est. Manfredi cit..
[17] C.d.A. Milano, sent. 30.11.2022, n. 968, rel. Casella.
[18] C.d.A. di Torino, sent. 23.9.2021, rel. Mancuso.
[19] Trib. Bergamo, ord. 10.11.2022, est. Bertolino.
[20] Trib. Busto Arsizio, ord. 4.1.2023, est. La Russa.
[21] Trib. Firenze, ord. 27 maggio 2022, est. Fraccalvieri.
[22] Cass. civ., sez. lavoro, sent. 8.3.2023, n. 6953.